Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19245 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 19245 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/07/2025
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE Nazionale della Previdenza sociale, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
Controricorrente
avverso la sentenza n. 5513/2018 della Corte di appello di Roma, depositata il 6.9.2018.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23.5.2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
Udite le conclusioni del P.M., in persona del sostituto Procuratore Generale dott. ssa NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udite le difese svolte dall’Avv. NOME COGNOME per la ricorrente e dall’Avv. NOME COGNOME per il controricorrente.
Fatti di causa
Con sentenza n. 5513 del 6.9.2018 la Corte di appello di Roma confermò la decisione di primo grado che aveva rigettato le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE di condanna dell’INPS al pagamento della somma di euro 35.488.211,83 a titolo di oneri aggiuntivi , residui crediti e danni e dell’ulteriore importo di euro 117.137,14 per fatture insolute, avanzate in relazione all’esecuzione da parte della esponente del contratto di appalto denominato Dm10/M-RS Cartaceo, stipulato con l’Istituto in data 30.1.1984, avente ad oggetto l’ attività di acquisizione con lettura ottica su supporto magnetico dei dati contenuti nei modelli di denuncia, da parte delle aziende, delle indennità di malattia.
La Corte territoriale motivò la decisione affermando, in adesione alla sentenza di primo grado, che i crediti azionati in giudizio erano estinti per intervenuta prescrizione, tenuto conto che le medesime pretese erano state azionate, con domanda giudiziale nel febbraio 1998, in un processo cancellato dal ruolo e poi estinto, e che nell’intervallo di tempo tra la proposizione di tale domanda e l’i ntroduzione del presente giudizio, avvenuta con atto di citazione del 25.7.2008, non erano intervenuti atti validi di interruzione della prescrizione decennale. In particolare, negò che tale efficacia interruttiva potesse essere riconosciuta all’atto di comunicazione ed invito notificato da Sopin all’INPS il 18.6.2004, non contenendo esso una chiara intimazione di pagamento dei crediti, richiamando sul punto anche le considerazioni contenute nella sentenza della Corte di Cassazione n. 27354/2016, che, in relazione ad un altro analogo rapporto di appalto intrattenuto dalle medesime parti, aveva escluso efficacia interruttiva della prescrizione alla suddetta comunicazione, nonché la motivazione di altre decisioni della medesima Corte di appello che, in relazione ad analoghe controversie tra le parti, erano pervenute alla medesima conclusione. Negò inoltre che la invocata efficacia interruttiva potesse essere attribuita alla delibera n. 71 del 2001 dello stesso INPS ed alla relazione della commissione tecnica da esso istituita per valutare la posizione dell’Istituto nei
confronti della COGNOME, trattandosi di meri atti interni, nonché alla richiesta di provvedimento ex art. 186 bis e ter c.p.c. avanzata dalla COGNOME nel precedente giudizio, essendo stata la sua efficacia travolta dalla estinzione del processo.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 7.10.2019, ha proposto ricorso la sRAGIONE_SOCIALE affidato a sette motivi.
L’INPS ha notificato controricorso.
Il P.M. e le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 132, comma 2 n.4, c.p.c. in relazione all’art. 118 disp. att. stesso codice, censurando la sentenza impugnata per omesso esame e motivazione circa la ritenuta inidoneità dell’atto di comunicazione ed invito notificato dalla Sopin all’INPS in data 18.6.2004 ad interrompere il decorso della prescrizione. Si assume che la Sopin, nell’atto in questione , aveva individuato chiaramente il proprio credito, rappresentato tutte le circostanze relative al rapporto contrattuale, riprodotto le conclusioni rassegnate con la domanda giudiziale del 1998 ed aveva invitato il debitore a transigere mediante la corresponsione di un importo inferiore a quello dovuto. La valutazione di tutti questi elementi avrebbe dovuto portare a riconoscere a tale comunicazione valore di intimazione di pagamento e quindi efficacia interruttiva della prescrizione. La Corte di merito ha invece motivato la soluzione accolta mediante un mero ed insufficiente richiamo alla sentenza della Corte di Cassazione ed alle proprie decisioni su analoghe vicende che avevano interessato le parti, trascurando una compiuta valutazion e dell’atto.
Il secondo motivo di ricorso denuncia, sotto altro profilo, violazione dell’art. 132, comma 2 n.4, c.p.c. in relazione all’art. 118 disp. att. stesso codice, assumendo che la Corte di appello è caduta in palese contraddizione laddove, per escludere alla comunicazione del 18.6.2004 efficacia di intimazione di pagamento, ha richiamato la propria precedente decisione n. 3375/2014, senza avvedersi che in essa era stato affermato che la RAGIONE_SOCIALE aveva compiutamente individuato il credito, elemento che, accompagnato dalla proposta rivolta al debitore di transigere, implicava come logica conseguenza che con la suddetta
comunicazione il creditore avesse chiaramente esplicitato la propria volontà di ottenere l’adempimento.
I due motivi di ricorso, che vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione oggettiva, non meritano accoglimento.
