Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4084 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4084 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2062/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti- contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al controricorso,
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 4183/2021 depositata il 9.6.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25.1.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 30.11.2012 COGNOME NOME, proprietario di un terreno in Artena, località Spinaceto (nel NCT a foglio 21, particella 418) conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Velletri il fratello, COGNOME NOME, proprietario della particella confinante 417, donatagli dalla madre con l’atto del AVV_NOTAIO dell’8.2.1975, sostenendo che lo stesso occupava senza titolo una porzione del mappale 418 inglobata alla di lui proprietà da una recinzione, come accertato all’esito di CTU dalla sentenza del Pretore di Velletri n.1075/1993, resa nel giudizio di regolamento dei confini ed apposizione dei termini lapidei che era stato promosso dalla madre e sua dante causa, COGNOME NOME, nei confronti di COGNOME NOME; che nel giudizio di divisione promosso nel 2004 da COGNOME NOME nei confronti degli eredi di COGNOME NOME, deceduta nel 1999, egli aveva già svolto nei confronti del predetto domanda riconvenzionale di restituzione della suindicata porzione di terreno, ma il giudizio era stato abbandonato a seguito della transazione intervenuta nel 2011, nella quale egli si era riservato di riproporre la domanda di restituzione della porzione usurpata della particella 418 in separato giudizio. COGNOME NOME rivendicava, pertanto, la suddetta porzione occupata dal fratello e ne chiedeva la restituzione.
Si costituiva nel giudizio di primo grado COGNOME NOME, che sosteneva che aveva posseduto il terreno donatogli dalla madre e
recintato, comprensivo anche della porzione rivendicata, fin dall’8.2.1975, accessibile solo dalla sua limitrofa abitazione, impiantandovi alberi, coltivandolo e provvedendo in via esclusiva alla sua manutenzione ordinaria e straordinaria, e chiedeva di essere riconosciuto proprietario per usucapione della porzione della particella 418 controversa, evidenziando che la sentenza del Pretore di Velletri n. 1075/1993 non aveva mai ricevuto esecuzione, e che con gli atti giudiziali invocati dalla controparte non era mai stata chiesta la restituzione della porzione di terreno in questione, per cui non vi era stata interruzione della prescrizione acquisitiva da parte dell’attore.
Alla domanda riconvenzionale di usucapione aderiva la moglie di COGNOME NOME, COGNOME NOME, intervenuta volontariamente in causa. Il Tribunale di Velletri con la sentenza n. 1126/2017, esclusa l’efficacia interruttiva degli atti giudiziali invocati da COGNOME NOME, rigettava la domanda di rivendica dallo stesso avanzata, rigettava la riconvenzionale di usucapione dell’intervenuta COGNOME NOME, accoglieva invece la riconvenzionale di usucapione della porzione di terreno recintata della particella 418 di COGNOME NOME, autorizzandone la trascrizione e compensava le spese processuali, ritenendo che quest’ultimo avesse esercitato su di essa il possesso uti dominus fin dall’8.2.1975 (data dell’atto di donazione in suo favore della particella 417 da parte della madre, alla quale fin da quell’epoca era accorpata, tramite la recinzione, rimasta immutata, la porzione controversa della particella 418).
Avverso tale sentenza proponeva appello COGNOME NOME con un unico motivo, col quale lamentava che il primo giudice, violando gli articoli 1165 e 2943 cod. civ., non avesse considerato come atti idonei ad interrompere la prescrizione acquisitiva la domanda giudiziale di regolamento dei confini avanzata dalla sua dante causa COGNOME NOME nel 1987, avente anche un effetto recuperatorio, e la domanda riconvenzionale di restituzione della porzione da lui
proposta nel 2004 nel giudizio di divisione dei beni di COGNOME NOME n. 5005/2004 RG del Tribunale di Velletri promosso da COGNOME NOME, sfociato nell’atto di transazione del 12.12.2011, mantenendo il suo effetto interruttivo la domanda giudiziale anche in caso di estinzione del giudizio in base all’art. 2945 cod. civ. e sostenendo che il possesso del fratello era iniziato nel 1987.
