Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18570 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18570 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16302-2019 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO , presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, rappresentata e difensa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi giusta procura in calce al controricorso, da ll’avvocato COGNOME;
-contro ricorrenti –
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOMEO TONIO;
-intimati – avverso la sentenza n. 311/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 13/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/06/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Lette le memorie delle parti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. COGNOME NOME e NOME convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Cagliari NOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME (fratello della de COGNOME COGNOME NOME), al fine di conseguire il riconoscimento della qualità di unici eredi testamentari in virtù del testamento olografo del 10 febbraio 2007, con l’accertamento altresì che la successiva scheda del 15 maggio 2007 non conteneva alcuna disposizione a favore della NOME e del NOME.
Deducevano che la scheda del maggio del 2007 non prevedeva alcuna attribuzione a favore dei convenuti né prevedeva una revoca espressa o tacita del testamento a loro favorevole, dovendosi invece reputare che con la stessa la COGNOME avesse inteso esplicitamente ribadire che non intendeva attribuire nulla ai convenuti, come es plicato dall’utilizzo d ell’espressione ‘neno’ che nella lingua sarda vuol dire ‘nessuno’.
Aggiungevano altresì che la testatrice al momento della seconda scheda era incapace di intendere e di volere.
Ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri eredi legittimi della testatrice, COGNOME NOME e COGNOME NOME, figli
di un fratello premorto, nella resistenza dei convenuti, che invece invocavano la validità della seconda scheda testamentaria, nelle more del giudizio decedeva il NOME cui succedeva come erede la NOME.
Il Tribunale di Cagliari con la sentenza n. 3767 dell’8 novembre 2013 ha rigettato la domanda attorea, ed avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello.
La Corte d’Appello di Cagliari con la sentenza n. 311 del 2018 ha rigettato il gravame.
Dopo avere riportato il contenuto della scheda testamentaria, evidenziava la presenza nella stessa di numerosi errori ortografici che però apparivano ininfluenti rispetto al contesto nel quale si inserivano, e che permetteva di affermare che con il testamento la de COGNOME intendeva lasciare i propri beni ai convenuti NOME e NOME.
La scheda era infatti suscettibile di ricostruzione nel suo contenuto effettivo, e manifestava l’intento di lasciare i propri beni ai soggetti designati.
Quanto all’utilizzo del termine ‘neno’, che il Tribunale aveva reputato fosse un mero errore di stesura, l’appellante insisteva sul fatto che lo stesso indicasse nella lingua sarda la parola ‘nessuno’ così che doveva inferirsi che la de COGNOME non voleva in realtà attribuire alcun bene.
Tuttavia, anche tale diversa esegesi non era condivisibile, in quanto non vi sarebbe stata alcuna ragione per redigere un atto al fine di privare di beni dei soggetti che comunque non rivestivano la qualità di eredi legittimi, e che quindi non potevano accampare alcuna pretesa sul patrimonio della testatrice.
La diversa tesi dell’appellante secondo cui comunque vi sarebbe stato un interesse a manifestare la volontà di non assegnare alcun bene agli appellati si scontrava con la logica.
Ciò induceva anche ad affermare come la prova testimoniale fosse del tutto irrilevante in quanto alcuna influenza sulla decisione avrebbe potuto avere la dimostrazione che la COGNOME era solita utilizzare anche la lingua sarda.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso, affidato a quattro motivi, NOME NOME.
Resistono con controricorso NOME e NOME.
Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 1362 e ss., c.c., in combinazione con l’art. 587 c.c., per la violazione del criterio dell’interpretazione testuale e dell’esame delle espressioni verbali del testo negoziale.
Infatti, la sentenza non ha inserito nel quadro interpretativo alcuni termini presenti nella scheda, violando in tal modo il precetto fondamentale che impone di valorizzare l’aspetto testuale del documento. In particolare, la Corte d’appello ha omesso di inserire nel quadro delle volontà testamentarie l’espressione ‘neno’ che avrebbe potuto far sorgere una lettura alternativa di testamento.
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 1362 e dell’art. 587 c.c., per la violazione dei criteri di interpretazione extra testuali, avendo fatto ricorso ad un criterio di interpretazione oggettivo, escludendo che si fosse al cospetto di una manifestazione di volontà negativa, valorizzando il carattere di
inutilità di tale dichiarazione, per il fatto che i suoi destinatari non rientravano nel novero degli eredi legittimi.
In tal modo si è anteposto un criterio di interpretazione oggettiva delle volontà testamentarie, che deve invece essere reputato recessivo a confronto della valorizzazione delle espressioni testuali.
I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono privi di fondamento.
Il testamento della de COGNOME risulta avere il seguente tenore: ‘Io sottoscrito NOME COGNOME COGNOME a San Antioco DATA_NASCITA in piena facoltà mentana dichio dichiaro di che in miei Neno Beni li lasio A NOME Carbonia 15 maggio 2007 in fede NOME COGNOME‘.
