Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23496 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23496 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29084/2020 R.G. proposto da
COGNOME , domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOME , domicilio digitale presso PEC EMAILordineavvocatichietiEMAIL, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA n. 959/2020 depositata il 30/06/2020.
Oggetto: Pubblica amministrazione -Prestazioni professionali -azione ex art. 2041 c.c. – Prescrizione -Interruzione -art. 2945 c.c.
R.G.N. 29084/2020 Ud. 27/06/2025 CC
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 27/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 959/2020, pubblicata in data 30 giugno 2020, la Corte d’appello di L’Aquila, nella regolare costituzione dell’appellato COMUNE DI COGNOME ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Chieti n. 627/2016, pubblicata il 16 settembre 2016.
NOME COGNOME aveva agito ex art. 2041 c.c. nei confronti del COMUNE DI COGNOME, in relazione all’espletamento di un incarico professionale che -sosteneva lo stesso ricorrente -indipendentemente dall’assenza di valido conferimento per nullità ex art. 284 T.U.L.C.P. della delibera e per mancanza di un contratto scritto sottoscritto dalle parti, si era comunque tradotto in una utilità per lo stesso COMUNE.
Aveva ulteriormente precisato di avere già in precedenza azionato la pretesa economica in sede monitoria innanzi al Tribunale di Vasto ma che il giudizio scaturito dall’opposizione dello stesso COMUNE si era concluso: in primo grado con sentenza del Tribunale di Vasto n. 177/ 1995, che aveva revocato i decreti ingiuntivi ottenuti dallo stesso ricorrente; in secondo grado con la sentenza n. 923/2002 della Corte di Appello di L’Aquila, che aveva dichiarato il difetto di competenza del giudice ordinario, essendo la controversia rimessa a giudizio arbitrale; in sede di legittimità con la sentenza della Suprema Corte n. 10068/ 2008, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso; in sede arbitrale con la declaratoria di estinzione.
Costituitosi regolarmente il COMUNE DI COGNOME, il Tribunale di Chieti aveva dichiarato la domanda inammissibile, sul rilievo
che la stessa non era stata tempestivamente proposta nel precedente giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale di Vasto.
La Corte d’appello di L’Aquila ha disatteso il gravame di NOME COGNOME ritenendo tuttavia fondate le censure mosse alla decisione di prime cure, nella parte in cui la stessa aveva affermato l’inammissibilità della domanda.
La Corte territoriale, infatti, ha osservato che dalla mancata tempestiva proposizione della domanda ex art. 2041 c.c. nel precedente giudizio non poteva in alcun modo farsi derivare la preclusione alla proposizione della domanda stessa in un successivo e separato giudizio, come era avvenuto nella specie.
Dopo avere esclusa l’inammissibilità della domanda per difetto del requisito della sussidiarietà, la Corte d’appello ha tuttavia ritenuto che la stessa fosse prescritta.
A tal riguardo, infatti, la Corte territoriale ha rilevato che:
-l’odierno ricorrente aveva azionato la domanda ex art. 2041 c.c. anche nel precedente giudizio ma solo in grado di appello e non in primo grado né, ancor prima, con i ricorsi per decreto ingiuntivo;
-tale domanda, seppur tardivamente proposta, aveva costituito idoneo atto di interruzione del termine di prescrizione ai sensi dell’art. 2943, secondo comma, c.c., con conseguente applicabilità dell’art. 2945 c.c.;
-tuttavia, nella specie, si doveva escludere che l’effetto interruttivo si fosse protratto sino alla decisione di questa Corte n. 10068/2008 del 16 aprile 2008, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso avverso la (prima) decisione della Corte d’appello di L’Aquila, e ciò in quanto tale decisione aveva definito il giudizio dichiarando il difetto di competenza dell’autorità giu-
diziaria ordinaria, per essere la controversia devoluta ad arbitri, mentre il giudizio arbitrale successivamente instaurato era stato dichiarato estinto per mancata tempestiva riassunzione dinanzi agli arbitri;
-conseguentemente, ai sensi dell’art. 2945, terzo comma, c.c. doveva ritenersi venuto meno l’effetto interruttivo della prescrizione previsto dall’art. 2945, secondo comma, c.c. per tutta la durata del giudizio, operando unicamente l’effetto interruttivo istantaneo connesso alla proposizione della domanda ex art. 2041 c.c. in sede di appello;
-pertanto, avuto riguardo alla data di formulazione della domanda ex art. 2041 c.c. in sede di appello -1995 -ed essendo stato proposto il successivo giudizio nell’anno 2015, era venuto a maturare il termine di prescrizione;
-era, infine da escludere, la sussistenza di altri validi atti interruttivi, tali non essendo né una nota in data 5 aprile 2003 a firma del legale del ricorrente -non essendo provata né la spedizione né la ricezione di tale nota e contenendo la medesima una mera disponibilità da parte del professionista alla transazione della vertenza -né ulteriori note comunque contenenti proposte transattive -in quanto risalenti agli anni 2008, 2010 e 2011 e quindi successive al maturare del termine decennale decorrente dal 1995 -né la proposizione del giudizio arbitrale -in quanto avvenuta nel 2012 a termine di prescrizione decorso -risultando quindi il diritto estinto per prescrizione.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di L’Aquila ricorre ora NOME COGNOME
Resiste con controricorso il COMUNE DI COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Il controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’unico motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 2943, 2945 e 2947 c.c.
