Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22604 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22604 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 18423/2023 r.g. proposto da:
COGNOME in qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso il loro studio.
-ricorrente-
CONTRO
REGIONE LOMBARDIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME dell’Avvocatura Regionale , elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME , INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia n. 245/2023, depositata il 9/2/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME titolare della RAGIONE_SOCIALE svolgendo attività agricola, presentava il 13/5/2005 domanda di contributo PAC volta ad ottenere dalla Regione Lombardia l’importo di euro 160.256,17, relativo alla campagna 2005, abbinando i titoli in proprietà con terreni condotti a pascolo nei Comuni di Rocca di Mezzo (AQ) di Gossolengo e di Piacenza.
Inizialmente la Regione Lombardia ammetteva il richiedente al contributo; nel maggio 2006 vi era la sospensione del pagamento con riferimento ad un procedimento penale che vedeva coinvolto il COGNOME (in primo grado veniva pronunciata sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione e in appello, su impugnazione proposta dal COGNOME, veniva pronunciata sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto).
In data 18/3/2008 veniva revocato il contributo con provvedimento di decadenza.
Solo nel luglio del 2018 la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio la Regione chiedendo la condanna dell’organismo pagatore regionale al pagamento dell’importo sopraindicato.
La Regione eccepiva la prescrizione del diritto, essendo decorsi 10 anni dalla revoca del contributo, avvenuta il 18/3/2008.
Il Tribunale di Cremona, con sentenza n. 170/2020 del 28/4/ 2020, respingeva la domanda, non reputando ravvisabile nella condotta della Regione, anche successivamente al provvedimento di de-
cadenza, una rinuncia implicita all’eccezione di prescrizione come sostenuto dall’attrice, in ragione della corrispondenza intrattenuta tra le parti.
Il provvedimento di decadenza, tra l’altro, era stato legittimamente emesso, in quanto il richiedente non deteneva la particella 34 di cui alla domanda e la stessa costituiva più del 20% della superficie determinata dall’organismo pagatore, con la conseguente decadenza dall’intero contributo.
Proponeva appello la COGNOME evidenziando che la condotta dell’appellata era incompatibile con la volontà di avvalersi della prescrizione, costituendo quindi «rinuncia implicita alla causa estintiva del diritto».
Venivano indicate le missive della Regione del 18/7/2014, dove l’ente pubblico si era limitato a giustificare le ragioni della revoca del pagamento, richiamando il procedimento penale nonché la dichiarazione di una consistenza di superficie dei terreni per i quali non vi era valido titolo di conduzione, nonché una lettera del 2/3/2016, con cui la Regione aveva confermato la precedente missiva, ribadendo che la convenzione tra la RAGIONE_SOCIALE e il Comune di Rocca di Mezzo non ricomprendeva il terreno della particella 1 foglio 34, asseritamente affittata dall’ente pubblico alla ABICA e da questa subaffittata all’RAGIONE_SOCIALE.
In sostanza, l’appellante reputava intervenuta una rinuncia alla prescrizione.
Con il secondo motivo di impugnazione l’appellante lamentava che il giudice non avesse valorizzato il fatto che il contributo era stato dapprima concesso, previa valutazione della spettanza del diritto, poi negato sulla base della pendenza di un procedimento penale da cui però il COGNOME era stato prosciolto per non aver commesso il fatto. Ciò
avrebbe dovuto indurre il giudice a ritenere fondata la domanda di NOME.
La Corte d’appello, con sentenza n. 245/2023, depositata il 9/2/2023, rigettava il gravame.
In particolare, la Corte d’appello rilevava che non era «possibile una rinunzia preventiva alla prescrizione e neppure quando il termine sia in corso» ex art. 2937, secondo comma, c.c.
Ove pure si fosse ritenuta sussistere una rinuncia successiva al termine di prescrizione, sarebbe stato necessario un comportamento inequivoco ex art. 2937, terzo comma, c.c.
Nella specie, invece, i comportamenti indicati dall’appellante «si sarebbero interamente svolti nel corso del decennio dall’atto suindicato (18/3/2008)».
Le missive richiamate, poi, non potevano configurarsi come rinuncia tacita alla prescrizione, non sussistendo un’incompatibilità assoluta tra il comportamento del debitore e la volontà del medesimo di avvalersi della causa estintiva del diritto altrui.
Per la Corte territoriale «il mero sostenere argomentazioni diverse ma pur sempre volte a negare il diritto controverso» non poteva costituire implicita rinuncia a valersi della prescrizione estintiva.
Pertanto, dopo il provvedimento di decadenza del marzo 2008, non vi erano stati atti di riconoscimento del diritto che potessero avere efficacia interruttiva della prescrizione ex art. 2944 c.c.
Neppure vi erano in atti documenti che potessero attestare l’interruzione della prescrizione da parte del creditore, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio, purché basata su elementi probatori già acquisiti in atti.
Nella missiva del 21/10/2014, a parte il riferimento a una richiesta di pagamento riportata nell’oggetto, ma non definita temporalmente, non vi era «alcuna specifica richiesta di pagamento ma al più
di un incontro presso la sede ‘al fine di una migliore definizione dei fatti’».
Neppure integrava atto di costituzione in mora la missiva del 16/ 12/2014, con analogo oggetto, con la quale si faceva riferimento a una richiesta di apertura della pratica e si invitava l’OPR ha una risposta in tempi rapidi.
Tra l’altro, «nessuna delle due risulta effettivamente inviata alla Regione e da questa ricevuta»; ma comunque, ad avviso della Corte d’appello, «non viene in fatto alcuna costituzione in mora, con conseguente operatività della prescrizione, essendo trascorsi più di 10 anni dalla comunicazione del 18 marzo 2008 e la notificazione dello atto introduttivo del giudizio di primo grado, avvenuta il 19/7/2018.
4.1. Reputava assorbito il secondo motivo.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME in qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la Regione Lombardia.
CONSIDERATO CHE:
Con un unico motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 2943 c.c. e 2944 c.c., con riferimento al contenuto degli atti interruttivi della prescrizione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In particolare, per il ricorrente trova applicazione l’art. 2943, quarto comma, c.c., a mente del quale «la prescrizione è inoltre interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore».
La Corte territoriale avrebbe «trascurato e non la dovuta importanza alle missive con le quali era stato manifestato il diritto spettante».
Inoltre, la Corte d’appello non avrebbe «indagato la rilevanza di tutte le prove versate in atti ai fini della qualificazione del comportamento del titolare del diritto come incompatibile con la facoltà di coltivare l’eccezione».
Pertanto, il ricorrente si è soffermato sul contenuto dei documenti 10, 11, 12 e 13.
Nel documento 10, e quindi nella nota della Regione Lombardia del 30/5/2014, sarebbe ravvisabile una costituzione in mora, in quanto l’oggetto della missiva sarebbe descritto come «richiesta di pagamento PAC 2005».
Inoltre, con la stessa si chiedeva «lo sblocco del pagamento del premio unico anno 2005».
Nel documento 11 si identifica la comunicazione del 21/10/2014, con cui il COGNOME trasmetteva alla Regione Lombardia la sentenza della Corte d’appello di Trento di assoluzione, con la formula per non aver commesso il fatto, oltre al titolo di conduzione del fondo. Vi sarebbe stata una specifica richiesta di pagamento e non una semplice richiesta di incontro presso la sede al fine di una migliore definizione dei fatti, tanto che si sottolineava l’espressione «alla luce di quanto sopra, si chiede riesame della vostra valutazione in merito».
Il documento 12 è costituito dalla missiva del 16/12/2014, in cui nell’oggetto si precisava trattarsi di «richiesta di pagamento PAC 2005».
Il documento 13 è costituito dalla missiva del 2/3/2016, sempre con oggetto «richiesta di pagamento».
Pertanto, per il ricorrente nelle missive richiamate, da un lato, vi erano atti di costituzione in mora e, dall’altro, vi era la rinunzia implicita a far valere la prescrizione.
2. Il motivo è inammissibile.
2.1. Anzitutto, si rileva che non è stata impugnata la ratio decidendi relativa alla circostanza che non si poteva rinunciare alla prescrizione prima della maturazione della stessa ex art. 2937, secondo comma, c.c.
Neppure è stata impugnata la ratio decidendi per la quale non vi era la prova che le missive fossero state ricevute dalla Regione.
Ed infatti, la Corte d’appello, nella sentenza impugnata, ha affermato che «deve innanzitutto evidenziarsi come non sia possibile una rinunzia preventiva alla prescrizione e neppure quando il termine sia in corso».
Ha precisato la Corte territoriale che «nel caso specifico i comportamenti indicati dall’appellante sarebbero invece interamente svolti nel corso del decennio dall’atto suindicato (18/3/2008)».
Quanto poi alle missive del 21/10/2014 e del 16/12/2014, nel cui oggetto è riportata la richiesta di pagamento, non definita temporalmente, la Corte d’appello ha evidenziato che «stando alla documentazione, nessuna delle due risulta effettivamente inviata alla Regione e da questa ricevuta».