COGNOME NOME notificava l’atto di appello a mezzo pec il 25.5.2017 ed il 31.5.2017 si costituiva telematicamente producendo quale prova della notificazione dell’atto di citazione le riproduzioni cartacee delle ricevute di consegna ed accettazione della notifica a mezzo pec senza la relata di notifica e senza l’attestazione di conformità agli atti telematici.
Si costituivano nel giudizio di secondo grado COGNOME NOME e COGNOME NOME, che eccepivano l’improcedibilità e/o inammissibilità dell’appello per profili diversi rispetto a quello del mancato rispetto delle forme di costituzione dell’appellante previste dall’art. 165 c.p.c., e nel merito sostenevano che il possesso ad usucapionem di COGNOME NOME era iniziato l’8.2.1975 e che la prescrizione acquisitiva non poteva ritenersi interrotta dal 1987 al 1993 dall’azione di regolamento dei confini, esercitata peraltro da COGNOME NOME e non da COGNOME NOME, e sfociata in una sentenza non esecutiva e priva di efficacia recuperatoria, ed evidenziato che il giudizio di divisione iniziato nel 2004 era stato abbandonato, concludevano per il rigetto dell’appello.
Senza ulteriori attività istruttorie la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 4183/2021 dell’1/9.6.2021, non notificata, in riforma della sentenza di primo grado, ritenuti idonei ad interrompere la prescrizione acquisitiva invocata da COGNOME NOME l’azione di regolamento dei confini di COGNOME NOME del 1987 e la riconvenzionale di restituzione della porzione controversa avanzata da COGNOME NOME il 9.1.2005 nel giudizio di divisione dei beni di COGNOME NOME promosso da COGNOME NOME (proc. n. 5005/2004 RG
del Tribunale di Velletri), dichiarava COGNOME NOME proprietario della porzione della particella 418 del foglio 21 del NCT del Comune di Artena in INDIRIZZO, condannava COGNOME NOME al rilascio della stessa in favore di NOME e condannava COGNOME NOME e COGNOME NOME al pagamento delle spese processuali di secondo grado, da distrarsi in favore del legale antistatario dell’appellante.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso alla Suprema Corte, notificato a NOME il 7.1.2022, COGNOME NOME e COGNOME NOME, affidandosi a quattro motivi, ed ha resistito COGNOME NOME con controricorso notificato il 14.2.2022.
Il 4.5.2023 il Consigliere NOME COGNOME ha formulato proposta di definizione anticipata ex art. 380 bis c.p.c. per inammissibilità, o manifesta infondatezza del ricorso.
A fronte della comunicazione della suddetta proposta in data 10.5.2023, l’AVV_NOTAIO, munita di apposita procura speciale da parte dei ricorrenti, in data 19/20.6.2023 ha richiesto la decisione ex art. 380 bis comma 2° c.p.c..
Fissata quindi l’udienza in camera di consiglio, entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., e la causa é stata trattenuta in decisione nell’adunanza camerale del 25.1.2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 348 c.p.c., degli articoli 3 bis e 11 della L. n. 53/1994 e dell’art. 23 comma 1 del D. Lgs. n. 82/2005, per avere omesso la Corte d’Appello di Roma di verificare la procedibilità dell’appello in relazione alla ritualità della costituzione dell’appellante COGNOME NOME, che avendo notificato a mezzo pec l’atto di appello il 25.5.2017, il 31.5.2017 si era costituito con modalità telematica, senza però fornire la prova della notificazione dell’atto di appello,
avendo depositato telematicamente solo la copia per immagine delle riproduzioni analogiche dei messaggi pec di accettazione e consegna della notificazione del gravame, senza la relazione di notificazione con firma digitale richiesta dall’art. 3 della L. n.53/1994, e senza l’attestazione di conformità agli originali telematici ex art. 23 comma 1 del D. Lgs. 7.3.2005 n. 82, ed omettendo altresì di depositare entro l’udienza di trattazione ex art. 350 c.p.c., e perfino successivamente, gli originali telematici, o i duplicati dei files costituenti la notifica a mezzo pec. Da tali inadempiute formalità i ricorrenti desumono la nullità della notificazione dell’atto di appello ex art. 11 della L. n. 53/1994 per mancanza dei requisiti oggettivi prescritti dalla normativa sulle notifiche telematiche, rilevabile d’ufficio, e la conseguente improcedibilità dell’appello proposto da COGNOME NOME.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Come è già stato chiarito da questa Corte (Cass. 12.12.2023 n. 34792; Cass. 21.6.2023 n. 17711), la sanzione dell’improcedibilità dell’appello è ricollegata soltanto all’inosservanza del termine di costituzione dell’appellante, e non anche all’inosservanza delle sue forme, ed opera il principio della generale sanabilità dei vizi di nullità per raggiungimento dello scopo. Il principio incontra, tuttavia, il limite per il quale dagli atti presenti nel fascicolo deve risultare il momento della notifica dell’atto di appello, in quanto l’art. 347 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 165 c.p.c., esige che la costituzione dell’appellante avvenga entro i dieci giorni (o i cinque, nel caso di riduzione) dal perfezionamento della notifica per l’appellato (Cass. 4.4.2023 n. 9269; Cass. 9.2.2017 n. 3527; Cass. sez. un 5.8.2016 n. 16598).