La Corte d’Appello ha evidenziato che la scheda, sebbene connotata da numerosi errori grammaticali, consentiva di individuare in maniera univoca la volontà della testatrice di lasciare i propri beni ai convenuti.
Il documento, inoltre, presentava tutti i requisisti formali prescritti per l’olografo, dovendosi ridurre gli errori ortografici al grado di irrilevanza ai fini della corretta esegesi delle volontà testamentarie, che permettevano di individuare una pacifica attribuzione dei beni relitti in favore della NOME e del Lai, come appunto confermato dalle espressioni ‘lascio’ e ‘niei’ (rectius miei) beni, come espressive della reale volontà di istituzione dei predetti ex art. 587 c.c.
La diversa espressione ‘ neno ‘ degradava invece al rango di un mero errore di stesura, inidoneo ad inficiare la complessiva lettura della scheda nel senso sopra indicato. Inoltre, anche a voler
accedere alla riconduzione del temine alla parola sarda significante il termine italiano nessuno, non poteva aderirsi alla diversa interpretazione offerta dall’appellante, secondo cui con la stessa la dichiarazione della testatrice aveva in realtà una portata negativa. Deponeva per la svalutazione di tale elemento la circostanza che entrambi i soggetti designati non rientravano nel novero degli eredi legittimi, sicché alcuna pretesa potevano vantare sui beni relitti della testatrice che pertanto non aveva alcuna esigenza di disporre una loro formale diseredazione.
Reputa la Corte che la soluzione alla quale è pervenuta la Corte d’appello sia incensurabile.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema d’interpretazione del testamento, qualora dal testo dell’atto non emerga con certezza l’effettiva intenzione del testatore e la portata della disposizione, l’interprete può, in via sussidiaria, ricorrere alla valutazione di elementi estrinseci alla scheda testamentaria, seppure sempre riferibili al disponente, quali ad esempio, la sua cultura, la mentalità, il suo ambiente di vita e le sue condizioni fisiche (Cass. n. 25521 del 31/08/2023).
Tuttavia l’interpretazione del testamento, cui in linea di principio sono applicabili le regole di ermeneutica dettate dal codice in tema di contratti, con la sola eccezione di quelle incompatibili con la natura di atto unilaterale non recettizio del negozio ” mortis causa “, è caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca, aldilà della dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell’art. 1362 c.c., va individuata con riferimento ad elementi intrinseci alla scheda testamentaria, sulla base dell’esame globale della scheda stessa e non di ciascuna singola disposizione. Tuttavia, ove dal testo dell’atto non
emergano con certezza l’effettiva intenzione del “de COGNOME” e la portata della disposizione, il giudice può fare ricorso ad elementi estrinseci al testamento, ma pur sempre riferibili al testatore, quali, ad esempio, la personalità dello stesso, la sua mentalità, cultura o condizione sociale o il suo ambiente di vita (Cass. n. 10882 del 07/05/2018; Cass. n. 10075 del 24/04/2018).
Ne deriva che il giudice di merito può attribuire alle parole usate dal testatore un significato diverso da quello tecnico e letterale, quando si manifesti evidente, nella valutazione complessiva dell’atto, che esse siano state adoperate in senso diverso, purché non contrastante ed antitetico, e si prestino ad esprimere, in modo più adeguato e coerente, la reale intenzione del “de COGNOME” (Cass. n. 24637 del 03/12/2010).
Pertanto, il giudice deve accertare, secondo il principio generale di ermeneutica enunciato dall’art. 1362 cod. civ., applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria, quale sia stata l’effettiva volontà del testatore comunque espressa, considerando congiuntamente ed in modo coordinato l’elemento letterale e quello logico dell’atto unilaterale ” mortis causa “, salvaguardando il rispetto, in materia, del principio di conservazione del testamento. Tale attività interpretativa del giudice del merito, se compiuta alla stregua dei suddetti criteri e con ragionamento immune da vizi logici, non è censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 4022 del 21/02/2007).
Nell’interpretazione del testamento, il giudice di merito deve accertare, secondo il principio generale ex art. 1362 c.c., l’effettiva volontà del testatore, comunque espressa, valutando congiuntamente e in modo coordinato l’elemento letterale e quello logico dell’atto mortis causa, nel rispetto del principio di
conservazione, sicché viola l’art. 1367 c.c. il giudice che opti immotivatamente per l’interpretazione invalidante di una disposizione testamentaria in realtà suscettibile di interpretazioni alternative (Cass. n. 5487 del 01/03/2024; Cass. n. 23278/2013, sempre per la valorizzazione dell’art. 1367 c.c., Cass. n. 23278 del 14/10/2013; Cass. n. 207 del 21/01/1985).
Richiamati i suesposti principi, ad avviso della Corte non ricorrono le dette violazioni delle regole di ermeneutica.
La Corte distrettuale ha, in primo luogo, evidenziato che la scheda impugnata presentava numerosi errori ortografici, ma che una sua complessiva interpretazione non poteva non indurre alla conclusione secondo cui vi fosse la evidente volontà di istituire la NOME ed il Lai tramite l’assegnazione dei propri beni.