Ciò in relazione all’affermazione del ricorrente per cui tali missive rappresenterebbero atti di costituzione in mora.
2.2. Si è anche in presenza di una doppia decisione conforme di merito, con l’impossibilità di proporre una censura sulla motivazione ex art. 348-ter c.p.c., nella versione all’epoca vigente.
2.3. Il motivo è anche inammissibile in quanto, pur ammantato di un vizio di violazione di legge, in realtà svolge una censura sulla motivazione della sentenza della Corte d’appello, richiedendo una nuova valutazione degli elementi istruttori, già compiutamente esaminata dal giudice di secondo grado, non consentita in questa sede.
È inammissibile, infatti, il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirandosi,
in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (cfr. Cass., sez. 6-3, 4/4/2017, n. 8758; Cass., sez. 2, 19/7/2021, n. 20553).
2.4. Per questa Corte (cfr. Cass., sez. 2, 18/8/2022, n. 24913; Cass., sez. 6-1, 14/6/2018, n. 15714; Cass., sez. L, 25/8/2015, n. 17123; Cass., sez. 2, 3/12/2010, n. 24656; Cass., sez. 3, 12/2/ 2010, n. 3371) infatti, al fine di produrre effetti interruttivi della prescrizione un atto deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di fare valere il proprio diritto, con l’effetto sostanziale di costituire in mora il soggetto indicato (elemento oggettivo). La valutazione circa la ricorrenza di tali presupposti – il secondo dei quali, pur richiedendo la forma scritta, non postula l’uso di formule solenni, né l’osservanza di particolari adempimenti – è rimessa all’accertamento di fatto del giudice di merito ed è, pertanto, del tutto sottratta al sindacato di legittimità (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva riconosciuto efficacia interruttiva a due raccomandate inviate dal creditore e contenenti l’invito al debitore ad adempiere, cui questi aveva risposto riconoscendo la legittimità dell’altrui pretesa, manifestando, altresì, la propria volontà di pronto adempimento) (cfr. Cass., sez. 2, 31/5/2021, n. 15140).
Le medesime osservazioni valgono anche con riguardo alla pretesa rinunzia alla prescrizione, che sarebbe stata contenuta nelle missive scambiate tra le parti.
Ed infatti, per questa Corte perché sussista rinuncia tacita alla prescrizione è necessaria un’incompatibilità assoluta tra il comportamento del debitore e la volontà del medesimo di avvalersi della causa
estintiva del diritto altrui; occorre cioè che nel comportamento del debitore sia insita, senza possibilità di una diversa interpretazione, l’inequivoca volontà di rinunciare alla prescrizione già maturata e, quindi, di considerare come tuttora esistente ed azionabile quel diritto che si era estinto. L’accertamento compiuto al riguardo dal giudice di merito è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da congrua e logica motivazione (cfr. Cass., sez. L, 13/11/2001, n. 14091; Cass., sez. 2, 15/7/2002, n. 10235).
Nella specie, la Corte territoriale ha esaminato analiticamente i documenti indicati dal ricorrente.
Con la missiva del 18/7/2014 la Regione si era limitata a giustificare le ragioni della revoca del pagamento già disposto nel 2005, richiamando il procedimento penale nonché la dichiarazione di una consistenza di superficie di terreni per i quali non vi era valido titolo di conduzione. Con riguardo alla missiva del 2/3/2016 la Regione aveva confermato la precedente lettera, ribadendo che la convenzione tra la RAGIONE_SOCIALE e il Comune di Rocca di Mezzo non ricomprendeva il terreno di cui alla particella 1 foglio 34, asseritamente affittata dall’ente pubblico alla RAGIONE_SOCIALE e da questa subaffittata ad Agristudios.
La Corte territoriale, sul punto ha osservato che «non può in alcun modo sostenersi che, prima e al di fuori del giudizio, il mero sostenere argomentazioni diverse ma pur sempre volte a negare il diritto controverso, costituisca implicita rinuncia a valersi della prescrizione estintiva».
Vale comunque il principio giurisprudenziale per cui il giudice del merito non è tenuto ad esaminare tutti i documenti utilizzati per giungere alla sua decisione, dovendosi presumere che gli altri siano stati ritenuti non idonei e rilevanti.
Per questa Corte, infatti, l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass., sez. L, 21/7/2010, n. 17097; Cass., sez. 1, 2/8/ 2016, n. 16056).
5. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico del ricorrente si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 5.000,00, oltre 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 aprile 2025