Si è, in particolare, spiegato che a tale approdo si perviene sulla base delle seguenti norme:
a) l’art. 23 del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 prevede che: ” Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto
con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato “;
b) l’art. 9 commi 1 e 1 -bis della L. n. 53 del 1994, che recitano: “1. Nei casi in cui il cancelliere deve prendere nota sull’originale del provvedimento dell’avvenuta notificazione di un atto di opposizione o di impugnazione, ai sensi dell’art. 645 del codice di procedura civile e dell’art. 123 delle disposizioni per l’attuazione, transitorie e di coordinamento del codice di procedura civile, il notificante provvede, contestualmente alla notifica, a depositare copia dell’atto notificato presso il cancelliere del giudice che ha pronunciato il provvedimento. 1 -bis. Qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato a norma dell’art. 3 -bis, l’avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 1 “;
c) l’art. 16 del D.L. n. 119 del 2018, come convertito, il quale, introducendo l’art. 25 bis nel D.Lgs. del 31 dicembre 1992 n. 546, ha previsto, al comma 1, lett. b), n. 3 che: “3. La copia informatica o cartacea munita dell’attestazione di conformità ai sensi dei commi precedenti equivale all’originale o alla copia conforme dell’atto o del provvedimento detenuto ovvero presente nel fascicolo informatico “.
In sintesi, chiarita la ratio degli artt. 347 e 165 c.p.c. (accertare se la costituzione dell’appellante sia avvenuta tempestivamente), la lettera dell’art. 9 della L. n. 53 del 1994 non preclude all’avvocato di procedere in via alternativa a norma dell’art. 9, comma 1 -bis, non avendo egli un obbligo di produrre la notifica in modalità
telematica, purché la copia analogica sia corredata dall’attestazione di conformità (Cass. 16.1.2023, n. 981).
Nel caso di specie non avendo COGNOME NOME depositato la relata di notifica telematica prevista dall’art. 3 bis della L. n. 53/1994, né l’attestazione di conformità delle copie cartacee scansionate delle ricevute di consegna e di accettazione della notifica a mezzo pec del gravame che aveva eseguito il 25.5.2017, come prescritto dall’art. 23 comma 1 del D. Lgs. 7.3.2005 n. 82, la notifica dell’atto di appello era certamente viziata da nullità non essendo stata documentata in forma idonea l’avvenuta notifica telematica, ma è pacifico ed ammesso dagli stessi ricorrenti che l’appellante COGNOME NOME si è costituito telematicamente il 31.5.2017, e quindi entro il termine di dieci giorni dalla notifica del gravame nel rispetto del combinato disposto degli articoli 348 comma primo, 347 comma primo e 165 comma primo c.p.c., per cui non si é verificata l’improcedibilità dell’appello, che l’art. 348 comma primo c.p.c. ricollega solo alla tardiva costituzione dell’appellante.
Risulta altresì che gli attuali ricorrenti si sono costituiti nel giudizio di secondo grado con la comparsa di costituzione del 16.10.2017, prima dell’udienza di prima trattazione ex art. 350 c.p.c., senza nulla eccepire in ordine alla nullità della notifica del gravame e difendendosi nel merito, per cui si è, comunque, verificata la sanatoria della nullità della notifica dell’atto di appello per raggiungimento dello scopo ex art. 156 comma terzo c.p.c., e la Corte d’Appello non avrebbe quindi dovuto adottare alcun provvedimento ai fini della rinnovazione della notifica dell’atto di appello, né avrebbe potuto rilevare d’ufficio un’improcedibilità del gravame per una tardiva costituzione inesistente dell’appellante, essendosi verificata solo un’irregolarità di forma della costituzione in secondo grado di COGNOME NOME.
Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 115 c.p.c., ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Si dolgono i ricorrenti che la Corte d’Appello di Roma, in assenza di uno specifico motivo di gravame sul punto, posto che COGNOME NOME nell’atto di appello aveva solo lamentato l’erronea negazione di efficacia interruttiva della prescrizione acquisitiva agli atti giudiziali da lui invocati in primo grado per violazione degli articoli 1165 e 2943 cod. civ., ed indicando come incerto nella sentenza impugnata il termine di inizio del possesso esclusivo della porzione controversa da parte di COGNOME NOME, abbia fatto decorrere il possesso ad usucapionem di COGNOME NOME dal 1987 anziché dal 1975, omettendo di considerare che avendo il Tribunale di Velletri accertato che il possesso uti dominus di COGNOME NOME sulla porzione controversa recintata, accessibile solo dalla sua abitazione, era iniziato fin dall’atto di donazione materna dell’8.2.1975, continuando sempre con le stesse caratteristiche (come emergente dalla pagina 5 della sentenza di primo grado, dall’interrogatorio formale di COGNOME NOME, dalla testimonianza di NOME, e dalla CTU che aveva evidenziato la condizione immutata dello stato dei luoghi rispetto a quella dell’epoca della donazione dell’8.2.1975), sul punto doveva ritenersi intervenuto il giudicato interno.
Il secondo motivo per come formulato è inammissibile, in quanto anzitutto non si era formato alcun giudicato interno sull’accoglimento della riconvenzionale di usucapione della porzione del mappale 418 controversa di COGNOME NOME, perché avendo COGNOME NOME impugnato la sentenza del Tribunale di Velletri per avere respinto le eccezioni di interruzione della prescrizione acquisitiva di tale porzione invocata da COGNOME NOME, evidentemente ha rimesso in discussione l’avversa domanda di usucapione, che era stata accolta in primo grado sul presupposto
dell’infondatezza di quelle eccezioni, peraltro sostenendo nell’impugnazione che il possesso di COGNOME NOME sarebbe iniziato solo nel 1987 e non nel 1975.
Ne deriva che non è affatto vero che fosse preclusa alla Corte d’Appello di Roma, una volta riconosciuta efficacia interruttiva della prescrizione all’azione di regolamento dei confini esercitata nel 1987 da COGNOME NOME, precedente proprietaria della particella 418 e dante causa di COGNOME NOME, ed alla domanda riconvenzionale di restituzione della porzione controversa avanzata da quest’ultimo nei confronti di COGNOME NOME nel giudizio di divisione dei beni della COGNOME da quest’ultimo iniziato nel 2004, la rivalutazione del materiale istruttorio rilevante ai fini della decisione sulla domanda di usucapione accolta in primo grado.
Inammissibile è il richiamo fatto al vizio dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., in quanto non è stato individuato un fatto storico, inteso in senso fenomenico -naturalistico, che non sia stato considerato dall’impugnata sentenza, evidentemente non identificabile nell’allegato ed inesistente giudicato interno sulla domanda di usucapione.
Inammissibile è anche il riferimento alla violazione dell’art. 115 c.p.c., che può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice abbia dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche quando si lamenti che il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. ord. 6.4.2023 n. 9507; Cass. 14.3.2018 n. 6231; Cass. 28.2.2017 n. 5009). Nel caso di specie, attraverso il richiamo alla violazione dell’art. 115 c.p.c., i ricorrenti vorrebbero ottenere una rivalutazione del possesso ad usucapionem esercitato da COGNOME NOME sulla porzione
contro
versa, in particolare sotto il profilo della decorrenza iniziale, attraverso l’attribuzione di un peso probatorio prevalente all’interrogatorio formale di COGNOME NOME, alla testimonianza di NOME ed alla CTU, ma la Suprema Corte é giudice di legittimità, che non può procedere ad una diversa ricostruzione del fatto rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito nell’esercizio del libero convincimento.
Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1165 e 2943 cod. civ.
Si dolgono i ricorrenti che l’impugnata sentenza non considerando le peculiarità del caso di specie (esercizio dell’azione di regolamento dei confini ed apposizione dei termini lapidei nei confronti di COGNOME NOME senza rivendicazione del possesso della porzione controversa nel 1987 e fino alla sentenza non esecutiva del Pretore di Velletri n. 1075/1993, da parte di COGNOME NOME, e non da parte di COGNOME NOME) abbia attribuito efficacia interruttiva della prescrizione acquisitiva all’azione di regolamento dei confini esercitata da COGNOME NOME, così violando il combinato disposto degli articoli 1165 e 2943 cod. civ., che secondo la giurisprudenza della Suprema Corte consente di attribuire efficacia interruttiva della prescrizione acquisitiva solo agli atti individuati dalla legge, ed in particolare alle domande giudiziali volte al recupero del possesso.
Il terzo motivo, per la parte in cui lamenta la violazione degli articoli 1165 e 2943 cod. civ. per come interpretati dalla Suprema Corte, è manifestamente infondato, in quanto la Corte di Cassazione con orientamento consolidato riconosce che nell’azione di regolamento dei confini, non a caso denominata anche vindicatio incertae partis, l’attore è dispensato dal proporre un’espressa domanda di rilascio della porzione indebitamente occupata dalla controparte, essendo essa implicita nella proposizione dell’azione di
regolamento dei confini (vedi in tal senso Cass. 30.3.2016 n. 6148; Cass. 19.1.2016 n. 862; Cass. n. 958/2007; Cass. n. 12573/2000; Cass. n.1446/1996), alla quale nella specie si è accompagnata anche un’azione di apposizione dei termini lapidei, che ha permesso di accertare in contraddittorio con l’occupante COGNOME NOME fin dove dovesse arrivare la particella 418, che era stata ridotta dalla collocazione di una recinzione su una linea non corrispondente a quella del confine catastale.
Le sentenze della Corte di Cassazione del 6.2.1978 n. 2929 e del 29.4.1994 n.4156, richiamate dai ricorrenti, che hanno disconosciuto l’efficacia interruttiva della prescrizione acquisitiva dell’azione di regolamento dei confini, non sono invocabili nel caso di specie, in quanto esse sono intervenute in cause in cui si invocava l’acquisto per usucapione non del diritto di proprietà su un fondo dai confini incerti, ma di diritti di servitù non incompatibili con l’accertamento del confine, diritti questi ultimi in relazione ai quali la giurisprudenza attribuisce efficacia interruttiva della prescrizione acquisitiva solo all’ actio negatoria servitutis.
Ne deriva che pur non essendo stata proposta da COGNOME NOME nel 1987 contro COGNOME NOME un’espressa domanda di rilascio della porzione della particella 418 dallo stesso occupata, in quanto accorpata dalla recinzione alla di lui limitrofa particella 417 donatagli dalla madre l’DATA_NASCITA, l’azione volta ad eliminare l’incertezza oggettiva sul confine tra la particella 417 e la 418 e ad ottenere la fissazione dei termini lapidei sul confine, si è correttamente ritenuto che contenesse anche un’implicita domanda di rilascio della porzione, e poiché il diritto sulla particella 418 poi trasferito da COGNOME NOME al figli COGNOME NOME era sempre lo stesso, l’effetto interruttivo della prescrizione acquisitiva prodottosi nel 1987, e protrattosi fino alla pronuncia della sentenza del Pretore di Velletri n. 1075/1993, ha giovato anche all’avente causa
COGNOME NOME, che dalla madre ha ricevuto per testamento e per transazione coi coeredi la particella 417.
Il terzo motivo è poi inammissibile per la parte in cui vorrebbe ottenere, attraverso il richiamo alle caratteristiche della fattispecie concreta, una diversa valutazione da parte della Suprema Corte, in ordine all’efficacia interruttiva della prescrizione attribuita dall’impugnata sentenza all’azione di regolamento dei confini ed apposizione dei termini lapidei esercitata da COGNOME NOME contro COGNOME NOME. Ed invero ‘ l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare la ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata ‘ (Cass. 13.6.2014 n. 13485; Cass. 23.5.2014 n.11511; Cass. 24.5.2006 n.12362). Va infine rilevato che l’appellante aveva dedotto in sede d’impugnazione che il possesso ad usucapionem di COGNOME NOME, a suo avviso, era iniziato nel 1987 e non l’8.2.1975, e che comunque il riconoscimento dell’efficacia interruttiva della prescrizione acquisitiva, attribuita dall’impugnata sentenza all’azione di regolamento dei confini ed apposizione dei termini lapidei del 1987, era idonea ad interrompere tempestivamente l’usucapione anche in caso di fissazione all’8.2.1975 dell’inizio del possesso uti dominus di COGNOME NOME.
Col quarto motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c. ed all’art. 132 n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente, ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. nuovamente la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1165 e 2943 cod. civ..
Si dolgono i ricorrenti che l’impugnata sentenza abbia ritenuto interrotto il corso della prescrizione acquisitiva della porzione controversa dalla domanda di restituzione svolta in via riconvenzionale il 9.1.2005 da COGNOME NOME nei confronti di COGNOME NOME nella causa n. 5005/2004 RG (del Tribunale di Velletri), senza tener conto delle peculiarità del caso (domanda proposta da COGNOME NOME nell’ambito del giudizio di divisione dei beni relitti da COGNOME NOME quando ancora il medesimo non era proprietario della particella 418, rientrante tra i beni relitti, giudizio peraltro conclusosi con una transazione tra i coeredi) e fornendo una motivazione meramente apparente.
Il quarto motivo è manifestamente infondato per quanto attiene alla doglianza circa la motivazione apparente, in quanto la sentenza impugnata, anche se sinteticamente, ha attribuito a pagina 3 efficacia interruttiva della prescrizione acquisitiva sia all’azione di regolamento dei confini esercitata nel 1987 da COGNOME NOME, all’epoca proprietaria della particella 418 ed in seguito dante causa di COGNOME NOME, contenendo tale azione implicitamente una domanda di rilascio della porzione controversa, sia alla domanda riconvenzionale di restituzione di tale porzione avanzata il 9.1.2005 da COGNOME NOME nei confronti di COGNOME NOME nell’ambito del giudizio di divisione dei beni relitti da COGNOME NOME, domanda evidentemente volta a fare rientrare il possesso della porzione tra i beni relitti dalla COGNOME, per cui sono state sufficientemente esplicitate le ragioni che hanno indotto la Corte d’Appello di Roma a ritenere tempestivamente interrotto il possesso ad usucapionem sulla porzione in questione esercitato da COGNOME NOME.
Quanto alla reiterata doglianza circa una violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1165 e 2943 cod. civ., è sufficiente richiamare quanto già esposto in ordine al terzo motivo.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei ricorrenti in solido con distrazione in favore del legale antistatario del controricorrente, AVV_NOTAIO, e poiché sono state sostanzialmente confermate le ragioni che erano state poste a sostegno della proposta di definizione anticipata in base alla previsione dell’art. 380 bis ultimo comma c.p.c., i ricorrenti vanno altresì condannati in solido al risarcimento danni ex art. 96 comma 3° c.p.c. (vedi sulla configurabilità di un abuso del processo valutato sussistente dal legislatore in caso di conformità della decisione alla proposta di definizione anticipata Cass. sez. un. 22.9.2023 n. 27195) in favore di COGNOME NOME, liquidati in € 1.800,00, ed al pagamento ex art. 96 4° comma c.p.c. in favore della cassa delle ammende della somma di € 1.500,00.
In ragione della reiezione del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, sezione seconda civile, rigetta il ricorso di COGNOME NOME e COGNOME NOME, e li condanna in solido al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per spese ed € 3.100,00 per compensi, oltre IVA, C.A. e rimborso spese generali del 15%, da distrarre in favore del legale antistatario del controricorrente, AVV_NOTAIO, nonché al pagamento in favore di COGNOME NOME della somma
equitativamente determinata di € 1.800,00 ed al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di € 1.500,00.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 25.1.2024