Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 797 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 797 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
Oggetto: successioni
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 1200/2018 R.G. proposto da COGNOME NOME COGNOME E COGNOME NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio in Roma, INDIRIZZO
– RICORRENTI –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME con domicilio in Roma, INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME.
-CONTRORICORRENTE-RICORRENTE INCIDENTALE-
e
NOME
-INTIMATO- avverso l a sentenza della Corte d’appello di Messina n. 1104/2017, pubblicata in data 7.11.2017.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del giorno 14.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto di respingere il ricorso.
Uditi gli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha chiesto al tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto di dare esecuzione alla disposizione mortis causa del 30.1.1991, con cui NOME COGNOME gli aveva legato la RAGIONE_SOCIALE in Filicudi.
NOME COGNOME figlio ed erede del de cuius, ha resistito alla domanda, sostenendo che l’atto costituiva una donazione nulla per difetto di forma o che comunque era stato revocato da un successivo testamento.
Il Tribunale, ritenuta la validità del legato, ha ordinato a NOME COGNOME la consegna dell’immobile.
La decisione è stata confermata in appello con pronuncia n. 664/2008, successivamente cassata da questa Corte con sentenza n. 11605/2015, su ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME, evidenziando che il giudice territoriale non aveva ‘ chiarito perché il testo del lascito (“NOME COGNOME NOME lego al signor COGNOME NOME la bottega in COGNOME“) avesse le caratteristiche di una disposizione patrimoniale destinata ad avere effetto solo dopo la morte del de cujus, specificando che ‘la menzione della scrittura del “31 gennaio 1991” intervenuta tra il legatario attore e COGNOME COGNOME in cui si assume che si fosse fatto espresso richiamo ad un “magazzinetto dallo stesso usato come cucina” con riferimento a quello lasciato in eredità al legatario, se avrebbe, in ipotesi, potuto valere per la identificazione tra i due beni – questione ampiamente affrontata nel 3 e nel 4 motivo di ricorso – certo non interessava la, logicamente precedente, indagine se si fosse stati in presenza di un lascito
testamentario, valutando all’uopo la laconicità del testo ed il carattere non decisivo dell’uso del verbo “lego”, in considerazione della personalità del testatore (pescatore nell’isola di Filicudi) e dei non esplicitati rapporti con il beneficiario’.
Riassunta ritualmente la causa, il giudice del rinvio ha respinto l’appello e ha confermato la decisione di primo grado.
Per quel che rileva nel presente giudizio, la Corte di merito ha ritenuto che l’atto del 30.1.1991 integrasse una disposizione mortis causa, osservando che: a) la disposizione era destinata a produrre effetto dopo la morte del disponente, come era possibile evincere dalla sua formulazione letterale, non avendo il de cuius immediatamente provveduto alla consegna, né previsto un termine per adempiere; b) anche a voler ipotizzare una donazione nulla per difetto di forma, era certo che il Pinzone fosse deciso a trasferire il bene al resistente per motivi non emersi, ma che certamente dovevano esistere; c) l’uso del termine ‘lego’ era stato intenzionale, essendo il testatore in grado di comprendere il significato delle espressioni utilizzate, non avendo inteso effettuare una donazione; d) non vi era dubbio che il de cuius volesse legare proprio la bottega, emergendo tale volontà dalla successiva scrittura del 30.3.1991 in cui il bene era indicato come magazzinetto , a conferma che una precedente rettifica catastale (che aveva modificato la destinazione del locale da bottega ad accessorio dell’abitazione) non aveva del tutto chiarito la reale destinazione del bene, desumendosi dalla planimetria allegata alla denuncia di variazione catastale che il lascito riguardava la part. 718.
La sentenza ha ritenuto irrilevante che NOME COGNOME fosse proprietario pro quota del bene, avendo disposto nella
consapevolezza di non essere proprietario esclusivo, configurandosi un legato di cosa parzialmente altrui.
