Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21291 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21291 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 789 del ruolo generale dell’anno 2020 , proposto da
COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE nato a San Procopio il 06.02.1928, residente a San Procopio in INDIRIZZOINDIRIZZO, rappresentato e difeso per procura resa in calce al ricorso, ai sensi dell’art. 83 3° co, c.p.c.1 dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CLC CODICE_FISCALE) del Foro di Reggio Calabria, presso il cui studio sito in Reggio Calabria, INDIRIZZO, 89125, elettivamente domicilia. Il procuratore dichiara dì voler ricevere tutte le comunicazioni e notificazioni al seguente indirizzo p.e.c.: EMAIL o al seguente numero di fax: NUMERO_TELEFONO
Ricorrente
contro
Comune di San Procopio , (P.IVA P_IVA), in persona del Sindaco legale rappresentante pro tempore, Arch. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (CF MND CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato presso il di lei studio in Taurianova (RC) c.da INDIRIZZO, come da procura rilasciata con atto separato, che dichiara espressamente
ai fini e per gli effetti degli artt. 133, 134 e 136, comma 3, c.p.c. di voler ricevere le comunicazioni dì Cancelleria a mezzo p.e.c.: EMAIL
Controricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria n° 863 depositata il 10 dicembre 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- NOME COGNOME proprietario di un suolo in Comune di San Procopio esteso mq 5.040, ne subiva nel 1993 l’occupazione da parte del Comune.
Il COGNOME, quindi, con citazione notificata nello stesso anno conveniva in giudizio l’Ente locale davanti al Tribunale di Palmi e, premesso che all’occupazione non era seguito l’esproprio, con sentenza n° 623/1999 ne otteneva la condanna al pagamento di lire 218.636.771 a titolo di indennizzo.
Su impugnazione del Comune la Corte d’appello di Reggio Calabria con sentenza n° 169/2001 (RG 15/2000) riformava la prima decisione e rigettava la domanda dell’attore.
Osservava la Corte che non vi era stata alcuna illegittima occupazione da parte del Comune, in quanto il decreto di esproprio (prodotto per la prima volta in sede di gravame) era stato tempestivamente emesso.
Il COGNOME si era costituito nel giudizio di appello chiedendo in via riconvenzionale la conversione dell’originaria domanda risarcitoria in opposizione alla stima, ma l’automatismo invocato non poteva trovare accoglimento, in quanto egli aveva ricevuto notifica del decreto di esproprio il 28 maggio 1995 e, ciononostante, aveva continuato a coltivare davanti al Tribunale di Palmi la sola domanda risarcitoria.
2 .- Con successiva citazione del 21 giugno 2007 il Posterino conveniva nuovamente in giudizio il Comune di San Procopio, questa volta davanti alla Corte d’appello di Reggio Calabria, onde ottenere la liquidazione dell’indennità definitiva di esproprio, che, a suo dire, non solo non gli era stata comunicata, ma nemmeno era mai stata quantificata.
Il Comune si costituiva ed eccepiva la decadenza dell’attore a causa della mancata osservanza del termine previsto dall’art. 19 della legge 22 ottobre 1971 n° 865 e la prescrizione del diritto, contestando anche il merito della pretesa.
3 .- Con la sentenza indicata in intestazione la Corte reggina disattendeva l’eccezione di decadenza, ma accoglieva quella di prescrizione.
Osservava in particolare la Corte che il termine prescrizionale ordinario di dieci anni decorreva dalla notifica del decreto di esproprio, avvenuta il 28 aprile 1995, mentre la citazione introduttiva della lite era stata notificata il 21 giugno 2007, dunque oltre dieci anni dopo.
Il COGNOME aveva dedotto che, nel precedente giudizio di appello, iscritto sub RG n° 15/2000 (davanti alla Corte d’appello di Reggio Calabria), aveva chiesto la conversione della domanda risarcitoria in opposizione alla stima.
Tuttavia, l’interruzione della prescrizione non poteva considerarsi prodotta da un qualsiasi atto processuale, occorrendo invece un’autentica domanda avanzata nel corso del giudizio: requisito assente nella comparsa di risposta del Posterino, depositata il 10 marzo 2000 (nel giudizio RG n° 15/2000, definito con la sentenza n° 169/2001), in quanto la richiesta di conversione ‘ venne formulata in termini di mera deduzione difensiva, con la seguente allegazione: «nel presente grado del giudizio la originaria azione deve ritenersi convertita in quella di opposizione alla stima. E tanto
chiede espressamente il Posterino in virtù del generale principio della conservazione degli atti processuali» ‘.
L’ablato, inoltre, aveva allegato un ulteriore atto interruttivo, consistente nella lettera datata 12 dicembre 2001 inviata al Comune, che, tuttavia, conteneva una mera (e rinnovata) sollecitazione a dar conto dello stato della procedura espropriativa, tant’è che sulla base della documentazione ricevuta il COGNOME instaurò un ulteriore giudizio nel 2002, diretto ad ottenere la declaratoria di decadenza o revoca della dichiarazione di P.U. e la conseguente retrocessione del bene espropriato.
Da ultimo, mancava comunque la prova della ricezione di tale missiva da parte del Comune, sebbene essa fosse menzionata in una successiva lettera dell’Ente territoriale (nota n° 597 del 6 aprile 2006) di risposta ad una missiva del difensore del Posterino (del 4 aprile 2006).
4 .- Ricorre per cassazione il COGNOME, affidando il gravame a due mezzi.
Resiste il Comune, che conclude per l’inammissibilità dell’impugnazione e comunque per il suo rigetto.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
Solo il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5 .- Col primo motivo -rubricato ‘ violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, co. I, n. 3), 4) e n. 5) c.p.c. – degli art. 111 cost., co. 6, 112, 115 e 116 cpc. Procedibilità della domanda ed esigibilità del diritto all’indennità di esproprio ex art. 42 cost. violazione di legge e falsa applicazione dell’artt. 2943 e 2945 n. 3 c.c. omesso esame di fatti decisivi per il giudizio errore di fatto ‘ -il ricorrente si lamenta dell’accoglimento dell’eccezione di prescrizione.
Contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, la richiesta di conversione della domanda risarcitoria in domanda indennitaria -formulata nel giudizio di appello iscritto a RG 15/2000 e terminato con la sentenza della Corte territoriale di Reggio Calabria n° 169/2001 -sarebbe stata una vera e propria domanda nuova e come tale era stata anche considerata dalla controparte (che ne aveva chiesto la reiezione) e trattata dal giudice di secondo grado, che infatti l’aveva dichiarata inammissibile.
Essa, dunque, sarebbe stata almeno sufficiente ad interrompere la prescrizione.
6 .- Il mezzo è inammissibile.
Giova premettere che la Corte d’appello ha escluso l’efficacia interruttiva della richiesta di conversione della domanda risarcitoria in domanda indennitaria procedendo all’interpretazione degli atti processuali del giudizio iscritto a RG n° 15/2000 e definito con la già menzionata sentenza n° 169/2001.
La Corte, in particolare, è partita dalla constatazione che non potesse dirsi idoneo a provocare un effetto interruttivo del termine prescrizionale qualsiasi atto del processo, genericamente inteso, e che occorresse invece un’autentica domanda proposta nel corso del giudizio.
Ora, l’interpretazione degli atti processuali è attività rimessa unicamente al giudice del merito, il cui risultato è sindacabile in sede di legittimità solo ove non investa il risultato interpretativo, ma si concreti in una censura del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta (per tutte: Cass., sez. I, 2 agosto 2016, n° 16057).
Ebbene, come deciso in un caso analogo al presente, sebbene a parti invertite (Cass., sez. I, 10 novembre 2018, n° 29609), le censure del ricorrente investono la ricostruzione del contenuto degli atti processuali nel giudizio d’appello RG n° 15/2000, la cui
interpretazione, in quanto volta ad individuare l’intento concretamente perseguito dal Posterino (domanda o mera difesa), si risolve un’indagine di fatto, riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione delle regole ermeneutiche legali o per vizio di motivazione.
D’altra parte, il ricorrente non spiega le ragioni per cui la motivazione addotta a sostegno della interpretazione favorita dalla Corte territoriale debba considerarsi meramente apparente, o comunque tale da impedire la ricostruzione del percorso logico seguito, ma si limita ad insistere sulla propria lettura, contrastante con quella risultante dalla sentenza impugnata, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso la denunzia del vizio di motivazione, un riesame dell’interpretazione peraltro, del tutto plausibile -data dalla Corte territoriale agli atti processuali, non consentito a questa Corte.
7 .-Col secondo motivo -intitolato ‘ violazione e falsa applicazione di legge – ex art. 360, co. 1, n. 3), 4) e 5) c.p.c. degli artt. 112, 115 c.p.c. e 2933 c.c. -violazione e falsa applicazione di legge – ex art. 360 co. I n. 5 c.p.c. dell’art. 1362 i^ co. e 2^ co. c.c. Omessa considerazione di un fatto decisivo. Nullità della sentenza ‘ -il ricorrente deduce di aver prodotto nel giudizio di merito la sua missiva 12 dicembre 2001, anch’essa interruttiva della prescrizione, e di aver allegato sia che dell’istanza in essa contenuta il Comune era a conoscenza, sia che la prova della ricezione fosse desumibile da altra e successiva missiva del Comune (prot. n° 597 del 6 aprile 2006), nella quale la lettera 12 dicembre 2001 era menzionata.
A fronte di tale allegazione e produzione, il Comune non avrebbe preso alcuna posizione, limitandosi ad eccepire che la domanda di conversione formulata nell’appello RG n° 15/2000 non aveva effetto interruttivo.
La Corte territoriale avrebbe, dunque, dovuto dare per pacifica la circostanza della ricezione della missiva da parte del Comune.
Inoltre, trattandosi di un atto unilaterale, il giudice del merito non avrebbe mai potuto applicare le norme sulla interpretazione degli atti negoziali, se non nei limiti della compatibilità.
Per contro, nell’interpretare la lettera come meramente sollecitativa al rilascio di documenti, la Corte aveva dato rilievo alla condotta del Posterino successiva alla missiva, come pure al contegno del Comune, con ciò violando l’art. 1362, primo e secondo coma, cod. civ.
8 .- Anche questo motivo è inammissibile, per le stesse ragioni indicate al paragrafo precedente.
Anche qui, va premesso che l’interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica dei contratti, e la violazione di queste regole non può dirsi esistente sol perché il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra, tra le molteplici interpretazioni del testo contrattuale ( ex multis : Cass., sez. III, 10 maggio 2018, n° 11254).
Ad analoga conclusione si deve giungere anche per gli atti unilaterali, ai quali si applicano le norme che regolano i contratti, in quanto compatibili (art. 1324 cod. civ.).
Ora, la Corte territoriale ha accertato che la lettera 12 dicembre 2001 era priva di una ‘ specifica indicazione di messa in mora dell’ente per il pagamento dell’indennità di esproprio ‘, contenendo, invece, una mera ‘ richiesta di informazioni ‘ ed una ‘ rinnovata sollecitazione formale rivolta all’ente espropriante a dar conto dello stato delle procedure amministrative di esproprio ‘.
Tale giudizio, che nei suoi snodi logici non è criticato dal ricorrente, non è sindacabile davanti a questa Corte, trattandosi, come già detto, del risultato interpretativo cui è giunto il giudice del merito
valutando le prove documentali secondo il suo ‘ prudente apprezzamento ‘ (art. 116 cod. proc. civ.).
Peraltro, il riferimento fatto alla condotta del Posterino successiva alla missiva è un passaggio motivazionale che, quand’anche soppresso, lascerebbe del tutto intatto il percorso logico principale col quale la Corte ha escluso che la lettera in questione contenesse una richiesta o una intimazione a pagare l’indennizzo da esproprio.
9 .- In conclusione, i motivi di ricorso vanno dichiarati inammissibili.
Alla soccombenza del ricorrente segue la sua condanna alla rifusione delle spese in favore del resistente, per la cui liquidazione -fatta in base al d.m. n° 55 del 2014, come modificato dal d.m. n° 147 del 2022, ed al valore indeterminabile della lite -si rimanda al dispositivo che segue.
Va, inoltre, dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater , del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove dovuto.
p.q.m.
la Corte dichiara inammissibili i due motivi di ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al resistente le spese di questa lite, che liquida in euro 4.200,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese in ragione del 15%, oltre al cp ed all’iva, se dovuta. Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater , del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 29 maggio 2025, nella camera di consiglio della prima sezione civile.
Il presidente NOME COGNOME