Occorre premettere che, in tema di provvedimenti giudiziali, la motivazione ‘per relationem’ ad un proprio precedente giurisprudenziale conforme, ammessa espressamente dall’art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c., esime il giudice dallo sviluppare proprie argomentazioni giuridiche, pur richiedendo un percorso argomentativo che consenta di comprendere la fattispecie concreta, l’autonomia del processo deliberativo compiuto e la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato, dovendosi ritenere, in difetto di tali requisiti minimi, la totale carenza di motivazione e la conseguente nullità del provvedimento (Cass. n.17403 del 2018).
Tanto premesso, la motivazione del capo della decisione impugnata risponde alle condizioni di validità sopra enunciate. La Corte territoriale ha dato ampiamente conto della fattispecie concreta devoluta alla sua cognizione e di seguire un autonomo iter argomentativo laddove ha correlato la fattispecie dedotta in giudizio alle enunciazioni formulate da questa Corte di legittimità con la sentenza n. 27534 del 2016, che aveva ritenuto corretta la valutazione condotta dalla medesima Corte di appello che, in una vicenda del tutto analoga vertente tra le stesse parti, nella sentenza n. 3375/2014, aveva negato alla comunicazione inviata da Sopin il 18.6.2004 efficacia interruttiva della prescrizione. Non è quindi fondata la critica della ricorrente secondo cui la Corte di merito, con la statuizione in questa sede impugnata, non avrebbe proceduto in termini sufficienti alla disamina dei motivi d’appello e delle doglianze con essi sollevate.
Dalla lettura della sentenza emerge inoltre che la Corte territoriale non si sia affatto sottratta all’esame diretto dell’atto di comunicazione del 18.6.2004. Muovendo dalla premessa giuridica che affinché un atto possa esplicare efficacia interruttiva della prescrizione non è sufficiente che con esso si formulino semplici sollecitazioni prive del carattere di intimazione, essendo invece necessario che venga manifestato chiaramente, senza lo svolgimento di complessa attività
interpretativa, la volontà di intimare l’adempimento, la Corte ha affermato, con un apprezzamento di merito, che i suddetti caratteri non erano invece ravvisabili nell’atto di cui si discute, con cui si sollecitava la conclusione di una transazione, a nulla valendo che ne venisse indicato l’importo e che si trovassero riprodotte le conclusioni formulate nel giudizio estinto.
Né si rinvengono nel percorso motivazionale della decisione elementi di contraddizione, tra le premesse di diritto e le risultanze di fatto richiamate e la conclusione accolta, la quale ha trovato ulteriore sostegno nelle motivazioni della menzionata pronuncia n. 27354 del 2016 di questa Corte e nelle menzionate sentenze della stessa Corte romana.
2. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 1362 c .c. e la conseguente violazione dell’art. 2943, comma 4, c.c., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto che l’atto di comunicazione del 18.6.2004 debba essere interpretato come un semplice invito alla transazione e dunque quale atto inidoneo ad interrompere il corso della prescrizione in quanto privo di efficacia di messa in mora. Si assume che tale esito ermeneutico è in contrasto con il contenuto letterale e logico dell’atto di cui si discute e con la regola della valutazione complessiva dell’atto, contenendo esso l’indicazione del quantum della pretesa creditoria e quindi la postulazione del diritto fatto valere, con la conseguenza che l’invito rivolto alla controparte a transigere esprimeva chiaramente la volontà della parte di ottenere l’adempimento. D’altronde, si aggiunge, l’atto di costituzione in mora non abbisogna di formule sacramentali né richiede la quantificazione del credito, sicché esso, ai fini dell’interruzione della prescrizione, non deve necessariamente consistere in una intimazione. In ogni caso, con l’atto di comunicazione del 18.6.2004 la odierna ricorrente aveva invitato esp ressamente l’ INPS ad effettuare un versamento in denaro, seppur inferiore a quello dovuto, sicché non si poteva negare che esso costituisse un’intimazione a pagare e quindi una costituzione in mora .
Il motivo appare inammissibile.
In primo luogo trovando applicazione nel caso di specie la fattispecie di inammissibilità del ricorso contemplata dall’art. 360 bis n.1) c.p.c., avendo la Corte di appello risolto la questione controversa in senso conforme
all’orientamento di questa Corte, espresso sia con la menzionata sentenza n. 27354 del 2016 che con le successive ordinanze n. 3192 e 3255 del 2024.
In secondo luogo, dovendosi sottolineare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l a valutazione dell’idoneità di un atto ad interrompere la prescrizione – quando (è il caso di specie) non si tratti degli atti previsti espressamente e specificamente dalla legge come idonei a determinare l’ effetto interruttivo, come nei casi indicati nei primi due commi dell’art. 2943 cod. civ. – costituisce apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e, come tale, è insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici ed errori giuridici.
Costituisce inoltre indirizzo consolidato nelle giurisprudenza di legittimità che l’interpretazione si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito e le relative censure non possono consistere tout court -come nella specie – in una critica del risultato ermeneutico raggiunto dal giudice. Nel caso di specie, la Corte di appello ha escluso che la comunicazione contenesse una intimazione di pagamento, rinvenendovi un semplice invito a transigere, reputando che l’indicazione dell’importo vantato e la stessa riproduzione delle conclusioni rassegnate nel giudizio dichiarato estinto non esprimessero la volontà di pretendere il pagamento, ma costituissero, nelle intenzioni della società, le basi su cui discutere i termini dell’eventuale accordo transattivo.
Trattasi di valutazione di merito, del tutto plausibile, che non evidenzia alcuna violazione del criterio letterale di interpretazione, ed il cui risultato non può essere messo in discussione in sede di giudizio di legittimità proponendo una interpretazione alternativa.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132, comma 2 n. 4, c.p.c., censurando la decisione impugnata per carenza di motivazione laddove ha escluso valore di ricognizione di debito alla delibera n. 71/2001 dell’I.N.P.S., che aveva istituito una commissione tecnica al fine di accertare i fatti che avevano dato luogo al contenzioso e la fondatezza dello stesso. Il relativo capo della decisione risulta giustificato mediante un mero richiamo alla sentenza della Corte di Cassazione n. 27354 del 2016, senza un esame diretto dell’atto.
Il motivo è infondato.
Dalla lettura della sentenza risulta chiaramente che la Corte territoriale non si è affatto limitata ad argomentare la sua decisione mediante richiamo alle considerazioni contenute nella già citata sentenza di questa Corte, ma ha espressamente dichiarato di condividerle, spiegando le ragioni, laddove ha affermato che la delibera era un mero atto interno che si era limitata a conferire alla commissione istituita un mandato esplorativo, e che tali caratteri portavano ad escludere la configurabilità in essa di una ricognizione di debito ovvero la volontà di rinunciare alla prescrizione.
Il quinto motivo di ricorso denuncia vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e conseguente violazione dell’art. 2944 c.c..
Premesso che non si versa in un’ipotesi di ‘doppia conforme’, atteso che la decisione di primo grado non ha esaminato la delibera n. 71 del 2001 dell’INPS, si assume che la Corte di appello ha omesso di tenere conto dell’attività della commissione e della sua relazione finale, senza considerare che alla sua istruttoria aveva partecipato la stessa ricorrente, con conseguente effetto sospensivo della prescrizione. Risulta altres ì ignorato l’esito del procedimento, conclusosi con una relazione che ha accertato la responsabilità dell’Istituto.
Il mezzo è infondato.
La lettura della sentenza impugnata dimostra che la Corte di appello ha esaminato sia la delibera sopra menzionata, che la relazione finale, ma ne ha escluso gli effetti invocati dalla appellante in ragione della natura meramente interna della Commissione e del carattere solo esplorativo del mandato conferitole, giungendo per tale via alla conclusione che essa non aveva il potere di vincolare l’Istituto alle sue conclusioni. Le ragioni esposte appaiono direttamente riferibili non solo alla delibera, ma, evidentemente, anche all’attività della commissione in parola, circostanza che esclude la ricorrenza del vizio denunciato di omesso esame di fatto decisivo.
5. Il sesto motivo di ricorso denuncia vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e conseguente violazione dell’art. 2944 c.c. , assumendo che la Corte di appello n on ha tenuto conto che l’ INPS non ha né disconosciuto né contestato gli esiti dell’attività della commissione di indagine, cui aveva conferito
mandato di accertare se vi fosse margine per la definizione stragiudiziale della controversia, ma ha fatto propria la relazione conclusiva della commissione ed ha così riconosciuto il proprio debito.
Il motivo appare in parte infondato e per il resto inammissibile.
Infondato avendo il giudice a quo valutato, come detto, la relazione conclusiva della commissione in parola, escludendo che essa, attesa la natura dell’incarico conferito, potesse vincolare l’ Istituto.
Sotto altro profilo, la censura è inammissibile in quanto sollecita una nuova e diversa valutazione dei fatti, avanzando prospettive alternative non consentite in sede di legittimità.
Il settimo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 1 Protocollo Addizionale CEDU, assumendo che la sentenza impugnata , nell’escludere alla citata comunicazione del 18.6.2004 effetto interruttivo della prescrizione, ha deciso la causa con una motivazione ispirata ad un rigorismo formale che ha vanificato la tutela sostanziale del credito.
Il motivo non merita accoglimento.
Come la stessa Corte di appello ha precisato, la questione della maturazione o meno della prescrizione del diritto di credito si pone al di fuori del processo e non investe i valori dell’accesso alla tutela giurisdizionale.
Per il resto la censura è inammissibile, in quanto fondata su una valutazione della decisione non ancorata ad elementi oggettivi, tenuto conto che la sentenza appare fondata su una interpretazione delle norme conforme alle altre sentenze intervenute tra le parti per rapporti contrattuali analoghi e su principi consolidati nella giurisprudenza.
7. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 25.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 maggio 2025.