L’espressione ‘ neno ‘, che parte ricorrente intende ricondurre al termine della lingua sarda ‘ nemo ‘, oltre che presentare delle differenze di scrittura, era però a sua volta da ricondurre ad un errore di stesura, in quanto entrava in evidente e palese contraddizione con il resto della scheda che invece deponeva per la volontà di attribuzione dei beni ai predetti.
La conclusione del giudice di merito si fonda pertanto sulla valorizzazione del testo letterale, e ciò conformemente alla regola dettata dall’art. 1362 c.c., tenendo conto proprio dell’effettivo contenuto della scheda che palesava al suo interno numerosi errori ortografici, cui ricondurre anche l’espressione invece valorizzata dall’appellante che avrebbe contraddetto il senso generale delle espressioni utilizzate dalla de COGNOME.
Il richiamo alla previsione di cui all’art. 1367 c.c., destinato a adoperare, ove anche voglia ipotizzarsi come sostenuto nei motivi una contraddittorietà tra le espressioni presenti all’interno del
testamento, appare funzionale sia allo scopo di evitare che le disposizioni attributive siano private di ogni residua efficacia, sia al fine di giustificare la stessa redazione del documento, anche a voler accedere alla tesi che si tratti di una disposizione di carattere meramente negativo.
Infatti, è pur vero che la giurisprudenza di questa Corte ha ormai ammesso il testamento avente contenuto meramente diseredativo (Cass. n. 8352/2012), ma deve reputarsi che lo stesso abbia una sua concreta utilità laddove la diseredazione colpisca soggetti che altrimenti sarebbero destinati a succedere al testatore per legge.
Come puntualmente sottolineato dalla Corte d’Appello, i beneficiari della scheda oggetto di causa non rivestivano tale qualità, di guisa che non si poneva alcuna esigenza per la testatrice di prevedere un testamento di carattere sostanzialmente diseredativo, come invece risulterebbe aderendo alla tesi interpretativa sostenuta in ricorso.
Il carattere sostanzialmente superfluo della scheda appare invece contraddetto dell’esito cui è giunta la sentenza impugnata che ha invece posto in non cale l’espressione ‘ neno ‘, valorizzando le espressioni che invece deponevano per una volontà attributiva, salvaguardando in tal modo l’efficacia del testamento in ossequio al disposto dell’art. 1367 c.c.
In disparte lo stesso riferimento fatto in ricorso al fatto che il termine ‘ neno ‘ si presenta come una corruzione del termine della lingua sarda ‘ nemo ‘, senza che quindi possa reputarsi con certezza la loro identificazione semantica, depone per l’infondatezza delle censure la stessa affermazione della ricorrente secondo cui quella proposta è una opzione alternativa di interpretazione testamentaria, ma senza che possa per converso
reputarsi che quella fatta propria dal giudice di merito sia assolutamente implausibile.
Trattasi quindi di una critica che investe quello che costituisce, in presenza di interpretazione alternativa, un apprezzamento riservato al giudice di merito, per la quale risulta preclusa la possibilità di un intervento correttivo da parte del giudice di legittimità.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., quanto alla valutazione complessiva della concordanza degli indizi, sul presupposto che la sentenza avrebbe omesso di considerare una serie di elementi indiziari che deponevano per la diversa soluzione esegetica sostenuta dalla ricorrente.
Si era rimarcata la competenza linguistica della COGNOME, adusa ad utilizzare anche nella quotidianità la lingua sarda, la differenza di contenuto della scheda impugnata rispetto a quelle recentemente redatte dalla COGNOME, l’esistenza di un rapporto affettivo consolidato con l’attrice ed il di lei coniuge, rapporto che invece non poteva reputarsi esistente con i convenuti.
Il motivo è infondato, in quanto una volta ritenuta la riferibilità del documento de quo alla testatrice, la sua valutazione in termini di testamento e la individuazione del suo contenuto è avvenuta sulla base del suo contenuto letterale, e ciò in conformità delle regole sopra esposte in punto di interpretazione testamentaria, che impongono il riferimento ad elementi extra testuali solo nel caso in cui residuino incertezze dall’utilizzo dei criteri esegetici soggettivi, incertezze che i giudici di merito hanno escluso sussistessero.
Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. quanto alla mancata ammissione della prova testimoniale finalizzata a dare la prova che la de COGNOME si esprimeva sia nella lingua italiana che in quella sarda.
Il motivo è evidentemente privo di fondamento, in quanto, una volta disattesi i primi tre motivi di ricorso, ed escluso che possa annettersi una portata effettuale all’espressione ‘ neno ‘, che la ricorrente ritiene espressiva dell’utilizzo della lingua sarda, diviene altresì superflua la prova richiesta, essendo stato il rigetto della domanda attorea correlato al contenuto del testamento, quale evincibile dalle espressioni letterali nello stesso contenute.
Il ricorso è pertanto rigettato.
Atteso il rigetto del ricorso, la ricorrente è condannata alle spese del presente giudizio, da liquidarsi secondo dispositivo.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi € 5.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 19 giugno 2024