Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 322 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 322 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17947/2021 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del curatore; elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo Studio dell ‘ Avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall ‘ Avvocato NOME COGNOME, in virtù di procura in calce al ricorso;
-ricorrente-
nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE , in persona del procuratore speciale; elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo Studio legale COGNOME; rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli Avvocati NOME COGNOME
-controricorrente-
nonché di
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO , in persona del Ministro pro tempore ; rappresentato e difeso ope legis dall ‘ Avvocatura Generale dello Stato; domiciliato in Roma, INDIRIZZO
-resistente- e di
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (AdER) ;
-intimata- per la cassazione della sentenza n. 2242/2020 della CORTE d ‘ APPELLO di BARI, depositata il 23 dicembre 2020;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27 ottobre 2023 dal Consigliere relatore, NOME COGNOME
udito l’Avvocato NOME COGNOME
u dito l’Avv. NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, evidenziando che, per mero errore materiale, nella parte dispositiva della memoria depositata dal proprio Ufficio, ne era stato domandato il rigetto.
FATTI DI CAUSA
1. La società RAGIONE_SOCIALE appellò, dinanzi alla Corte d ‘ appello di Bari, la sentenza 21 marzo 2017, n. 1531, con cui il Tribunale della stessa città, nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE (cui poi è succeduta
P.U. 27.10.2023
N. R.G. 17947/2021
Pres. COGNOME
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Agenzia delle Entrate – Riscossione), Centrobanca s.p.aRAGIONE_SOCIALE (poi divenuta UBI Banca s.p.a.) e il Ministero dello Sviluppo Economico, aveva rigettato l ‘ opposizione da essa proposta ad una cartella di pagamento dell ‘ importo di Euro 534.825,66, notificatale per la restituzione di somme che le erano state erogate a titolo di finanziamento pubblico per attività produttive, nonché la domanda subordinata di accertamento della responsabilità della banca (quale concessionaria del Ministero) e della stessa pubblica amministrazione per i danni conseguiti all ‘ erronea istruzione della pratica.
Il processo di appello si interruppe, ai sensi dell ‘ art. 43, terzo comma, legge fall., per effetto del fallimento di RAGIONE_SOCIALE, dichiarato dal Tribunale di Trani con sentenza del 21 novembre 2018.
A seguito di questo evento interruttivo, la Curatela del fallimento, in data 8 febbraio 2019, chiese al giudice delegato l ‘ autorizzazione a proseguire il processo e, dopo essere stata autorizzata con decreto del 21 febbraio 2019, si costituì nel giudizio interrotto con comparsa del 7 ottobre 2019.
La Corte d ‘ appello, in accoglimento dell ‘ eccezione sollevata da tutte le controparti, ha dichiarato l ‘ estinzione del giudizio per violazione del termine perentorio di cui all ‘ art. 305 cod. proc. civ., sul rilievo che la riassunzione sarebbe avvenuta dopo la scadenza del termine perentorio di tre mesi dal momento in cui la Curatela aveva avuto la conoscenza legale dell ‘ evento interruttivo.
Ha proposto ricorso per cassazione la Curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE sulla base di sei motivi.
Ha risposto con controricorso Intesa San Paolo sRAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE quale società incorporante UBI Banca s.p.a.RAGIONE_SOCIALE
Il Ministero dello Sviluppo Economico si è costituito con atto finalizzato a consentire l ‘ eventuale partecipazione all ‘ udienza di discussione della causa, a norma dell ‘ art. 370 cod. proc. civ..
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Pres. COGNOME
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Non ha svolto difese Agenzia delle Entrate-Riscossione.
La trattazione del ricorso, originariamente fissata in adunanza camerale, ai sensi dell ‘ art. 380bis .1 cod. proc. civ. (in vista della quale l a Curatela ricorrente e l’istituto di credito controricorrente avevano depositato memoria), è stata rinviata alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria 30 maggio 2023, n. 15129, con cui si è altresì ordinato di rinnovarne la notifica ad Agenzia delle Entrate-Riscossione, presso la sede legale.
Il Pubblico Ministero ha presentato memoria e ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso.
L ‘ istituto di credito controricorrente ha depositato ulteriore memoria per l’udienza .
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo (violazione degli artt. 43 legge fall., 305 e 307 cod. proc. civ.) viene censurata la dichiarazione di estinzione del giudizio emessa dalla Corte d ‘ appello.
La Curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE osserva che la questione relativa all ‘ individuazione del dies a quo del termine per la riassunzione del processo nel caso di interruzione automatica ex art.43, terzo comma, legge fall., è stata oggetto di contrasto recentemente composto dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali, con la sentenza 7 maggio 2021, n. 12154, hanno statuito che il termine per la riassunzione o prosecuzione del processo automaticamente interrotto per il fallimento di una delle parti, al fine di evitare gli effetti di estinzione di cui all ‘ art. 305 cod. proc. civ., decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell ‘ interruzione stessa è portata a conoscenza di ciascuna parte.
Soggiunge la ricorrente che, nel giudizio d ‘ appello dinanzi alla Corte territoriale di Bari, in cui essa si era comunque costituita prima
P.U. 27.10.2023
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Pres. COGNOME
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dell ‘ udienza di precisazione delle conclusioni dell ‘ 8 ottobre 2019 in funzione delle esigenze di rapidità ed economia processuale, non era stata resa, prima di detta udienza, alcuna dichiarazione giudiziale dell ‘ evento interruttivo idonea ad attribuire alle parti la legale conoscenza dello stesso.
Conclude che, pertanto, l ‘ estinzione del processo era stata illegittimamente dichiarata, non essendosi verificata alla data della sua costituzione in giudizio (7 ottobre 2019) la scadenza del termine perentorio di cui all ‘ art. 305 cod. proc. civ..
1.2. Con il secondo motivo (violazione degli artt. 2946 e 2948, nn. 3 e 4, cod. civ.) viene eccepita la prescrizione della pretesa del Ministero dello Sviluppo economico.
1.3. Con il terzo motivo (violazione dell ‘ art. 6 del D.M. n. 321 del 1999) viene dedotta l ‘ irregolarità formale della cartella opposta per mancanza delle indicazioni necessarie previste dal detto provvedimento ministeriale.
1.4. Con il quarto motivo (violazione dell ‘ art. 2909 cod. civ.) viene prospettato il passaggio in giudicato delle sentenze del Tribunale e della Corte d ‘ appello di Roma, che avrebbero accertato la debenza del contributo erogato dalla pubblica amministrazione in favore di RAGIONE_SOCIALE
1.5. Con il quinto motivo (violazione della buona fede e del principio dell ‘ affidamento ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod. civ.), la ricorrente torna ad invocare l ‘ accertamento della responsabilità contrattuale del Ministero e della banca concessionaria.
1.6. Con il sesto motivo (violazione dell ‘ art. 96, primo, secondo e terzo comma, cod. proc. civ.) viene domandata la condanna delle controparti al risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata, avuto riguardo al contegno processuale del Ministero e della
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banca concessionaria, ritenuto massimamente persecutorio e lesivo dei diritti della ricorrente.
2.1. Nel resistere al primo motivo di ricorso (dopo avere eccepito l ‘ inammissibilità degli altri), l ‘ istituto di credito controricorrente sostiene che il principio enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 12154 del 2021 -coerentemente con l ‘ esigenza di comporre le discordanze giurisprudenziali evidenziate nell ‘ ordinanza di rimessione -troverebbe operatività esclusivamente nei confronti delle parti processuali non colpite dall ‘ evento interruttivo , le quali sono le sole ad avere la necessità di prendere conoscenza dell ‘ evento medesimo, altrimenti legittimamente loro ignoto, ovverosia di sapere che una delle altre parti è stata dichiarata fallita ; questa necessità non riguarderebbe, invece e per definizione, il curatore del fallimento, il quale avrebbe la diversa esigenza di sapere quali siano i giudizi di cui era parte il soggetto fallito , al fine di riassumerli o proseguirli; di conseguenza, per il curatore del fallimento non potrebbe che continuare a trovare applicazione il tradizionale principio, secondo cui, in caso di interruzione automatica del processo determinata dall ‘ apertura del fallimento, giusta l ‘ art. 43, terzo comma, legge fall., ai fini del decorso del termine per la riassunzione non è sufficiente la sola conoscenza, da parte sua, dell ‘ evento interruttivo rappresentato dalla dichiarazione di fallimento, ma è necessaria anche la conoscenza dello specifico giudizio sul quale l ‘ effetto interruttivo è in concreto destinato ad operare: conoscenza che, nella fattispecie, si sarebbe certamente determinata, in capo alla Curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE, nel momento in cui il curatore aveva domandato l ‘ autorizzazione a costituirsi nel giudizio di appello (8 febbraio 2019), o, al più tardi, nel momento in cui l ‘ autorizzazione gli era stata concessa dal giudice delegato (21 febbraio 2019), con la conseguenza che, alla data della costituzione in giudizio (7 ottobre 2019), il termine perentorio di cui
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all ‘ art.305 cod. proc. civ. avrebbe dovuto ritenersi irrimediabilmente decorso.
2.2. La banca controricorrente deduce ulteriormente che il principio enunciato dalle Sezioni Unite ed invocato dalla Curatela ricorrente sarebbe inapplicabile alla fattispecie in esame, oltre che ratione materiae (in quanto riferibile alla sola parte processuale non fallita e non pure alla Curatela), anche ratione temporis , in quanto esso trarrebbe fondamento positivo da una disposizione -l ‘ art. 143, comma 3, del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (a mente del quale ‘ L ‘ apertura della liquidazione giudiziale determina l ‘ interruzione del processo. Il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l ‘ interruzione viene dichiarata dal giudice ‘ ) -contenuta in una fonte normativa (il c.d. Codice della crisi d ‘ impresa e della insolvenza ) non ancora entrata in vigore al tempo della sua enunciazione.
2.3. D ‘ altra parte -conclude la banca controricorrente -ove dovesse secondarsi un ‘ interpretazione ampia del principio di diritto affermato alle Sezioni Unite (come riferibile, oltre che alla parte processuale non fallita, anche alla Curatela), si porrebbe una questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 305 cod. proc. civ., 43, terzo comma, legge fall. e 143, comma 3, del citato d.lgs. n. 14 del 2019, (nonché della norma transitoria contenuta nell ‘ art. 390, comma 2, dello stesso decreto legislativo), sia in riferimento agli artt. 70 e 101, secondo comma, Cost. (per essere stata in concreto determinata un ‘ anticipazione nel tempo dell ‘ entrata in vigore di una norma di legge in contrasto con il principio per cui la funzione legislativa è esercitata dalle Camere, nonché, più in generale, in contrasto con il principio della separazione dei poteri e della sottoposizione del giudice alla legge), sia in riferimento all ‘ art. 3 Cost. (per lesione dei principi di legittimo affidamento, di certezza del diritto,
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di ragionevolezza e di irretroattività della legge), sia, infine, in riferimento all ‘ art. 111, secondo comma, e 117 Cost. (quest ‘ ultimo per interposizione del parametro convenzionale di cui all ‘ art.6 CEDU), a causa della violazione dei principi del giusto processo e della parità delle armi tra le parti processuali.
Sulla base di tali considerazioni, la controricorrente invoca, dunque, in alternativa alla declaratoria di inammissibilità o al rigetto del ricorso, una nuova rimessione alle Sezioni Unite (anche in chiave di interpretazione della sentenza n. 12154 del 2021) oppure la sollevazione delle dette questioni di costituzionalità dinanzi al giudice delle leggi.
Preliminare all’esame dei motivi è la questione, non considerata dal giudice di appello né evocata dalle parti, ma rilevabile d ‘ ufficio, della eventuale improcedibilità delle domande, ex artt. 52, secondo comma, e 93 legge fall., nella parte in cui pongono a proprio fondamento posizioni creditorie verso la parte fallita.
3.1. In proposito, giova premettere che, dal combinato disposto degli artt.51 e 52 della legge fallimentare (quest’ultimo espressamente richiamato nel principio di diritto fissato dalla sentenza n.12154 delle Sezioni Unite di questa Corte) , può desumersi il c.d. ‘ canone della universalità soggettiva’, comportante la soggezione dei creditori del fallito alle norme specifiche sulla formazione dello stato passivo e l’esclusione della possibilità di azioni autonome sui beni del fallito.
Di conseguenza, ogni credito vantato nei confronti del fallito va accertato, salvo diverse disposizioni di legge, secondo le norme stabilite dal Capo V della legge fallimentare, dinanzi al giudice delegato al fallimento (Cass.19/08/2003, n.12114; Cass.02/04/2004, n.6502; Cass.01/04/2005, n.6918; Cass.18/05/2005, n.10414).
Questo principio generale trova ovviamente applicazione anche nella specifica ipotesi in cui, sebbene l’azione sia stata debitamente
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esperita con rito ordinario nei confronti della parte in bonis , sopravvenga la dichiarazione di fallimento nelle more del giudizio. In tale ipotesi, all’esito dell’interruzione, il processo dovrà quindi essere riassunto nei confronti del curatore fallimentare dinanzi al giudice delegato, secondo il rito previsto dalla legge speciale, e non già dinanzi al giudice che aveva dichiarato l’interruzione.
L’indebita proposizione o continuazione della domanda secondo le forme ordinarie non dà luogo ad una questione di competenza ma ad una questione di rito.
Di conseguenza, il giudice indebitamente investito della domanda (o della prosecuzione della stessa) con rito ordinario non deve dichiarare la propria incompetenza in favore del tribunale fallimentare (che non costituisce un organo giudicante diverso dal tribunale ordinario), ma deve dichiarare, secondo i casi, l’inammissibilità, l’improcedibilità o l’improponibilità della domanda medesima, siccome proposta con un rito diverso da quello previsto come necessario dalla legge, e dunque inidonea a conseguire una pronuncia di merito (cfr., oltre alla citata Cass. n.10414/2005, Cass.23/12/2003, n.19718).
3.2. Tanto premesso, la questione, nella fattispecie in esame -come esattamente osservato dal procuratore generale -, va risolta nel senso della procedibilità delle domande.
Questa Corte ha affermato che, nel caso in cui un soggetto, rimasto soccombente all ‘ esito di un giudizio di condanna, sia dichiarato fallito nel corso del giudizio di impugnazione, l ‘ azione proposta non è improcedibile, in quanto, a norma dell ‘ art. 96 legge fall., il creditore, sulla base della sentenza impugnata, può insinuarsi al passivo con riserva, mentre il curatore, dal suo canto, può proseguire il giudizio di impugnazione (Cass.30/05/2019, n. 14768; nello stesso senso, in tema di liquidazione coatta amministrativa, Cass. 22/04/2022, n. 12948).
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È stato poi anche affermato che, in tema di ammissione al passivo fallimentare con riserva, l ‘ articolo 96, secondo comma, n. 3, legge fall. deve essere interpretato estensivamente, in modo da ricomprendere anche i crediti oggetto di accertamento negativo da parte di una sentenza non passata in giudicato e pronunciata prima della dichiarazione di fallimento (Cass. 10/05/2018, n. 11362; Cass. 05/05/2021, n. 11741). Pertanto, anche nel caso in cui i crediti vantati nei confronti del soggetto, poi fallito, abbiano formato oggetto di domanda di accertamento negativo da parte del debitore e tale domanda sia stata rigettata, il creditore può essere ammesso al passivo sulla base della sentenza di rigetto, a lui favorevole, la quale equivale ad una sentenza di accertamento del credito.
Può dunque affermarsi il generale principio per cui, se il creditore ottiene una sentenza di condanna del debitore (o, comunque, una sentenza di accertamento del credito, anche emessa in reiezione di un’azione di accertamento negativo esperita dal debitore) prima che si apra, nei confronti di quest’ultimo, una procedura concorsuale, egli, sulla base di tale sentenza, pur soggetta ad impugnazione, deve essere ammesso al passivo con riserva , ai sensi dell’art.96, secondo comma, n. 3, legge fall. , mentre il curatore può proporre l’impugnazione o proseguirla se era già stata proposta dalla parte in bonis , non determinandosi , pertanto, l’ improcedibilità della domanda.
Nel caso di specie, con sentenza n. 1531 del 2017, il Tribunale di Bari aveva rigettato l’opposizione a cartella esattoriale proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE in bonis , accertando la sussistenza del diritto di credito vantato da Agenzia delle Entrate-Riscossione, diritto che avrebbe potuto essere ammesso al passivo con riserva ex art. 96, secondo comma, n.3, legge fall. senza precludere al Curatore della società, una volta sopravvenuto il fallimento, di proporre o proseguire il giudizio di impugnazione.
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Ciò posto, il primo motivo è fondato e per effetto del suo accoglimento restano assorbiti gli altri.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che, in caso di apertura del fallimento, l ‘ interruzione del processo è automatica ai sensi dell ‘ art. 43, comma 3, legge fall., ma il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all ‘ art. 305 cod. proc. civ. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 legge fall. per le domande di credito (nella specie, come detto, non integrantisi), decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, qualora non già conosciuta in ragione della sua pronuncia in udienza ai sensi dell ‘ art.176, comma 2, cod. proc. civ., va notificata alle parti o al curatore da uno degli interessati o comunque comunicata dall ‘ ufficio giudiziario (Cass., Sez. Un., 07/05/2021, n.12154).
Questo principio -al quale il collegio intende dare doverosa continuità -assume portata generale e trova operatività sia nei confronti delle parti processuali non colpite dall’evento interruttivo , le quali hanno la necessità di prendere conoscenza dell’evento medesimo, altrimenti legittimamente loro ignoto, sia nei confronti della parte fallita e dello stesso curatore del fallimento, il quale ha la diversa esigenza di sapere quali siano i giudizi di cui era parte il soggetto fallito , al fine di riassumerli o proseguirli.
Nel caso di specie, non risulta che vi sia stata dichiarazione di interruzione pronunciata in udienza ex art.176, secondo comma, cod. proc. civ. in presenza delle parti o in confronto di parti che avrebbero dovuto comparirvi ed è addirittura incontroverso che la dichiarazione giudiziale di interruzione non è stata notificata al curatore né ad esso comunicata dalla Cancelleria.
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N. R.G. 17947/2021
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Di conseguenza, al momento della riassunzione del processo d ‘a ppello da parte della Curatela, il termine ex art.305 cod. proc. civ., lungi dall’essere scaduto, non era neppure iniziato a decorrere.
4.1. L’ argomento di parte controricorrente secondo cui il principio si applicherebbe solo alle parti non colpite dall’evento interruttivo non può essere condiviso perché le Sezioni Unite sono state investite proprio del compito di trovare una soluzione uniforme, superando le precedenti discordanze ravvisatesi negli orientamenti di legittimità che differenziavano tra parte fallita e parte non fallita.
4.2. Del pari, non coglie nel segno l’ argomento secondo il quale il principio trarrebbe linfa da una norma non ancora entrata in vigore; vale invece il contrario: la soluzione della giurisprudenza volta a colmare in via interpretativa una lacuna testuale dell’ art. 43, terzo comma, della legge fallimentare è stata poi recepita dal legislatore con l’art. 143 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza .
4.3. Per le stesse ragioni, inoltre, è manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale.
Il contrasto di una norma legislativa ordinaria con il principio della irretroattività della legge e con quello della separazione dei poteri presuppone il superamento dei limiti della funzione interpretativa che la Costituzione repubblicana (art.70) -sebbene, a differenza dello Statuto albertino (art.73), non espressamente, né esclusivamente -comunque riconosce al legislatore ordinario nelle forme della ‘interpretazione autentica’ (cfr. già Corte cost. n. 118 del 1957 e Corte cost. n. 175 del 1974; più recentemente v. Corte cost. n. 41 del 2011; Corte cost. n. 71 del 2010; Corte cost. n. 311 del 2009); superamento che avviene attraverso l’introduzione di norme autoqualificantesi come interpretative, ma, in realtà, aventi carattere innovativo , con efficacia retroattiva .
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In tale ipotesi, la nuova disposizione, pur dicendosi interpretativa, non si si limita a selezionare uno dei plausibili significati di una disposizione precedente, quella interpretata, originariamente connotata da un certo tasso di polisemia, così dando luogo ad una norma, risultante dalla saldatura tra le due disposizioni, che assume tale significato sin dall’origine, con una retroattività solo apparente ( ex multis , Corte cost. n. 238 del 2022; n.104 del 2022; n. 133 del 2020; n. 274 del 2015, Ord.; n. 397 del 1994); piuttosto, essa attribuisce alla disposizione interpretata un significato nuovo, non rientrante tra quelli già estraibili dal testo originario della disposizione medesima, così determinando una innovazione nell’ordinamento giuridico (Corte cost. n. 167 del 2018; n. 209 del 2010; n. 155 del 1990; n. 175 del 1974), che, in quanto, operata mediante modifica, ora per allora, della precedente disposizione, ove non trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza, si pone in contrasto con un principio (l’irretroattività della legge) il quale, pur non ricevendo in via generale la tutela privilegiata riservata dalla Costituzione (art. 25) esclusivamente alla materia penale, costituisce pur sempre un valore fondamentale di civiltà giuridica, che deve essere tendenzialmente preservato, in conformità al disposto dell’art.11 disp. prel. cod. civ. ( ex multis , Corte cost. n. 70 del 2020; n.174 del 2019; n. 73 del 2017).
In senso ancora più specifico, la lesione, ad opera di una norma di legge o di atto avente valore di legge, della garanzia del giusto processo e della parità delle armi tra le parti processuali (artt.111 e 117 Cost; art.6 CEDU), postula non soltanto l’introduzione di una norma innovativa con carattere retroattivo che neutralizzi e ribalti una precedente situazione di diritto vivente, ma anche che ciò avvenga in pendenza di un processo con un intervento legislativo diretto a mutare le ‘regole del giuoco’ ossia le norme applicabili alla fattispecie concreta dedotta in giudizio -introducendo, come ius superveniens con
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efficacia retroattiva, una diversa regolamentazione della fattispecie astratta (cfr. Corte cost. n.174 del 2019; n. 127 del 2015; n. 1 del 2011).
Il principio costituzionale della parità delle armi è, infatti, violato quando il legislatore immette nell’ordinamento una fattispecie di ‘ ius singulare ‘ che determina lo sbilanciamento tra due posizioni in giuoco (Corte cost. n. 46 del 2021; n. 12 del 2018; n. 191 del 2014; n. 186 del 2013).
Nella fattispecie in esame, la questione di costituzionalità è prospettata non sul presupposto di un superamento dei limiti della funzione interpretativa attribuita ( anche ) al legislatore (art.70 Cost.), ma su quello, contrario, dell’erroneo esercizio della medesima funzione ( istituzionalmente ) devoluta alla giurisdizione in funzione dell’applicazione della legge (art.101 Cost.); ciò, sul rilievo che il principio sancito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, pur elaborato in sede di interpretazione dell’art. 43, terzo comma, della legge fallimentare, ove inteso nella sua complessiva portata, si tradurrebbe in un precetto coincidente con il disposto dell’art. 143, comma 3, del Codice della c risi e dell’ insolvenza , non applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.
Si profila con evidenza, pertanto, la manifesta non fondatezza della prospettata questione di costituzionalità, non vertendosi in ipotesi di indebita retroazione dell’ efficacia di una norma di legge non applicabile ratione temporis , ma di doverosa applicazione alla fattispecie della disciplina già prevista dalla legge medesima in via generale ed astratta, nel senso ad essa attribuito dal giudice della nomofilachia, nel suo massimo consesso.
In definitiva, il primo motivo di ricorso deve essere accolto e da tale accoglimento deriva l’ assorbimento degli altri motivi.
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La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, che, dato atto della tempestiva riassunzione del processo interrotto, esaminerà nel merito i motivi di gravame proposti avverso la sentenza n. 1531/2017 del Tribunale di Bari.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità (art. 385, terzo comma, cod. proc. civ.).
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d ‘ appello di Bari, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione