Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4494 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4494 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15046/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio degli avv.ti COGNOME NOME e COGNOME NOME che li rappresentano e difendono;
-ricorrenti-
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME;
-controricorrenti-
nonché contro
COGNOME NOME e COGNOME, elettivamente domiciliate in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO che le rappresenta e difende;
-controricorrenti-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2317/2017, depositata il 07/04/2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/05/2023
dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
1. NOME e NOME COGNOME con NOME COGNOME hanno chiesto al Tribunale di Roma di accertare il diritto di proprietà degli attori sulla cantina n. 3, di pertinenza del loro appartamento, e conseguentemente di condannare NOME COGNOME al rilascio della stessa, ovvero, in via subordinata, di dichiarare l’evizione totale o parziale del bene venduto, condannando i loro danti causa, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido, a restituire loro euro 30.000. Esponevano gli attori di avere acquistato nel 1998 l’immobile identificato dall’interno n. 3 con annessa la cantina n. 3 e di avere successivamente constatato che NOME, proprietaria dell’interno n. 4, aveva apposto un lucchetto, impedendo così l’accesso alla cantina. Si costituivano i danti causa COGNOME e COGNOME, esponendo di avere venduto la cantina n. 2, quale unica cantina rimasta libera. Si costituiva COGNOME, sostenendo di avere acquistato l’interno n. 4 e una cantina contraddistinta con il n. 4, corrispondente a quella rivendicata dagli attori. Nel corso del giudizio veniva integrato il contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME, figlia della NOME e attuale proprietaria dell’interno n. 3, che deduceva di avere legittimamente acquistato la cantina e rivendicava in ogni caso l’avvenuta usucapione della medesima per possesso ultra
ventennale dei suoi danti causa. Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda degli attori e ha rigettato la domanda riconvenzionale di usucapione e le altre domande.
COGNOME e COGNOME hanno impugnato la sentenza di primo grado. La Corte d’appello di Roma ha accolto l’impugnazione con la sentenza n. 2317/2017, statuendo, a differenza del giudice di primo grado, la prevalenza dei titoli dedotti dalle convenute rispetto ai dati catastali, anche perché le risultanze dei titoli appaiono in linea con quanto affermato dai danti causa degli attori e trovano conferma nelle prove testimoniali assunte. La Corte d’appello ha così rigettato la domanda di rilascio della cantina, con assorbimento della domanda subordinata di usucapione della medesima e rigetto della domanda di garanzia per evizione.
Avverso la sentenza d’appello ricorrono per cassazione NOME e NOME COGNOME, con NOME COGNOME.
Resistono con separati atti di controricorso da un lato NOME e NOME COGNOME e dall’altro lato NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Memoria è stata depositata dai ricorrenti e dalle controricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in tre motivi.
Il primo motivo contesta ‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia e travisamento della prova testimoniale in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c.’: la Corte d’appello non ha tenuto conto che l’atto di provenienza dell’immobile depositato da COGNOME e COGNOME indica quale confine sud INDIRIZZO, confine che non è idoneo a identificare il bene alle stesse pervenuto, così come inidonei a tal fine sono gli atti di provenienza dei ricorrenti; la Corte di appello ha inoltre travisato le dichiarazioni del testimone COGNOME.
Il motivo è infondato.
La prima parte della rubrica richiama un parametro, l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, che non trova applicazione rispetto al caso di specie, essendo stato eliminato dalla formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. ad opera del d.l. n. 83/2012, risolvendosi d’altro canto il motivo in una richiesta di diversa interpretazione dei titoli di acquisto, interpretazione che spettava al giudice di merito e che questi ha svolto con ampia argomentazione. Quanto alla censura di travisamento della prova testimoniale, si tratta di una censura inammissibile in quanto il motivo si limita a dire che ‘ il teste COGNOME non ha mai dato atto dell’immissione nel possesso di una cantina degli odierni ricorrenti ‘, senza trascrivere le parti rilevanti delle dichiarazioni rese dal testimone.
Il secondo motivo censura la ‘violazione (o falsa applicazione) degli artt. 948, 1362, 2659 e 2826 c.c.’: la Corte d’appello ha fondato la propria decisione sulla errata interpretazione della lettera e della volontà delle parti in relazione a un atto di permuta del 1972, atto che non ha valore in ordine alla identificazione e attribuzione della cantina, non essendo un titolo di acquisto della proprietà; la Corte territoriale, a fronte della insufficienza in relazione ai confini degli atti di provenienza dalle parti in causa, avrebbe dovuto utilizzare i dati catastali come ha fatto la sentenza di primo grado.
Anche tale motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del
giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (tra le varie, v. Sez. 1 – , Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).
Quanto alla violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (tra le varie, Sez. 3 – , Sentenza n. 28319 del 28/11/2017).
Nel caso in esame i vizi denunziati non ricorrono perché i ricorrenti contestano l’interpretazione dei titoli fornita dal giudice del merito, in più lamentando la valorizzazione di un atto di permuta che a loro dire non potrebbe costituire idoneo titolo di acquisto della proprietà, atto di permuta correttamente valorizzato dalla Corte di appello alle pagine 6 e 7 della sentenza impugnata.
La censura si sostanzia dunque in una critica alle valutazioni riservate al giudice di merito e, in definitiva, in una alternativa valutazione delle risultanze del processo.
3) Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la ‘violazione (o falsa applicazione) degli artt. 112 e 287 c.p.c.’: la Corte d’appello ha corretto la sentenza impugnata disponendo la restituzione delle
somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado, anche se la statuizione mancava nel dispositivo.
Il motivo è infondato al pari dei precedenti.
La Corte d’appello aveva, al termine della motivazione, concluso per l’accoglimento della domanda delle appellanti di restituzione del bene e delle spese di lite corrisposte alle controparti in esecuzione della pronuncia di primo grado, per poi limitarsi nel dispositivo a ordinare la restituzione della sola cantina e non delle spese di lite, omissione materiale emendabile con il procedimento di correzione di cui agli artt. 287 e ss. c.p.c. La giurisprudenza di questa Corte ammette infatti l’esperimento del procedimento di correzione anche nell’ipotesi di omissione non solo nel dispositivo, ma anche nella motivazione del provvedimento di restituzione: qualora il giudice del gravame ometta, pur esistendo in atti tutti gli elementi a ciò necessari, di ordinare la restituzione di quanto corrisposto in esecuzione di quest’ultima, è infatti possibile chiedere la correzione del provvedimento, ‘atteso che una siffatta condanna è sottratta a qualunque forma di valutazione giudiziale, sicché sono configurabili i presupposti di fatto che giustificano la correzione’ (così Cass. n. 18619 /2016).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti NOME e NOME COGNOME, che liquida in euro 3.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, e in favore
delle controricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME, che liquida in euro 4.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione