Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7188 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7188 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 296/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE SAS DI NOME RAGIONE_SOCIALE
intimati
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2462/2019 depositata il 05/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE citava in giudizio RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE per essere risarcita dei danni subiti per aver dovuto provvedere ad eliminare le immissioni superiori ai limiti di tollerabilità provenienti dalla sua attività di ristorazione e causati dagli impianti di ventilazione, aspirazione ed immissione realizzati dalla convenuta.
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Vincenzo si costituiva in giudizio ed eccepiva la decadenza e la prescrizione dell’azione di garanzia per i vizi e chiamava in causa la società che aveva fornito ed installato gli impianti, RAGIONE_SOCIALE di COGNOME
La terza chiamata, si costituiva chiedendo la sospensione ex art. 295 c.p.c. ed eccepiva prescrizione e decadenza della domanda di garanzia nei suoi confronti.
Il Tribunale di Como rigettava la domanda.
La società RAGIONE_SOCIALE proponeva appello.
RAGIONE_SOCIALE COGNOME Vincenzo si costituiva nel giudizio di appello chiedendone il rigetto.
Anche RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME resisteva all’appello .
La Corte d’Appello di Milano accoglieva il gravame e dichiarava la responsabilità di NOME NOME per le difformità delle opere commissionategli da Fonsk, condannandolo a pagare € 60.369,63.
In particolare, la Corte d’Appello riteneva idonee ad interrompere la prescrizione le missive che il Tribunale invece aveva giudicato inidonee (raccomandata del 15 ottobre 2009 (con cui era rappresentato che Fonsk avrebbe provveduto entro la fine del mese ad iniziare opere per la riduzione delle immissioni
rumorose) ed era pertanto di tenore analogo a quella 29 settembre 2009, invece valorizzata dal Giudice di prime cure. Vi erano poi le lettere del 20 ottobre 2009, del 20 novembre 2009, del 15 dicembre 2009 e del 6 aprile 2010, con cui il legale di RAGIONE_SOCIALE menzionando espressamente le precedenti comunicazioni, aveva trasmesso la valutazione di impatto acustico e di bonifica acustica, il primo preventivo e la prima nota relativa al costo delle opere di rifacimento.
Tutta la documentazione evidenziava il collegamento con la corrispondenza con cui l’appellante aveva anticipato la richiesta di pagamento dei costi che avrebbe sostenuto per i lavori di sistemazione non realizzati da RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE. Diversamente da quanto affermato dal primo Giudice, non era necessario alcun invito ad adempiere (peraltro presente nelle missive iniziali, a cui le successive facevano riferimento).
Alla data di notifica dell’atto di citazione di primo grado (29 gennaio 2013) pertanto l’azione non era prescritta anche avuto riguardo al temine annuale contemplato dall’art. 2226 c.c., quale parametro dal Tribunale in ragione della qualificazione del rapporto intercorso tra RAGIONE_SOCIALE quale contratto d’opera ex art. 2222 c.c.
Dalla ctu emergeva la sussistenza dei vizi dell’opera quantificati in euro 60.389,63 quale costo sostenuto per porvi rimedio.
Viceversa, sui rapporti tra la convenuta e la terza chiamata non poteva pronunciarsi, essendo stati oggetto di altro giudizio nel quale la domanda di NOME era stata respinta.
RAGIONE_SOCIALE COGNOME Vincenzo ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di cinque motivi di ricorso.
Le altre parti sono rimaste intimate.
La parte ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insist ito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.) con riferimento alla violazione degli artt. 342, 348 bis e 348 ter c.p.c. per inammissibilità dell’appello per mancata specificazione nell’atto di impugnazione delle rag ioni di merito su cui la controparte fonda la propria azione di risarcimento dei danni
1.1 Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte d’Appello ha accolto l’impugnazione e in tal caso è evidente che non si è in presenza di un’omessa pronuncia su eccezione di parte dovendosi applicare il principio del rigetto implicito dell’eccezione in presenza di una decisione incompatibile quale quella di accoglimento del ricorso. Di conseguenza nessuna violazione dell’art. 342 c.p.c. si è realizzata.