Il ricorrente censura la decisione impugnata, argomentando che la Corte territoriale:
-avrebbe applicato in modo errato l’art. 2945 c.c. omettendo di considerare il fatto che la precedente sentenza declinatoria di competenza adottata dalla Corte d’appello era stata impugnata in sede di legittimità, con la conseguenza che l’effetto interruttivo si era protratto sino al passaggio in giudicato della decisione di questa Corte nel 2008;
-avrebbe omesso di rilevare che il termine decennale di prescrizione era stato comunque nuovamente interrotto dal ricorrente sempre nel giudizio innanzi a questa Corte, essendo stato in quella sede proposto ricorso incidentale;
-avrebbe erroneamente negato valenza interruttiva alle missive successivamente inviate per assenza di prova della ricezione delle medesime, sebbene la circostanza della ricezione non fosse mai stata contestata dall’odierno controricorrente.
Deve essere in primo luogo disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di valida procura, sollevata dal controricorrente.
È bensì vero che nell’intestazione del ricorso si dichiara che il ricorrente è difeso dall’avvocato COGNOME in virtù di procura a margine dello
atto di citazione notificato il 30.04.2015 ‘ ma tale indicazione deve ritenersi frutto di un mero lapsus calami, in quanto il ricorso reca in calce una regolare procura speciale (oggetto di notifica unitamente al ricorso) contenente l’espresso riferimento alla decisione che è in questa sede impugnata ed al rilascio della procura medesima ai fini della proposizione del ricorso in cassazione.
Nel merito, il ricorso è infondato.
3.1. Il primo dei tre profili in cui si viene ad articolare il mezzo risulta infondato, in quanto la decisione impugnata risulta essersi pienamente conformata al principio di diritto -reiteratamente enunciato da questa Corte -a mente del quale l’instaurazione del giudizio interrompe la prescrizione e ne sospende il decorso fino al passaggio in giudicato della sentenza (anche di rito) che lo definisce, ma nell’ipotesi in cui il processo si concluda con una pronuncia declinatoria della competenza – insuscettibile di passaggio in giudicato in senso sostanziale -e venga ad estinguersi per mancata tempestiva riassunzione -il conseguente venir meno dell’unicità del processo non permette il prodursi dell’effetto sospensivo ex art. 2945, secondo comma, c.c. – operante solo se l’estinzione viene evitata – e la prescrizione decorre dalla notificazione dell’atto introduttivo del giudizio estinto (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 29554 del 15/11/2024; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 34100 del 19/12/2019; Cass. 6-3, Ordinanza n. 22002 del 06/12/2012).
Ne consegue che l’impugnazione in sede di legittimità della precedente sentenza declinatoria di competenza n. 923/2002 adottata dalla Corte d’appello di L’Aquila non poteva valere a determinare il prodursi dell’effetto interruttivo permanente di cui all’art. 2945, secondo comma, c.c., perché questa Corte, con la decisione n. 10068/2008, aveva respinto il ricorso proposto dall’odierno controricorrente, determinando la necessità di instaurare quel procedimento arbitrale il cui
esito era stato, appunto, quello della mera estinzione per tardiva riassunzione, con conseguente venir meno dell’unicità del processo ed applicazione dell’art. 2945, terzo comma, c.c.
Nessun effetto di giudicato, invece, poteva ricollegarsi alla sentenza declinatoria di competenza, con la conseguenza che risulta infondata la tesi del ricorrente, secondo il quale l’effetto interruttivo si sarebbe protratto sino al passaggio in giudicato della precedente decisione di questa Corte n. 10068/2008.
3.2. Inammissibile, invece, è il secondo profilo dedotto dal ricorrente.
L’argomentazione svolta dal ricorrente -e cioè che il termine decennale di prescrizione sarebbe stato nuovamente interrotto nel precedente giudizio innanzi a questa Corte, essendo stato in quella sede proposto ricorso incidentale, azionando nuovamente la pretesa -risulta radicalmente viziata, in quanto omette radicalmente riprodurre o adeguatamente localizzare il ricorso incidentale nel quale tale domanda sarebbe stata formulata, violando in tal modo irrimediabilmente la regola di specificità di cui all’art. 366, n. 6, c.p.c.
3.3. Altrettanto inammissibile risulta l’ulteriore deduzione svolta sempre nell’ambito del medesimo mezzo, e cioè l’avere la decisione impugnata erroneamente negato valenza interruttiva ad una serie di missive successivamente inviate dal ricorrente, a causa dell’assenza di prova della ricezione delle missive medesime, omettendo di considerare che la circostanza della loro ricezione non era mai stata contestata dall’odierno controricorrente.
Anche in questo caso, infatti, si deve constatare il mancato rispetto dell’art. 366, n. 6, c.p.c., non essendo in alcun modo riprodotte o localizzate le difese dell’odierno controricorrente, dalle quali si sarebbe
dovuto evincere un atteggiamento di non contestazione delle allegazioni dell’odierno ricorrente.
Si deve, del resto, rammentare che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte, la quale, ex art. 115 c.p.c., produce l’effetto della relevatio ab onere probandi (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 3680 del 07/02/ 2019), in quanto tale apprezzamento esige l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda e delle deduzioni delle parti da ciò derivando che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione risulta sindacabile in cassazione solo per solo per difetto assoluto o apparenza di motivazione o per manifesta illogicità della stessa (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27490 del 28/10/ 2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 10182 del 03/05/2007).
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’Amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
La Corte, rigetta il ricorso, condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 6.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima