Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16141 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16141 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/06/2024
Oggetto:
responsabilità amministratori – riassunzione giudizio interrotto – tardività – estinzione.
AC – 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16945/2020 R.G. proposto da:
NOME , in proprio e quale successore della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, elett.te domiciliato in Roma, INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dal l’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
Contro
NOME COGNOME COGNOME , domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, e
all’indirizzo pec EMAIL, rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
Contro
COGNOME NOME , elett.te domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO , giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
E Contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME , elett.te domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende con gli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti – avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 1042/2020, pubblicata il 29 aprile 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Milano
ha dichiarato l’estinzione del presente giudizio, per tardività del ricorso per riassunzione in appello; giudizio avente a oggetto la domanda, introdotta da NOME COGNOME, di condanna di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME al risarcimento del danno dai predetti cagionatole in conseguenza dell’acquisto da parte della predetta di una quota di partecipazione azionaria nella RAGIONE_SOCIALE, rivelatosi infruttuoso sino alla completa consumazione del conferimento, su cui il giudice di primo grado si era pronunciato dichiarando la nullità dell’atto di citazione per assoluta incertezza nell’ identificazione dell’oggetto del giudizio .
NOME COGNOME, NOME COGNOME COGNOME, e NOME COGNOME , quest’ultimo unitamente a NOME COGNOME, hanno resistito con separati controricorsi.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato: a) che il procuratore alle liti di NOME ha dichiarato la morte della propria assistita appellante con una formale comunicazione a mezzo pec in data 5 settembre 2018, indirizzata al procuratore di altra parte costituita; b) che il termine trimestrale per la riassunzione scadeva quindi il 5 dicembre 2018, a prescindere dalla pronuncia di interruzione del processo, che ha valenza meramente dichiarativa; c) che il ricorso per riassunzione di NOME COGNOME recava la data di deposito dell’8 gennaio 2019 ed era , quindi, tardivo.
Con nota del 19 dicembre 2023, l’AVV_NOTAIO ha dichiarato di aver rinunciato al mandato conferitole dal controricorrente NOME COGNOME zu COGNOME.
Il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso lamenta:
a. Primo motivo: «1) Violazione di Legge ex art. 360, c. 1 n. 3 ed in particolare degli art. ex art. 300 e seguenti c.p.c. in combinato disposto con il D.L. 90/2014 e la Legge 53/1994 ed in particolare della necessità di specifiche condotte per permettere il decorso del termine per la riassunzione. Assenza di tali forme nel caso di specie. Assenza di valore notificatorio della comunicazione avvenuta in data 5 settembre 2018: difetto di decorrenza del termine per la riassunzione del processo da tale comunicazione via mail. Decorrenza del termine della dichiarazione dell’ evento interruttivo (decesso dell’ex attrice) svolta dal difensore dell’odierno ricorrente all’udienza del 14/11/2018 (sub. Doc. 3) con relativo deposito del certificato di morte datato 22/10/2018 (sub. Doc. 2) inosservanza dell’art. 300 e segg. cpc; norma che nel caso di specie è stata apertamente violata dai Giudici di Appello di Milano. Sul necessario annullamento dell’impugnata sentenza» deducendo che la Corte di appello avrebbe errato nell’interpretare la comunicazione via pec-mail effettuata in data 5 settembre 2018 come idonea a far decorrere il termine per la riassunzione del processo, siccome la stessa andava qualificata come mera informazione di cortesia, come si evincerebbe dalla mancata allegazione del certificato di morte della parte, di cui all’epoca il procuratore alle liti non era nemmeno in possesso, e dal tenore letterale della mail, laddove si precisa che la circostanza della morte ‘ verrà dichiarata alla successiva udienza del 14 novembre 2018 con deposito del certificato di morte ‘.
Il motivo è infondato.
La questione giuridica da affrontare è se la comunicazione del difensore della parte colpita dall’evento interruttivo rivolta ai difensori delle altre parti costituite, effettuata tramite posta elettronica certificata nelle more del processo, sia idonea a far decorrere il termine per la riassunzione previsto dall’art. 305 cod. proc. civ. nei confronti di tutte le parti.
Questa Corte (Sez. 6-3, Ordinanza n. 21375 del 15/09/2017) ha affermato che la comunicazione effettuata a mezzo posta elettronica certificata dal difensore della parte colpita dall’evento interruttivo al difensore dell’altra parte equivale a formale notificazione dell’evento medesimo .
E su tale affermazione può sicuramente esprimersi condivisione, atteso che all’ utilizzo della mail certificata l’ ordinamento processuale civile ha, nel corso del tempo, attribuito effetti prima equipollenti, e poi addirittura sostitutivi dei tradizionali mezzi di notificazione a mezzo ufficiale giudiziario o a mezzo posta ordinaria (si vedano, nel corso del tempo, le modificazioni apportate all’a rtt. 125 cod. proc. civ.; la legge n. 53 del 1994; il d.l. n. 179 del 2012, conv. dalla l. n. 221 del 2012; di recente, il d.lgs. n. 149 del 2022).
Il punto nodale è, tuttavia, un altro: se possa ritenersi -e, in tal caso, in quali ipotesi -che la comunicazione in esame sia inidonea a determinare l’effetto proprio che la legge le ricollega.
L’art. 300 cod. proc. civ. ricollega l’effetto interruttivo del processo per morte o perdita della capacità di agire di una parte costituita a due diverse modalità: la comunicazione a verbale di udienza effettuata dal procuratore della parte colpita dell’ evento
ovvero la notificazione fuori udienza di tale evento alle controparti.
Nel caso di specie, la comunicazione a mezzo pec dell’evento risulta effettuata dal procuratore alle liti della parte deceduta ai procuratori delle controparti.
Nessuna contestazione è mossa al rilievo in fatto, contenuto nella sentenza impugnata, che l’indirizzo di destinazione della comunicazione pec era quello ufficiale della casella ‘pec avvocato’ utilizzata dai procuratori delle controparti.
Occorre allora verificare se tale comunicazione , quand’anche equiparabile a formale notificazione, ai sensi della giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata, possa non avere attitudine a determinare l’effetto interruttivo che la legge formalmente le ricollega.
Per farlo è necessario verificare se essa comunicazione contenga o meno tutti gli elementi previsti dalla legge per raggiungere quello scopo; o se, per alcune peculiarità di specie, tali caratteristiche non siano presenti e, quindi, l’atto possa essere inteso come rivolto anche a scopi diversi da quelli processuali propri.
Sotto il primo profilo, va rilevato che il tenore letterale di quanto comunicato è obiettivamente idoneo a raggiungere lo scopo interruttivo: il procuratore della parte deceduta nelle more del giudizio e tra un’udienza e l’altra del processo , comunica a mezzo pec ai procuratori delle altre parti costitu te l’evento della morte del proprio assistito.
Il contenuto comunicativo di tale atto, per come accertato in fatto dalla Corte territoriale e non oggetto di specifica censura in questa sede, è inequivocabile.
La pretesa del ricorrente di relegare tale contenuto comunicativo a una mera cortesia è già difficilmente sostenibile in astratto: una comunicazione con mail pec, indirizzata alla casella elettronica ufficiale del difensore della controparte, è atto idoneo a determinare i suoi effetti nel processo, del tutto a prescindere dalle intenzioni, più o meno palesate, del mittente.
Ma, nel caso di specie, il ricorrente pretende di dimostrare l’e straneità della comunicazione dal novero di quelle idonee a determinare effetti processuali sulla base della constatazione che alla mail non era allegato il certificato di morte della parte: circostanza, invero, che la sentenza impugnata ha valutato come del tutto ininfluente rispetto alla produzione di effetti interruttivi automatici del processo.
Affermazione quest’ultima su cui , in diritto, si deve convenire: la norma in esame (art. 300 cod. proc. civ.) ricollega effetti interruttivi automatici del processo per effetto della semplice notificazione dell’evento alle parti costituite a opera del procuratore della parte deceduta: la norma stessa non prevede che tale dichiarazione debba essere accompagnata, ai fini della sua validità, dall ‘ allegazione di documentazione attestante l’effettività dell’evento. E ciò per l’ evidente ragione che, in disparte i casi di non veridicità della dichiarazione stessa, l’ interruzione decorre dalla data della dichiarazione o della notificazione e non già dalla data della morte della parte, rispetto alla quale quindi l’ allegazione del certificato di morte rappresenta un quid pluris , che in alcun modo -salva la non veridicità della dichiarazione, circostanza estranea al caso di specie -può influire sull’ avvenuta interruzione del processo.
Né appare possibile ritenere che la finalità dell’atto posto in essere non sia univocamente ricollegabile all’evento interruttivo del processo: nessuna finalità processualmente rilevante, diversa da quella dell’ interruzione del processo, può infatti avere la dichiarazione a verbale o la notificazione (cui è equiparabile si è detto la comunicazione via mail pec dell’evento dal procuratore della parte deceduta ai procuratori delle altre parti) del decesso della parte.
Ciò consente di escludere l’ applicazione alla fattispecie di quanto affermato da questa Corte in altre ipotesi, segnatamente a proposito della decorrenza del termine per proporre l’ impugnazione anche per il notificante la sentenza, laddove si è distinto a seconda dei destinatari della notificazione, ritenendosi che, se la notificazione avviene al procuratore costituito della controparte, il termine breve per impugnare decorre anche per il notifican te, posto che l’effetto acceleratorio si rivolge nei confronti di tutte le parti costituite (Sez. 6 – 1, n. 18493 del 01/09/2014; Sez. 3, n. 20193 del 18/09/2009; Sez. 3, n. 13546 del 11/06/2009; Sez. 3, n. 11216 del 08/05/2008; Sez. 3, n. 666 del 23/01/1998; Sez. 1, n. 7818 del 21/08/1997; Sez. 5 , n. 7257 del 22/03/2017); laddove, se la notificazione avviene alla parte personalmente e, comunque, non nella mani del procuratore costituito, il termine non decorre, posto che tale attività notificatoria può essere rivolta a diversi fini, segnatamente esecutivi della condanna portata dalla sentenza (si vedano le diverse fattispecie decise da Sez. 6 – 1, n. 16590 del 05/07/2017; Sez. 1, n. 21746 del 27/10/2016; Sez. 1, n. 21734 del 27/10/2016 Sez. 2, n.4313; Sez. 6 – 3, n. 2133 del 03/02/2016).
Nel caso di specie, infatti, non solo non è stata dedotta, né quindi accertata nel merito, la ‘diversa finalità’, estranea a quella interruttiva, cui la dichiarazione di morte avrebbe potuto essere finalizzata; ma la comunicazione pec, equipollente si è detto alla notificazione in altre forme, è stata indirizzata ai procuratori costituiti delle controparti all’indirizzo certificato per l’ attività professionale : ciò che rende vieppiù certo che l’effetto dell’atto sia univocamente quello processuale interruttivo.
Né alcun rilievo, ai fini che ne occupa, può avere la circostanza che nella comunicazione il procuratore della parte deceduta preannunci di volere effettuare la dichiarazione interruttiva a verbale della futura udienza già fissata atteso che, come detto, l’effetto interruttivo del processo è ricollegato dall’art. 300 cod. proc. civ. a due distinte ed equipollenti forme – la comunicazione a verbale o la notificazione fuori udienza dell’evento – con la logica conseguenza che il processo è da considerarsi interrotto dalla data di effettuazione della prima delle due ridette modalità, e ciò del tutto a prescindere dalla riserva di ripetizione della dichiarazione, da ritenersi processualmente superflua stante l’avvenuta interruzione ope legis del processo dalla data della precedente notificazione.
Dalla data di avvenuta consegna della pec, quindi, il processo era interrotto.
Sul punto va, infatti, ribadito, come evidenzia anche alla sentenza impugnata, che l’effetto interruttivo prodotto dalla dichiarazione resa dal procuratore con le modalità stabilite dal primo comma dell’art. 300 cod. proc. civ. è immediato e prescinde del tutto dall’eventuale pronuncia da parte del giudice,
alla quale va riconosciuto (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 16797 del 24/05/2022) carattere meramente ricognitivo.
Da tanto consegue la correttezza delle conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata che ha rilevato come, al momento del deposito del ricorso per riassunzione da parte dell’ odierno ricorrente, il termine previsto dall’art. 305 cod. proc. civ. fosse già decorso.
b) Secondo motivo: «Violazione di Legge ex art. 360, c. 1 n. 3 ed in particolare dell’art. 310, c. 4 c.p.c. e degli artt. 91 e 92 c.p.c. e del DM 556/2014 in relazione alla condanna alla rifusione delle spese legali a seguito di dichiarazione di estinzione del procedimento. Illegittimità delle spese liquidate sia dell’ an che nel quantum . A) erroneità della liquidazione delle spese legali pure in costanza di un dispositivo di mera estinzione del processo; B) erroneità, in ogni caso, della quantificazione in misura abnorme delle spese legali, emesse senza tenere conto della riduzione per la sola pronuncia di rito (e non di merito). Omessa motivazione, argomentazione e di qualsivoglia percorso logico giuridico, in ogni caso, sugli importi liquidati (pari a complessivi euro 32.727,00 per ciascuna parte oltre oneri e quindi pari a euro 39.141,49 (oneri compresi) per ciascuna parte; e quindi pari a complessivi euro 117.424,47 oneri compresi)».
Il motivo è infondato. La censura non lamenta la violazione dei limiti massimi tabellarmente previsti dal DM n. 55 del 2014, pacificamente applicabile ratione temporis alla fattispecie. Essa si limita a ritenere ‘ evidente ‘, senza tuttavia spiegare tale affermazione, che il valore della causa fosse indeterminabile,
allorquando, come eccepiscono i controricorrenti, il valore della domanda introduttiva raggiungeva i 20 milioni di euro, come del resto lo stesso ricorrente indica in questa sede in calce al suo ricorso. Da tanto consegue l’ infondatezza di quanto lamentato, atteso che il liquidato non eccede i parametri previsti dal citato decreto. In relazione all’ obbligo di motivazione, va ribadito quanto ancora di recente affermato da questa Corte (Sez. 2, Ordinanza n. 14198 del 05/05/2022): in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso. Tale principio non trova alcuna confutazione in quanto affermato dal precedente di questa Corte (Sez. 2, sent. n. 9378 del 2020) citata dal ricorrente, che attiene al ben diverso caso di una motivazione apparente resa dal giudice del merito in una controversia avente specifico e unico oggetto nella liquidazione dei compensi professionali di avvocato.
La soccombenza regola le spese di fase, determinate secondo lo scaglione corrispondente al valore della controversia, indicato dallo stesso ricorrente in calce al ricorso nella somma di euro 20.257.962,05.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna COGNOME NOME a rifondere a NOME COGNOME, NOME COGNOME COGNOME, e NOME COGNOME, quest’ultimo unitamente a NOME COGNOME , le spese della presente fase di legittimità, che liquida per le tre parti controricorrenti come sopra identificate, in euro 25.200,00 per ciascuna di esse, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 giugno 2024.