Deve ribadirsi che: Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo. (Nella specie, la S.C. ha ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame). (Cass. Sez. 5, 06/12/2017, n. 29191, Rv. 646290 -01, Sez. 2, 26/09/2024, n. 25710, Rv. 672295 – 02).
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.) con riferimento alla violazione dell’art. 2943, quarto comma, c.c. per la mancata manifestazione di volontà diretta ad ottenere il soddisfacimento di un diritto.
Il ricorrente ritiene corretta la qualificazione del rapporto data dal Tribunale (e della Corte) ritenendolo appunto come rientrante in un contratto misto con prevalenza delle caratteristiche del contratto d’opera su quelle del dare (vendita ) sicché il termine prescrizionale della azione decorrerebbe dalla consegna dell’opera avvenuta ‘al più tardi’ il 27.11.2007 .
Le divergenze tra i due giudizi hanno avuto per oggetto l’attribuzione dell’effetto interruttivo a una serie di raccomandate inviate da Fonsk a COGNOME Vincenzo a far data dal 29.9.09 ritenute (si intende quelle successive) non aventi tale effetto per il primo giudice (allegate con i numeri 8, 9, 10, 11, 12) contrariamente alla Corte milanese che le ha invece tutte ritenute valide ai fini interruttivi la prescrizione.
La lettera datata 15.04.11 è stata ritenuta da entrambi i Giudici di merito come richiedente il risarcimento di danni e quindi valida ai fini interruttivi: la differenza tra i due giudizi è però data dall’avere il Tribunale di Como, alla data del 15.04.11, ritenuto la prescrizione come già compiuta per la non validità ai fini interruttivi delle lettere precedenti di cui ai citati documenti del fascicolo di parte attrice nn. 9, 12, 13, 16 e 27 in cui la ditta RAGIONE_SOCIALE si era limitata appunto solo a trasmettere relazioni e documenti ‘senza alcun specifico invito ad adempiere…’.
Inoltre, a parere del ricorrente, entrambi i Giudici di merito sono incorsi nell’errore di ritenere valida ed efficace la missiva 15.04.2011 di cui nel ricorso è riportato il testo. Tale lettera raccomandata datata 15.04.2011, scritta e firmata dal legale della RAGIONE_SOCIALE e alla quale risulta associata una ricevuta postale che si consegna al mittente e che reca il codice raccomandata n. NUMERO_DOCUMENTO, non sarebbe mai stata ricevuta dalla ditta RAGIONE_SOCIALE e infatti non risulterebbe allegato e depositato in atti alcun avviso di ricevimento recante il detto numero di identificazione tra i documenti depositati nei precedenti gradi di giudizio dalla ditta RAGIONE_SOCIALE
Su questa decisiva circostanza, di mancata ricezione e di assenza di prova attestante, appunto, il ricevimento della lettera datata 15.04.2011 (ed anzi risultando documentalmente il contrario), pure rilevata ed eccepita dalla ditta RAGIONE_SOCIALE, i Giudici di merito e la Corte milanese, in particolare, non hanno speso alcuna parola.
Inoltre, non risulterebbe esternata una richiesta di risarcimento danni bensì letteralmente la dichiarazione di riservarsi, di decidere in merito e quindi mancherebbe l’espressione di una volontà diretta nei confronti del ricorrente non essendo ravvisabile tale requisito in semplici sollecitazioni prive di carattere di intimazione e di espressa richiesta di adempimento al debitore ed è priva di efficacia interruttiva la riserva, anche se contenuta in un atto scritto, di agire per il risarcimento di danni.
Il ricorrente contesta anche l’efficacia interruttiva delle prime due missive in base al loro testo letterale.
I Giudici di merito non avrebbero in alcun modo rilevato che la lettera 15.04.11 non è mai stata recapitata alla ditta ricorrente di NOME COGNOME come risulterebbe per tabulas da tutta la documentazione del giudizio non avendo RAGIONE_SOCIALE allegato e depositato alcuna prova documentale di consegna della lettera e non avrebbero neppure argomentato la benché minima linea difensiva in ordine alla ricezione o meno della lettera da parte di NOME NOME.
Vi sarebbe, pertanto, un totale omesso esame della eccezione sollevata dalla ditta RAGIONE_SOCIALE e un’ omessa pronuncia della Corte milanese su detta eccezione anche ribadita nel secondo grado.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Omesso esame circa fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.) in riferimento alla lettera del 15.04.11 della società RAGIONE_SOCIALE
La censura è ripetitiva della precedente sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. In particolare, il ricorrente lamenta l’omesso esame del fatto costituito dal mancato ricevimento della missiva del 15 aprile 2011 e dalla mancata prova della sua effettiva notifica.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Nullità della sentenza per omesso esame e omessa pronuncia concernente una domanda od eccezione introdotta in causa e ribadita nell’atto di costituzione in appello (Art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.), in riferimento alla violazione dell’art. 112 c.p.c. e concernente la eccezione di prescrizione riferita alla mancata ricezione o conoscenza da parte di NOME NOME della lettera datata 15.04.11., nonché alla allegazione da parte della ditta RAGIONE_SOCIALE come
prova della notifica della suddetta lettera di un avviso di ricevimento avente però una data anteriore (26.04.10) di un anno prima.
L ‘ultimo atto idoneo a interrompere validamente la prescrizione (prima della lettera datata 15.04.11) sarebbe la comunicazione del 06 aprile 2010. Anche a voler prescindere dalle precedenti considerazioni circa la non validità ai fini interruttivi della lettera 06.04.10, da tale data sarebbe comunque decorso un nuovo periodo annuale (art. 2945, primo comma, c.c.), posto che la raccomandata 15.04.11 non è mai stata notificata e che la successiva raccomandata prodotta dalla ditta RAGIONE_SOCIALE reca la data del 04 maggio 2011.
4.1 Il secondo terzo e quarto motivo di ricorso sono fondati per quanto di ragione e il loro accoglimento determina l’assorbimento dei restanti.
Risulta dalla stessa sentenza impugnata che l ‘atto di citazione in primo grado è stato notificato alla ricorrente il 29 gennaio 2013.
La consegna dell’opera è avvenuta nel 2008. L’Art. 2226 c.c. prevede che la denuncia dei vizi debba essere fatta nel termine di 8 giorni dalla scoperta e che l’azione debba essere intrapresa entro un anno dalla consegna.
La ricorrente ha eccepito l’inefficacia , ai fini dell’interruzione della prescrizione, della sequenza di lettere inviate dalla Fonsk alla Erra e che, dopo la missiva del 6 aprile 2010, la successiva lettera interruttiva è giunta dopo il decorso del termine di un anno in quanto la missiva del 16 aprile 2011 non è mai giunta a destinazione.
Deve osservarsi che la Corte d’Appello nell’accogliere il gravame di Fonsk non ha tenuto conto dell’orientamento di questa Corte secondo il quale la reiterata denuncia dei medesimi vizi da parte del committente non vale a interrompere il termine di prescrizione previsto dall’art. 1669 c.c. per il contratto di appalto o dall’art. 2226 c.c. per il contratto di prestazione d’opera.
Deve preliminarmente ribadirsi che l’eccezione di cui all’art. 1669 c.c. (e all’art. 2226 c.c. ) opera su un piano sostanziale e, dunque, trova applicazione l’art. 2943 c.c. . In altri termini, laddove le norme citate affermano che il diritto o l’azione “si prescrive in un anno dalla denuncia” si riferiscono appunto ad un termine di prescrizione che, come tale, è soggetto a essere interrotto, per il disposto dell’art. 2943 c.c., non solo dalla proposizione della domanda giudiziale, ma anche “da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore”.
Ciò di cui la Corte d’Appello non ha tenuto conto è che , ai sensi di quest’ultima norma , solo la messa in mora del creditore è idonea ad interrompere il decorso della prescrizione, viceversa la reiterata denuncia dei medesimi vizi non può produrre il medesimo effetto e non è idonea a spostare in avanti il termine entro il quale il committente deve agire in giudizio (vedi Sez. 2, Sentenza n. 1955 del 22/02/2000 in motivazione).
Inoltre, risulta fondata anche la censura di omessa pronuncia rispetto all’eccezione di mancanza di prova della notifica d ella missiva del 16 aprile 2011 che sarebbe decisiva sempre ai fini dell’interruzione della prescrizione. La Corte d’Appello non ha fornito alcuna risposta rispetto a tale eccezione, tenuto conto che trattandosi di atto recettizio l’onere della prova della sua
conoscenza (anche in via presuntiva) da parte del destinatario ricadeva su Fonsk.
Deve ribadirsi in proposito che: Perché un atto abbia efficacia interruttiva della prescrizione, ai sensi dell’art. 2943, quarto comma, cod. civ., deve presentare un elemento soggettivo, costituito dalla chiara indicazione del soggetto obbligato, ed un elemento oggettivo, consistente nell’esplicitazione di una pretesa e nella intimazione o richiesta scritta di adempimento idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora; la richiesta di pagamento produce l’interruzione della prescrizione ad effetto istantaneo, pertanto non è ammissibile che l’effetto interruttivo sia riconducibile ad una pluralità di atti, succedutisi nel tempo, dal complesso dei quali possa ricavarsi la volontà dell’interessato di far valere il proprio diritto, in quanto, se la singola intimazione non è idonea a costituire in mora l’obbligato, l’effetto interruttivo non si verifica affatto; ne consegue che non produce alcun effetto interruttivo un atto , astrattamente valido ai fini della interruzione della prescrizione, ove lo stesso intervenga quando si è già verificata l’estinzione del diritto per mancato esercizio dello stesso nel tempo indicato dalla legge. (Cass. Sez. L., 15/11/2002, n. 16131, Rv. 558535 – 01).
5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: Omesso esame circa fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5) in riferimento alla circostanza che la Corte di appello senza alcuna motivazione si è discostata dall’esame e dalle conclusioni del C.T.U. con palese erronea percezione e valutazione.
Sulle questioni di merito dei vizi, difetti e danni, nulla è stato scritto nella sentenza di primo grado, essendosi il primo giudice limitato all’accoglimento delle eccezioni di prescrizione. La Corte di appello, a fronte di oltre 30 pagine di una complessa e completa C.T.U., avrebbe omesso di motivare le ragioni dell’accoglimento del motivo di appello in relazione alle risultanze peritali.
La Corte di appello ha dedicato alla C.T.U. e al merito della causa in tutto 15 righe di sentenza e meno di metà della pag. 10, parole che dimostrerebbero, oggettivamente, la totale omessa percezione e valutazione dell’esame e delle conclusioni della c.t.u. e la totale difformità del percorso fatto in perizia. La illogicità della sentenza sul punto della natura dei vizi e difetti e della loro riferibilità a NOME sarebbe data dalla circostanza che mentre la corte di merito ha mostrato di condividere la c.t.u. è giunta poi a conclusioni del tutto diverse e contrarie da quelle del c.t.u.
Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: Nullità della sentenza (art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.) -violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 12 c.p.c. , non potendosi pervenire alla soluzione di ritenere responsabile il ricorrente COGNOME NOME per vizi e difetti con sua condanna alla somma richiesta dalla ditta appellante RAGIONE_SOCIALE e riconosciuta in sentenza e ciò in totale difformità dal percorso e dalle conclusioni del C.T.U. e senza darne logico e motivato riscontro e ragione.
6.1 Il quinto e il sesto motivo di ricorso sono assorbiti dall’accoglimento dei precedenti. Infatti, pur dovendosi dare atto della sostanziale mancanza di motivazione sul punto della sentenza della Corte d’Appello, spetterà al giudice del rinvio – ove ritenga
infondata l’eccezione di prescrizione formulata dal ricorrente , alla luce dei principi sopra espressi in tema di interruzione della prescrizione – esaminare nel merito la domanda.
Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: Sulle domande in appello della ditta RAGIONE_SOCIALE solo nei confronti della ditta RAGIONE_SOCIALE e la condanna di NOME anche alle spese nei confronti della prima.
7.1 Il settimo motivo di ricorso è infondato.
La Corte ha correttamente applicato il principio di causalità e soccombenza in quanto la domanda di manleva corrispondeva ad altra domanda già azionata in altro giudizio che si era concluso con il suo rigetto.
In conclusione, devono trovare accoglimento il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, rigettato il primo e il settimo, assorbiti il quinto e il sesto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, rigetta il primo e il settimo, dichiara assorbiti il quinto e il sesto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione