Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34295 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34295 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 31319-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1160/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/06/2020 R.G.N. 2427/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Impiego pubblico Prescrizione Giudizio amministrativo
R.G.N. 31319/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 19/11/2024
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Roma, adita da NOME COGNOME e nel contraddittorio con il Ministero della Giustizia, ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva ritenuto prescritto il diritto di credito fatto valere in giudizio dalla COGNOME, derivante dall’asserito svolgimento delle mansioni superiori di direttore della Casa circondariale di Rebibbia nel periodo giugno 2000/luglio 2005;
la Corte distrettuale ha premesso che l ‘ appellante con ricorso del 9 dicembre 2005, notificato al Ministero il 23 marzo 2006, aveva già proposto la medesima domanda ed il Tribunale di Roma, con sentenza n. 10616 del 31 maggio 2007, aveva declinato la giurisdizione in favore del giudice amministrativo, dinanzi al quale il giudizio era stato riassunto con ricorso del 6 luglio 2007, notificato l’11 settembre 2007, per poi essere dichiarato perento con decreto del TAR Lazio n. 22502/2013;
in pendenza di giudizio la COGNOME aveva inviato al Ministero un ulteriore atto di costituzione in mora, ricevuto dall’amministrazione il 18 giugno 2011;
3. il giudice d’appello, condividendo le conclusioni alle quali era già pervenuto il Tribunale, ha ritenuto che il giudizio dinanzi al Tar non fosse autonomo e diverso rispetto a quello instaurato con il ricorso depositato il 9 dicembre 2005 e costituisse, invece, il proseguimento o la riattivazione del primo;
ha richiamato al riguardo i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 4109/2007 e dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 77/2007, che avevano reso possibile, ancor prima dell’entrata in vigore dell’art. 59 della legge n. 69/2009, la traslatio judicii in caso di pronuncia di difetto di giurisdizione;
ne ha tratto la conseguenza che, estinto il giudizio per effetto della pronuncia di perenzione, ai fini dell ‘ interruzione della prescrizione rilevava solo il ricorso originario, non quello
proposto dinanzi al giudice amministrativo, che, non avendo il valore di una domanda introduttiva di un nuovo giudizio, andava equiparato ad un atto di impulso del procedimento già esistente, come tale non idoneo a produrre effetti in caso di estinzione;
ha richiamato giurisprudenza di questa Corte e, conclusivamente, ha ritenuto prescritto il credito perché l’atto di costituzione in mora del 18 giugno 2011 era intervenuto a distanza di oltre 5 anni dalla notifica del primo ricorso (23 marzo 2006);
4. per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi, ai quali il Ministero della Giustizia ha opposto difese con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.1. con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 2943, primo comma, c.c. – erronea applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di ‘riassunzione di giudizio interrotto’; erronea ritenuta ‘prosecuzione’ del giudizio instaurato dalla ricorrente davanti al giudice ordinario dinanzi al giudice amministrativo» e contesta l’affermazione, che si legge nella sentenza impugnata, secondo cui non poteva essere riconosciuto effetto interruttivo al ricorso proposto dinanzi al Tar, trattandosi di mera prosecuzione del giudizio già instaurato dinanzi al giudice ordinario;
richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che a seguito della pronuncia declinatoria della giurisdizione si instaura un nuovo giudizio e, pertanto, in caso di estinzione, non sono applicabili i principi che valgono per l’atto di riassunzione in senso proprio;
1.2. la seconda critica denuncia la violazione dell’art. 2945, comma 2, cod. civ. «per non avere ritenuto sospesa la prescrizione del diritto azionato nel periodo intercorrente tra la notifica dal primo ricorso al giudice del lavoro (n.r.g. 228573/2005) sino al passaggio in giudicato della sentenza di difetto di giurisdizione pubblicata il 31 maggio 2007 pronunciata dallo stesso giudice. Violazione dell’art. 307 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3) per non essere conforme al diritto la decisione della corte d’a ppello per la quale il suddetto giudizio si sarebbe estinto»;
con il motivo, che si collega al primo, la ricorrente sostiene che la pronuncia di perenzione non può avere travolto il primo giudizio, ormai definito con sentenza n. 10616/2007 suscettibile di passaggio in giudicato;
1.3. la terza censura, nel denunciare la violazione dell’art. 2948 cod. civ., addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente dichiarato la prescrizione del diritto perché l’atto di messa in mora del 10 giugno 2011 era intervenuto nei cinque anni dalla notifica del ricorso al TAR risalente all’11 settembre 2007;
1.4. infine, con il quarto motivo, si censura il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto non idonea ad interrompere la prescrizione la notifica del ricorso all’Avvocatura dello Stato, anziché al Ministero;
la ricorrente evidenzia che gli atti introduttivi dei giudizi nei quali è parte un’amministrazione dello Stato devono essere necessariamente notificati presso l’Avvocatura dello Stato e, pertanto, opera il principio secondo cui l’atto di costituzione in mora ha efficacia interruttiva anche quando sia indirizzato ad un rappresentante del debitore;
i primi due motivi di ricorso, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono fondati; la tesi fatta propria dalla sentenza impugnata della necessaria unitarietà del giudizio, nell’ipotesi in cui venga originariamente adita un’autorità giudiziaria priva di giurisdizione e l’azione sia
riproposta dinanzi al giudice munito di potestas iudicandi , è stata smentita dalle Sezioni Unite di questa Corte le quali, nell’interpretare l’art. 59 della legge n. 69/2009 nonché l’art. 11 del d.lgs. n. 104/2010, non applicabili alla fattispecie perché successivi ai fatti processuali che vengono in rilievo ( la prima sentenza del Tribunale declinatoria della giurisdizione risale al maggio 2007 ed il ricorso al TAR veniva notificato il successivo 11 settembre), hanno affermato che « la circolazione del processo che provenga da un diverso comparto di giurisdizione non necessariamente deve corrispondere al congegno della translatio iudicii per essere idonea a salvaguardare gli effetti della domanda proposta dinanzi al giudice a quo …. quel che è stato espunto dall’ordinamento è soltanto il «principio per cui la declinatoria della giurisdizione comporta l’esigenza di instaurare ex novo il giudizio senza che gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda originariamente proposta si conservino nel nuovo giudizio» …. Non può essere condivisa, dunque, l’affermazione …. che la salvezza degli effetti processuali e sostanziali di una domanda erroneamente incardinata dinanzi a un giudice privo di giurisdizione “presuppone ed anzi postula” che sia riattivato lo stesso identico processo così come incardinato dinanzi al primo giudice. E ciò perché l’affermazione suona come petizione di principio, in base all’esame del diritto positivo» (Cass. S.U. n. 27163/2018);
2.1. sulla scorta di dette preliminari considerazioni ed in continuità con l’orientamento già espresso dalle stesse Sezioni Unite (cfr. Cass. S.U. n 25837/2016 e Cass. S.U. n. 9130/2011), anche in relazione a pronunce declinatorie della giurisdizione intervenute all’esito della dichiarazione di incostituzionalità ma antecedentemente alla entrata in vigore della nuova normativa (come nel caso qui in rilievo), è stato enunciato il principio secondo cui « quando si declini la giurisdizione occorre la riassunzione qualora il giudizio dinanzi
al giudice ad quem abbia le stesse caratteristiche di quello davanti al giudice a quo, laddove è necessaria la riproposizione della domanda, che consente l’emendatio di quella originariamente proposta, quando si tratti di passare da un giudizio di tipo prevalentemente impugnatorio a uno esclusivamente cognitivo o viceversa» ed in questo secondo caso la riproposizione è stata qualificata come un atto «volto a versare nel nuovo procedimento il contenuto dell’atto originante il vecchio » ( Cass. S.U. 9130/2011);
2.2. le Sezioni Unite hanno ulteriormente precisato che « se il giudizio va riattivato in una situazione in cui non vi sia una pronuncia declinatoria di giurisdizione passata in giudicato, appropriato è lo strumento endoprocessuale della riassunzione, qualora non occorra adattare la domanda «con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile»; se, invece, il giudizio originario si sia concluso col passaggio in giudicato della declinatoria di giurisdizione, inevitabile è la nuova proposizione della domanda» ( Cass. S.U. n. 27163/2018);
2.3. ha, quindi, errato la Corte territoriale nel ritenere che il ricorso al Tar del settembre 2007 fosse un mero atto di riassunzione dell’originario giudizio, traendone, poi, come conseguenza, l’impossibilità di riconoscere allo stesso efficacia interruttiva della prescrizione, una volta dichiarato perento il giudizio medesimo;
la sentenza del Tribunale di Roma, passata in giudicato, nell’affermare la giurisdizione del giudice amministrativo ha determinato il passaggio da un giudizio esclusivamente cognitivo ad altro prevalentemente impugnatorio, sicché l’atto, che come la stessa Corte territoriale riconosce non faceva cenno all’intenzione di riassumere il giudizio, non poteva essere qualificato di mera prosecuzione di quest’ultimo;
2.4. parimenti errata è la pronuncia impugnata nella parte in cui, riconoscendo efficacia interruttiva al solo ricorso originario
del 9 dicembre 2005, notificato al Ministero il 23 marzo 2006, ne ha escluso l’effetto permanente sino alla data della pronuncia declinatoria della giurisdizione del 31 maggio 2007; con la recente sentenza 31 maggio 2022 n. 17619 le Sezioni Unite di questa Corte, dopo avere affermato che in caso di perenzione del giudizio amministrativo per inattività delle parti trova applicazione in via analogica l’art. 2945, comma 3, cod. civ. in quanto si è in presenza di una situazione accostabile alla estinzione civilistica, hanno ribadito l’orientamento già espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui l’art. 310 cod. proc. civ., lì dove fa salve « le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza», va interpretato estensivamente e, pertanto, tale salvezza, che comprende anche il prolungamento degli effetti interruttivi della prescrizione, riguarda ogni sentenza non definitiva che sia suscettibile di passare in giudicato, anche se inerente a questioni processuali;
ha trovato, quindi, conferma il principio di diritto in precedenza enunciato da Cass. n. 6293/2007 secondo cui « agli atti introduttivi del giudizio va riconosciuta efficacia permanente fino alla data in cui intervenga una sentenza, che pur risolvendo questioni processuali, come quella attinente alla giurisdizione, sia suscettibile di passare in giudicato »;
2.5. in via conclusiva per le ragioni sopra esposte meritano accoglimento i primi due motivi di ricorso, con conseguente assorbimento della terza censura;
3. è fondato anche il quarto motivo;
ha errato la Corte distrettuale nell’escludere che il ricorso del 6 settembre 2007, una volta qualificato atto di riassunzione, potesse valere come costituzione in mora dell’amministrazione alla quale lo stesso non era stato personalmente indirizzato, perc hé notificato all’Avvocatura Generale dello Stato;
così ragionando il giudice d’appello non ha tenuto conto dell’orientamento alla stregua del quale l’atto di costituzione in
mora ha efficacia interruttiva della prescrizione anche quando sia indirizzato al rappresentante legale del debitore, e tale può essere ritenuto il difensore «purché sia stato previamente accertato che detto legale possa considerarsi rappresentante, effettivo o apparente, del debitore medesimo» (in tal senso fra le tante Cass. n. 20286/2019 con richiami in motivazione);
per le amministrazioni dello Stato rilevano, dunque, gli artt. 1 e 11 del R.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 che attribuiscono all’Avvocatura dello Stato il potere di rappresentanza a prescindere da uno specifico mandato ed in ragione di ciò impongono alla parte istante di notificare gli atti introduttivi dei giudizi alla medesima Avvocatura, non già all’amministrazione personalmente nella sua sede legale;
valorizzando il combinato disposto dell’art. 1219 cod. civ. e delle disposizioni del citato T.U. questa Corte ha da tempo affermato che l’atto processuale rivolto nei confronti di un’amministrazione dello Stato, sebbene affetto da nullità, può valere come atto di costituzione in mora, interruttivo della prescrizione, ove notificato all’Avvocatura dello Stato che dell’amministrazione stessa abbia assunto la difesa, anche se al solo fine di eccepire l’invalidità dell’atto (cfr. Cass. n. 2843/1963);
in via conclusiva il ricorso deve essere accolto per le ragioni sopra indicate, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte distrettuale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, nel rispetto dei principi di diritto enunciati nei punti che precedono, provvedendo anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione;
5. non sussistono le condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, per il raddoppio del contributo unificato.
La Corte accoglie il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso e assorbe il terzo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, alla quale demanda di