Avverso la sentenza di rinvio ricorrono in cassazione NOME e NOME COGNOME eredi di NOME COGNOME formulando quattro motivi di censura;
NOME COGNOME erede di NOME COGNOME resiste con controricorso e con ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo.
NOME COGNOME è rimasto intimato.
In prossimità dell’udienza pubblica le parti hanno depositato memorie illustrative.
Il primo motivo del ricorso principale deduce la violazione dell’art. 384, commi primo e secondo, c.p.c., sostenendo che il giudice del rinvio, nel ribadire che l’atto del 30.1.1991 costituiva una disposizione mortis causa, avrebbe disatteso le prescrizioni della pronuncia di legittimità che aveva raccomandato di non considerare decisivo né il dato letterale, né il contenuto della successiva scrittura del marzo 1991 che conteneva un’esplicita qualificazione del precedente lascito come disposizione a titolo particolare.
Obiettano i ricorrenti che non era ammissibile valorizzare elementi estrinseci al contenuto del testamento, occorrendo dar rilievo alle condizioni soggettive del de cuius, incapace, per il modesto grado di istruzione, di percepire l’esatto significato dei termini utilizzati, senza potersi tralasciare l’esame dei rapporti personali tra il de cuius ed il beneficiario, restando, infine, inutilizzabili le dichiarazioni del notaio NOME, tardivamente acquisite solo nel giudizio di rinvio, che aveva riferito di esser stato consultato dal COGNOME in occasione della redazione del testamento.
Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 587, 601 e 1362 e ss. c.c., 392 c.p.c., lamentando che la
pronuncia abbia qualificato la disposizione sulla base di elementi estrinseci al documento, svalutando il grado di cultura, la mentalità e l’estrazione sociale del disponente, avendo indebitamente valorizzato la mancata consegna del bene prima del decesso o la mancata previsione di una data di consegna, trattandosi di condotte successive ed irrilevanti, senza aver minimamente indagato sulla natura dei rapporto intercorsi tra le parti.
I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono infondati. La sentenza di appello era stata cassata per vizio di motivazione e, pertanto, il giudice del rinvio aveva il potere di riesaminare gli atti, di valutare liberamente gli elementi acquisiti ed indagare anche su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata (Cass. 6707/2004; Cass. 27337/2019; Cass. 448/2020; Cass. 17240/2023).
La sentenza di legittimità aveva posto in rilievo come la Corte d’appello avesse eluso il tema della corretta individuazione della natura della disposizione -inter vivos o mortis causa -in base al contenuto del documento, alle espressioni usate, per quanto non decisive, senza però svalutare elementi extra-testuali, quali i rapporti tra il de cuius ed il beneficiario, che aveva raccomandato di opportunamente considerare.
Il dato letterale andava valutato in rapporto agli altri elementi, che la sentenza ha approfondito anche allo scopo di accertare le ragioni dell’uso del termine ‘lego’, che secondo il giudice del rinvio, non era stato utilizzato in modo inconsapevole, essendo il COGNOME in grado, per la pregressa esperienza nella pratica degli affari, di comprendere il significato e gli effetti della disposizione, per cui, se avesse voluto donare, avrebbe certamente utilizzato espressioni
coerenti con lo scopo perseguito, peraltro di uso e significato comuni.
Tali dati di fatto, unitamente alla personalità del testatore, alla mancata consegna del bene prima della morte (o alla previsione di un termine di adempimento), alla indiscutibile volontà di disporre in favore del beneficiario rendono plausibile la qualificazione del lascito come negozio mortis causa.
D’altronde l ‘interpretazione del testamento, cui in linea di principio sono applicabili le regole di ermeneutica dettate dal codice in tema di contratti, con la sola eccezione di quelle incompatibili con la natura di atto unilaterale non recettizio del negozio “mortis causa”, è caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca, aldilà della dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell’art. 1362 c.c., va individuata con riferimento -in primis – ad elementi intrinseci alla scheda testamentaria, sulla base dell’esame globale del documento.
Ove dal testo dell’atto non emergano con certezza l’effettiva intenzione del “de cuius” e la portata della disposizione, il giudice può fare ricorso ad elementi estrinseci, ma pur sempre riferibili al testatore, quali, ad esempio, la personalità dello stesso, la sua mentalità, cultura o condizione sociale o il suo ambiente di vita (Cass. 10882/2018; Cass. 8690/2019; Cass. 22953/2019; Cass. 21607/2021; Cass. 16780/2023; Cass. 29875/2023).
Svolta una tale verifica, il giudice di merito può attribuire alle parole usate dal testatore un significato diverso da quello tecnico e letterale solo quando sia evidente, nella valutazione complessiva dell’atto, che i termini siano stati adoperati in senso diverso, purché non contrastante ed antitetico, e si prestino ad esprimere, in modo più adeguato e coerente, la reale intenzione del “de cuius” (Cass. 24367/2010).
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 651 e 654 c.c., per aver la sentenza ritenuto individuabile o individuato l’oggetto del legato per il fatto che il disponente non poteva non esser a conoscenza della comproprietà del bene con il figlio NOME e della vendita dell’immobile effettuata alla moglie nel 1975, sia perché il bene, con la suddetta destinazione, era menzionato nella dichiarazione di successione, circostanza quest’ultima del tutto irrilevante, posto che il riferimento catastale alla part. 718 non individua, in realtà, un locale bottega ma un vano cucina annesso alla restante abitazione e che il testatore non conosceva la classificazione catastale.
Si obietta, inoltre, che precedentemente al lascito era stata mutata la destinazione dell’immobile da magazzino a deposito accessoria all’ abitazione e che il COGNOME avrebbe certamente fatto riferimento alla successiva destinazione catastale qualora avesse voluto legare proprio il vano oggetto di causa.
Il motivo è infondato.
Il vano aveva originariamente la funzione di bottega e si identificava con il locale di cui era stata mutata la destinazione a servizio della restante porzioni immobiliare, ma era ancora individuato come magazzino nella successiva scrittura del marzo 1991 che, per quanto evidenziato nella pronuncia di cassazione, era elemento valutabile proprio ai fini dell’individuazione dell’oggetto del legato, e che, comunque, confermava la volontà del de cuius di disporre proprio di quel determinato bene a prescindere dalla risultanze catastali.
Non vi era dunque incertezza su quale fosse la porzione oggetto del negozio mortis causa, né sul fatto che NOME COGNOME ne fosse proprietario.
L’accertamento svolto in proposito è dunque – logicamente motivato, competendo al giudice di merito l’indagine riguardante la determinabilità, in concreto, dell’oggetto dell’atto negoziale (Cass. 2951/1980), da svolgersi, anche riguardo al legato, in base alla previsione dell’art. 1346 c.c. (Cass. 2708/1992).
Il quarto motivo lamenta la violazione degli artt. 112, 132 n. 4 c.p.c. e 111 Cost., per aver la sentenza omesso di pronunciare sui motivi di appello riguardanti l’errata individuazione della quota di comproprietà del locale spettante a NOME COGNOME ed in ordine al fatto che il testatore aveva precedentemente venduto il bene alla moglie e poi, deceduta quest’ultima, ne era divenuto proprietario per successione al 50%, per cui il legato doveva considerarsi efficace solo nei limiti della quota del de cuius e non per l’intero.
Il motivo è palesemente infondato, poiché la questione dell’appartenenza del bene solo pro quota e della volontà di legare l’intero è, anzitutto, oggetto di pronuncia esplicita.
La Corte ha inoltre chiarito che NOME COGNOME era consapevole di essere comproprietario (e non titolare esclusivo) del bene unitamente al figlio, avendo presentato la denuncia di successione della moglie, e che aveva inteso legare l’intero: la disposizione aveva efficacia reale riguardo alla quota di NOME COGNOME ed effetti obbligatori per la quota del figlio che, quale erede del de cuius, era tenuto a trasferirlo al legatario, trattandosi di cosa parzialmente altrui.
Il ricorso è respinto, con aggravio delle spese processuali. Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, liquidate in €. 5500,00 per onorario ed in € 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda