Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15065 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15065 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3981/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 1558/2019 depositata il 18/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Nocera Inferiore accoglieva la domanda proposta da COGNOME NOME nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE (di seguito ICG) di usucapione di due appartamenti siti in Angri (SA), INDIRIZZO, piani 1° e 2° (individuati nel N.C.E.U. con i sub. 24 e 26 part. 532 del fol.l O.sub 24 e sub 26).
1.1 La I. C. G., era proprietaria di detti beni in virtù del decreto di trasferimento del G.E. del medesimo Tribunale rep. n. 158/2007 in seno alla procedura esecutiva n. 94/94 R.G. riunita alla proc. n. 161/94.
1.2 Il Tribunale affermava che la documentazione prodotta (residenza storica, comunicazione degli enti, pagamento delle utenze) ed in particolare il contratto di locazione registrato il 30 Marzo 2004 con il quale il COGNOME aveva locato a NOME, davano conto della circostanza che l’attore aveva posseduto gli immobili e ne aveva goduto pacificamente comportandosi da proprietario. La tesi della società convenuta non appariva coerente con gli esiti istruttori non potendosi ritenere che per un così lungo tempo (dal 5/6/87) l’attore fosse stato un comodatario non risultando alcuno specifico contratto di comodato, né alcun atto di tolleranza del proprietario che peraltro era incompatibile con un possesso di così lunga durata; neppure era dirimente l’assunto che il CTU nella procedura esecutiva che aveva portato al decreto di trasferimento in favore della società convenuta, avesse indicato nel verbale di accesso l’attore come comodatario (la tesi era stata già
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accolta dal Tribunale in sede di reclamo con le ordinanze prodotte dall ‘ attore nel procedimento possessorio tra le medesime parti), perché era una dichiarazione meramente apodittica e basata solo sul rilievo che il COGNOME non pagasse alcun corrispettivo.
A nulla valeva al riguardo la natura di atto pubblico del verbale di accesso del CTU, perché esso non precludeva al Tribunale la valutazione della situazione e non dava contezza che fosse stato preceduto da una specifica indagine circa la natura reale del rapporto di fatto esistente tra l ‘ attore ed i beni da accertarsi con riferimento all ‘ intero quadro probatorio disponibile.
Il COGNOME, concludeva il Tribunale, aveva posseduto uti dominus sin dal 1987 ed aveva locato nel 2004 per cui, ex art. 1142 c.c., doveva ritenersi sussistente il possesso intermedio.
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Salerno rigettava l’appello di RAGIONE_SOCIALE. In ordine all’assenza del decorso del termine minimo ventennale, rilevava che l’assunto della società appellante secondo cui dal certificato di residenza storica del 25/06/2008 emergeva che il COGNOME (ed il suo nucleo familiare) era residente al INDIRIZZO solo dal 20/10/1991 non trovava riscontro in quel documento dove, sia pure senza indicazione del numero civico, risultava confermato che egli era residente nei luoghi oggetto di contesa sin dal 05/06/1987. Che si trattasse dei medesimi beni oggetto di causa e che la questione posta fosse oltre che nuova anche infondata si ricavava dalla stessa difesa appellante, che in primo grado nel menzionare il titolo di provenienza (l’atto del 26/07/1990 del AVV_NOTAIO) opposto all’attore a confutazione della sua
domanda, riferiva dei beni acquistati da COGNOME NOME dalla RAGIONE_SOCIALE siti in INDIRIZZO alla INDIRIZZO e censiti in Catasto al foglio 1O part. 532 sub 24 e 26, beni corrispondenti esattamente a quelli dedotti come usucapiti dall’attore a nulla valendo l’assenza del civico nel certificato di residenza storica, i cui contenuti neanche erano stati contestati nei termini di cui al gravame. Secondo l a Corte d’Appello emergeva la residenza del COGNOME sui luoghi di causa sin dalla data del 05/06/1987, ed indi poi a decorrere dal 20/10/1991 con l’indicazione del civico. Peraltro altrimenti
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di undici motivi di ricorso.
NOME COGNOME COGNOME resistito con controricorso e con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insist ito nelle sue richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il collegio premette che l’es ame dei motivi deve essere invertito rispetto all’ordine seguito dal ricorrente perché l’ottavo e il tredicesimo motivo che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati, così come il nono e il dodicesimo, e il loro accoglimento assorbe i restanti.
1.1 L’ottavo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art.116 c.p.c. e degli artt. 1141, 1144 e 1158 c.c.. Nullità della sentenza per carenza di motivazione con violazione dell’art. 132 c.p.c.
La sentenza sarebbe nulla per la mancanza di motivazione sull’accertamento in ordine all’esercizio da parte del COGNOME di un’attività corrispondente a quella del proprietario per un periodo di tempo non inferiore al ventennio, in modo ininterrotto, pacifico ed indisturbato ed alla sussistenza del requisito soggettivo ( animus rem sibi habendi ).
La Corte si sarebbe limitata ad affermare che “Le risultanze della prova per testi, la cui concludenza e valutazione è rimessa al giudice di merito anche in ordine alla attendibilità della deposizione in contrasto tra le stesse, vanno della direzione indicata dal Tribunale, avendo i testi escussi, pur con la precisazione che l ‘ attore era stato in comunità di recupero, evidenziato che locava, atteggiandosi quale proprietario, dietro corrispettivo gli immobili
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che aveva fatto oggetto di manutenzione ordinaria e straordinaria. Tale motivazione, sarebbe apparente, e inoltre non si baserebbe su un apprezzabile esame delle deposizioni testimoniali, esame sollecitato dalla ICG nell ‘ atto di appello.
Il tredicesimo motivo è così rubricato: Violazione o falsa applicazione degli artt. 1141 e 1158 c.c.
La censura ha ad oggetto la violazione delle norme in materia di usucapione e precisamente l’erronea e falsa applicazione degli art. 1158 e ss. c.c.
Infatti, la Corte, a pagina 7 della sentenza, dà conto della consegna dei beni per cui è causa (appartamento al primo piano sub 24 e appartamento al secondo piano sub 26) al signor COGNOME NOME da parte della madre COGNOME NOME che, dopo aver pagato il condono (come emerge dalla CTU in sede esecutiva, doc. 2 del fascicolo della ICG in primo grado, pagina 13; doc. t), ha continuato a incassare i canoni di locazione pagati dai coniugi COGNOME (circostanza che emerge da quanto scritto a pag.10 del provvedimento impugnato). Nonostante ciò, la Corte, errando, ha applicato alla fattispecie sottoposta al suo esame la norma che contempla l ‘ acquisto a titolo di usucapione dei beni per cui è causa da parte del COGNOME, ritenendolo possessore ab initio.
In realtà, la fattispecie andava sussunta sotto il dettato d ell’ art. 1141 c.c. e doveva applicarsi il principio, ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (n. 27411 /2019), in virtù del quale non può operare la presunzione del possesso, a norma di detto articolo, in favore di colui che esercita un potere di fatto quando la sua relazione con i beni non è la conseguenza di un atto volontario
di apprensione ma consegue, come nel caso che ci occupa, ad un iniziale fatto del proprietario/possessore.
Come si è detto in premessa, i due motivi sopra riportati sono fondati sia rispetto alla censura di radicale mancanza di motivazione, in violazione dell’art. 132 c.p.c. con riferimento all’accertamento dell’esercizio da parte del COGNOME di un’attività corrispondente a quella del proprietario per un periodo di tempo non inferiore al ventennio, in modo ininterrotto, pacifico ed indisturbato, sia rispetto alla censura di violazione dell’art. 1441 c.c. sulla presunzione del possesso in capo al COGNOME (tredicesimo motivo).
La sentenza impugnata, infatti, da un lato non soddisfa il minimo costituzionale richiesto quanto alla motivazione del possesso dei beni oggetto della domanda di usucapione del COGNOME e dall’altro, sulla base della ricostruzione parziale e del tutto insufficiente operata dalla Corte d ‘ Appello, si riscontra comunque un’erronea applicazione dell’art. 1141 c.c .
3.1 Il collegio ritiene opportuno ripercorrere la motivazione della Corte d’Appello in relazione alle doglianze proposte con l’appello , tenendo presente che la causa ha origine dalla domanda di usucapione da parte del COGNOME COGNOME che, dunque, era a suo carico l’onere della prova circa la sussistenza di tutti i presupposti per usucapire gli immobili oggetto del giudizio. Com’è noto, i nfatti, chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus , ma anche dell’ animus . Quest’ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal
primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà.
3.2 Ciò precisato, deve osservarsi come la Corte territoriale non abbia chiarito in alcun modo quale fosse la reale situazione dei beni oggetto del giudizio (sub 24 e sub 26), chi fosse il legittimo proprietario e chi ne avesse la materiale disponibilità e a che titolo.
Infatti, la società ricorrente, con l’appello , aveva censurato l’erroneità della sentenza di primo grado nella ricostruzione dei fatti e aveva chiesto di accertare che l’appellato avesse esercitato una semplice detenzione sugli immobili, oltretutto per un periodo di tempo limitato, di certo inferiore al ventennio, con la mera tolleranza prima di NOME COGNOME poi del coniuge NOME, amministratore unico e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE ed, infine, per aver dichiarato di detenere il bene a titolo di comodato gratuito per concessione dei signori COGNOME NOME e COGNOME NOME (destinatario dell’espropriazione).
3.3 La Corte d’Appello ha rigettato il motivo di appello, senza fornire alcuna risposta alle deduzioni di parte appellante e limitandosi ad affermare che sussisteva il possesso in capo al COGNOME perché egli aveva avuto i suddetti beni dalla madre che era proprietaria e perché, sin dal 1987, vi risiedeva come emergeva dal certificato di residenza.
Nella sentenza impugnata, infatti, si legge che il COGNOME e il suo nucleo familiare risiedevano in INDIRIZZO sin dal 05/06/1987. I beni in contesa erano stati acquistati da COGNOME NOME dalla RAGIONE_SOCIALE sita in Angri, alla INDIRIZZO e censiti in Catasto al foglio 10 part. 532 sub 24 e 26.
S econdo la Corte d’Appello, dagli esiti istruttori e dalla prova per testi, era emerso che il possesso dei cespiti in capo all’attore era avvenuto almeno a decorrere dalla data del certificato di residenza del DATA_NASCITA con consegna ad opera della madre NOME COGNOME COGNOMEprorpietaria) e, dunque, da tale data poteva dirsi maturato il possesso utile ad usucapire sin dal 05 giugno 2007.
La Corte traeva ulteriore elemento di prova del possesso dal contratto di locazione ad iniziativa di NOME COGNOME in favore di NOME del cespite sito al primo piano della INDIRIZZO, dove altresì emergeva che il locatore domiciliava nel medesimo indirizzo (con elevato grado di probabilità stante alle risultanze della prova per testi al secondo piano) . Sulla base di tali elementi, poiché il COGNOME risultava per tabulas nella disponibilità dei cespiti sino al momento dell’azione di spoglio subita nel 2009, a quella data era decorso il termine del ventennio, dovendosi presumere, come rilevato anche dal Tribunale, sulla base dell’altra documentazione versata in atti (utenze telefoniche, comunicazione degli enti pubblici) il possesso intermedio ex art. 1142 c.c.
Inoltre, doveva escludersi la possibilità che il possesso del COGNOME, in considerazione del lungo lasso tempo intercorso, potesse in qualche modo essere oggetto di mera tolleranza del proprietario (COGNOME NOME).
La Corte aggiungeva che la presenza dei coniugi COGNOME nel sub 24 a titolo di locazione era compatibile con le risultanze della prova per testi laddove emergeva che l’attore, quando era assente ed in comunità, consentiva la locazione o l’uso gratuito ad altre persone. La deposizione del teste indicato dall’appellante (NOME COGNOME) in ordine alla circostanza che il fitto fosse pagato alla
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NOME era compatibile con la temporanea collocazione in comunità del possessore ad usucapione.
Infine, avendo l’attore dedotto e provato che i beni gli erano stati consegnati dalla madre, originaria proprietaria, ne discendeva l’assoluta irrilevanza dell’assunto che il COGNOME avrebbe dovuto provare il pagamento del condono che l’appellante assumeva, invece, aver pagato la madre (COGNOME NOME).
3.4 Da quanto riportato emerge una ricostruzione dei fatti del tutto insufficiente e lacunosa, tale da determinare una motivazione apparente in violazione del minimo costituzionale e, comunque, in palese violazione dell’art. 1141 c.c. come dedotto dal ricorrente.
Infatti, la relazione con il bene del COGNOME, a detta della Corte d’Appello, sarebbe cominciata con la consegna del bene da parte di sua madre che ne era proprietaria, senza alcuna altra specificazione. Sul punto, la sentenza oltre che del tutto insufficiente è anche gravemente contraddittoria quanto alla proprietà degli stessi perché in altra parte della motivazione si legge che i beni erano stati venduti a NOME COGNOME NOME dalla RAGIONE_SOCIALE di cui era amministratrice NOME COGNOME, coniuge del COGNOME.
In ogni caso, l’assunto della Corte d’Appello così formulato contrasta con l’art. 1141, secondo comma, c.c. e con principi consolidati affermati da questa Corte sul tema.
Si è ripetutamente detto, infatti, che: La presunzione di possesso utile ad usucapionem , di cui all’art. 1141 c.c., non opera quando la relazione con il bene non consegua ad un atto volontario di apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietariopossessore, come nell’ipotesi della mera convivenza nell’immobile
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con chi possiede il bene; in tal caso, la detenzione può mutare in possesso soltanto con un atto di interversione, consistente in una manifestazione esteriore, rivolta contro il proprietario, affinché questi possa rendersi conto dell’avvenuto mutamento, da cui si desuma che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio. Tale accertamento realizza un’indagine di fatto, rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logica e congruamente motivata. (Sez. 2, Ordinanza n. 27411 del 25/10/2019, Rv. 655670 – 01).
La Corte d’Appello ha omesso del tutto di chiarire a che titolo la madre del ricorrente gli aveva dato la disponibilità del bene. Come si è detto, risulta del tutto omessa anche l’indagine sull a titolarità del diritto di proprietà e sulle eventuali vicende traslative. Tali aspetti non emergono dalla sentenza impugnata, nonostante costituiscano il presupposto sul quale si è fondato l’accertamento del possesso del COGNOME dei due appartamenti e la conseguente presunzione del possesso intermedio fino all’azione di spoglio del 2007. Peraltro, anche il decorrere del possesso dal giugno del 1987, ovvero dalla data dal certificato di residenza, corrisponde ad una motivazione apparente in quanto correlato ad un dato neutro in caso di convivenza e neanche riferito al momento della asserita consegna dei beni da parte della madre.
Come si è detto, la sentenza risulta erronea anche tenendo ferma la lacunosa , ricostruzione della Corte d’Appello dalla quale, infatti, emerge che, avendo avuto il COGNOME la disponibilità del bene per fatto della madre (asseritamente proprietaria), era
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necessario da parte sua un atto di interversione nel possesso che non poteva aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma doveva estrinsecarsi in una manifestazione esteriore -rivolta specificamente contro il proprietario, in maniera che emergesse che egli aveva cessato d’esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui ed aveva iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente ” animus detinendi” dell'”animus rem sibi habendi “. A tal fine non rilevano neanche meri atti di esercizio del possesso quali la asserita locazione dell’immobile , traducendosi gli stessi in un’ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (Sez. 1, Sentenza n. 26327 del 20/12/2016, Rv. 642763 – 01).
Il nono motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art.112 c.p.c. in relazione all’art.360 1° co. n.4 c.p.c.
La censura attiene all’erronea valutazione del verbale contenente la dichiarazione di COGNOME NOME di riconoscimento della proprietà dell’appartamento in capo al COGNOME NOME.
Nel verbale di secondo accesso effettuato in data 10 giugno 1999, allegato alla consulenza tecnica redatta dal geometra NOME COGNOME – c.t.u. nominato per la descrizione e stima degli immobili pignorati nelle procedure esecutive riunite di cui in premessa – si legge che il signor COGNOME NOME, che sottoscrive il verbale unitamente agli altri presenti, afferma di essere inquilino del sig. COGNOME COGNOME NOME a titolo di comodato gratuito.
La dichiarazione resa dal COGNOME, secondo parte ricorrente, sarebbe sussumibile nel dettato dell ‘ art. 2944 c.c.. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente focalizzato l ‘ attenzione non
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sull ‘ esame del dato di fatto risultante dalla dichiarazione (la cui validità non è mai stata messa in discussione) ma sull’inesistenza del contratto di locazione o di comodato. La ICG non voleva dimostrare, con l ‘ esibizione del verbale, l ‘ esistenza di un comodato o di una locazione ma semplicemente l ‘ interruzione – per effetto del riconoscimento – del termine utile per l ‘ usucapione . D’altra parte , l’errore sarebbe evidente tanto che addirittura la Corte imputa al CTU in sede esecutiva la responsabilità di non avere approfondito e ricercato ulteriori elementi dai quali ricavare l’esistenza di un contratto di locazione e/o di comodato.
Dalla dichiarazione richiamata emergerebbe, infatti, la consapevolezza in capo al COGNOME della spettanza ad altri della proprietà degli appartamenti in oggetto accompagnata da una volontà attributiva e tanto basterebbe per il rigetto della domanda di usucapione relativa all ‘ appartamento individuato con il sub 26.
Inoltre, seppur non si volesse riconoscere natura di riconoscimento della proprietà di altri alla predetta dichiarazione, certamente da essa si ricaverebbe che la relazione di fatto che il COGNOME aveva con il sub 26 non era caratterizzata dall ‘ animus rem sibi habendi , richiesto perché possa configurarsi la fattispecie disciplinata dal ‘ art.1158 c.c., ricavabile peraltro anche dalla circostanza che, senza alcuna contestazione, il COGNOME NOME presenziava alle operazioni di valutazione dell ‘ immobile da lui occupato (cfr. Cass. n.2319/2010).
4.1 Il dodicesimo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione o falsa applicazione degli artt. 2700, 1165, 2944 e 1158 c.c.
Sempre rispetto alla medesima questione la ricorrente evidenzia l’erroneità della sentenza che richiama l’ art. 2700 c.c. per
affermare che l’atto pubblico non copre la veridicità intrinseca delle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale dalle parti e neppure la loro rispondenza all’effettiva intenzione delle stesse.
In realtà costituirebbe un chiaro errore il non aver fatto applicazione degli artt. 1165 e 2944 c.c., ritenendo invece applicabile l ‘ art. 1158 c.c. e l ‘ art. 2700 c.c.
Dalla dichiarazione richiamata emergerebbe, infatti, la consapevolezza in capo al COGNOME della spettanza ad altri della proprietà degli appartamenti in oggetto accompagnata da una volontà attributiva e tanto basterebbe per il rigetto della domanda di usucapione relativa all’appartamento individuato con il sub 26.
4.2 I motivi nono e dodicesimo, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.
La sentenza esamina il verbale di accesso del CTU in sede di procedura esecutiva, senza tener conto della sua eventuale portata dichiarativa ai sensi dell’art. 2944 c.c.
La questione riguarda il riconoscimento dell’altruità del bene da parte del COGNOMECOGNOME Secondo la Corte d’Appello , il fatto che egli si fosse dichiarato mero conduttore o comodatario di COGNOME NOME non aveva alcuna rilevanza perché il CTU non aveva effettuato alcun accertamento in tal senso e la sua espressione era del tutto atecnica non potendosi in alcun modo far discendere da tale espressione un riconoscimento dell’altru i diritto.
La sentenza, anche in questo caso, si pone in contrasto con principi consolidati affermati da questa Corte.
Deve premettersi che l ‘art. 1165 c.c., estendendo all’usucapione le norme generali in tema di prescrizione (artt. 2934
ss. c.c.) ‘in quanto applicabili’ , ivi comprese quelle relative all’interruzione della stessa (artt. 2943, 2944 e 2945 c.c.), tipizza gli atti che hanno efficacia interruttiva del decorso del termine utile per l’usucapione. L ‘art. 2944 prevede espressamente tra le cause di interruzione civile previste dalla legge, e compatibili con la natura dell’usucapione, oltre alla domanda giudiziale il riconoscimento del diritto altrui da parte del possessore (art. 2944 c.c.). La giurisprudenza sul punto ha chiarito che: Ai fini dell’interruzione del termine utile per l’usucapione, ai sensi dell’art. 2944 c.c., richiamato dall’art. 1165 c.c., il riconoscimento del diritto altrui da parte di colui contro il quale il diritto può essere fatto valere non deve necessariamente essere recettizio, potendo risultare anche da una manifestazione tacita di volontà, purché univoca, senza richiedere per la sua efficacia di essere indirizzato all’avente diritto, né tantomeno di essere da lui accettato (Sez. 2 – , Ordinanza n. 23420 del 19/09/2019, Rv. 655253 – 01).
Dunque, se è vero che l’atto pubblico non copre la veridicità intrinseca delle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale dalle parti e neppure la loro rispondenza alla loro effettiva intenzione, ciò che è coperto da presunzione è il fatto che quelle dichiarazioni il grassino le ha rese. La Corte d’Appello erroneamente attribuisce rilevanza al fatto che il CTU non ha compiuto alcuna indagine in ordine alla veridicità dell’affermazione ivi contenuta al fine di stabilire se egli fosse possessore o detentore, ma ciò che rileva è la dichiarazione che il bene era di altri.
Pertanto, risulta erronea la sentenza nella parte in cui afferma che in ogni caso, non può non evincersi icto oculi l’assoluta incompatibilità logica tra la qualifica di inquilino che importa il
riferimento ad un titolo di locazione e quindi di natura onerosa e quella di comodatario a titolo gratuito. Nell’uno come nell’altro caso, ai fini della corretta individuazione e qualificazione del soggetto come titolare del corrispondente negozio giuridico (locazione o comodato) era necessaria l’indagine ed il richiamo al titolo o alla fonte negoziale (il contratto) che implicava la qualifica di detentore inidonea alla realizzazione dell’ipotesi normativa di cui all’art. 1158 c.c., che manca del tutto .
Infatti, come si è detto, ciò che rileva, nella specie, non è il titolo negoziale in base al quale il COGNOME aveva la disponibilità dell’immobile quanto piuttosto il fatto che egli con quella dichiarazione ha attribuito la proprietà del bene ad altri.
In proposito questa Corte ha già avuto modo di chiarire che mentre per escludere la sussistenza del possesso utile all’usucapione non è sufficiente il riconoscimento o la consapevolezza del possessore circa l’altrui proprietà del bene, occorrendo, invece, che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per i fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, atteso che l’animus possidendi non consiste nella convinzione di essere titolare del diritto reale, bensì nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facoltà (Cass. n. 21015 del 2016; Cass. n. 26641 del 2013) diversamente il riconoscimento del diritto altrui da parte del possessore, quale atto incompatibile con la volontà di godere il bene uti dominus , interrompe il termine utile per l’usucapione (Cass. n. 19706 del 2014; conf. Cass. n. 25250 del 2006).
In altri termini, il riconoscimento dell’altruità del bene effettuato dal COGNOME in sede di perizia di stima nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare vale in ogni caso come interruzione del termine utile ad usucapire.
In casi analoghi si è evidenziato come: Ai sensi degli artt. 1165 e 2944 c.c., l’usucapione della proprietà è interrotta dal riconoscimento del diritto altrui, ossia dal fatto che il possessore ‘ ad usucapionem ‘ riconosca il diritto di proprietà del soggetto cui il bene formalmente appartiene e, in questo senso, implicano certamente un riconoscimento dell’altrui proprietà tanto le domande di opposizione alla stima dell’indennità di esproprio proposte dall’espropriato, quanto quella di retrocessione del bene: l’opposizione alla stima, infatti, presuppone la presa d’atto dell’esproprio, ossia del formale trasferimento coattivo della proprietà del bene a favore dell’espropriante; la domanda di retrocessione, invece, consistendo in una richiesta di ritrasferimento della proprietà del bene all’espropriato sul presupposto che siano venute meno le ragioni dell’atto ablatorio, implica il riconoscimento, da parte dell’ex proprietario, del pregresso passaggio della proprietà del bene all’espropriante per effetto dell’emissione del decreto di esproprio (Sez. 1, Sentenza n. 26327 del 20/12/2016, Rv. 642763 – 02).
Come si è detto, l’accoglimento dei motivi sopra riportati determina l’assorbimento dei restanti che per esigenze di sintesi si riportano solo nella rubrica indicata dal ricorrente.
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell ‘ art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360, 1° co. n. 3, 4 e 5, c.p.c.. Conseguente omesso esame di motivo di appello. Travisamento
delle prove e conseguente erronea applicazione dell’art.1142 c.c .. Errata percezione.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell ‘ art. 132 c.p.c. in relazione all ‘ art.360, 1° co. n.3 , 4 e 5, c.p.c.. nullità della sentenza per motivazione apparente e/o irrimediabilmente contraddittoria. Mancato esame di un motivo di appello.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 115, co.1, c.p.c. nella formulazione antecedente alla novella n. 79/2009, applicabile al caso di specie ai sensi dell’art. 58, in relazione all’art. 360, co. l, n. 3 e 4, c.p.c.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c. in relazione all ‘ art. 360, primo co., n.3 e 4, c.p.c.. Nullità della sentenza ex art.157 c.p.c..
Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 2967 cc in relazione all’art. 360, 1° co. n. 3 e 4, c.p.c.
Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell ‘ art.116 c.p.c. in relazione al l’ art. 360 1° co. n.3 e 4, c.p.c.
Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione di legge e contraddittorietà della motivazione e nullità della sentenza ex art. 132, n.4, c.p.c. in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n.3, c.p.c..
Il motivo attiene ancora alla deposizione testimoniale dell’arch. COGNOME nel contrasto irriducibile della motivazione che da un lato ne afferma l’inattendibilità e dall’altro la utilizza ritenendola compatibile con la ricostruzione dei fatti nel senso del possesso in capo al COGNOME dell’immobile .
Il decimo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione per motivazione apparente. Nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360, 1° co., n.4, c.p.c..
L’undicesimo motivo di ricorso è così rubricato: Vizio di omesso esame di un fatto decisivo e controverso in relazione all’art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c.
In conclusione la Corte accoglie l’ottavo , il nono, il dodicesimo e il tredicesimo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d ‘ Appello di Salerno in diversa composizione anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie l’ottavo , il nono, il dodicesimo e il tredicesimo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d ‘ Appello di Salerno, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione