Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34758 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34758 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29792/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE COGNOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore generale e legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME COGNOME NOME E NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME
(CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n.
1301/2021 depositata il 26/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/12/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La presente controversia, per quanto ancora d’interesse, trae origine dal decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Como a favore della società COGNOME NOME di NOME e NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e nei confronti di Autostrada Pedemontana Lombarda s.p.a., per il pagamento di € 3.475.000,00 richiesti a titolo di saldo per la cessione volontaria, stipulata nell’ambito di un procedimento espropriativo, di un complesso immobiliare costituito da terreni e fabbricati, da destinare alla realizzazione di un tratto autostradale.
Con sentenza n. 1067/2017, il Tribunale di Como revocava il decreto opposto e, tenuto conto della somma di € 570.808,59 già pagata dall’ingiunta alla società opposta e dell’obbligazione assunta da quest’ultima di rimborsare alla cessionaria i costi sostenuti per € 858.184,42, condannava l’autostrada al pagamento di € 2.046.006,99
Con sentenza n. 1301/2021, del 26.04.2021 la Corte d’Appello di Milano, in parziale accoglimento dell’interposto gravame, determinava in € 1.907.688,27, fermi gli interessi come liquidati dal Tribunale, l’importo che RAGIONE_SOCIALE doveva pagare alla RAGIONE_SOCIALE
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per cassazione, affidato a 6 motivi illustrati da memoria.
3.1. Resiste con controricorso la società COGNOME NOME di Giovanni e NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE
3.2. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo RAGIONE_SOCIALE Lombarda denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1371 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Sostiene l’erroneità della decisione impugnata per aver la Corte d’appello mal interpretato l’art. 8 del contratto di cessione, essendosi soffermata sul termine ‘manleva’, quando invece se avesse fatto corretta applicazione dei criteri ermeneutici in materia contrattuale si sarebbe avveduta della sua irrilevanza rispetto all’espressione ‘tenere indenne’, pure contenuta nell’art. 8, con cui le parti avrebbero voluto escludere APL dai costi relativi all’espletamento delle attività di sgombero, smaltimento e bonifica di tutti i materiali trovati nei lotti interessati dall’opera.
4.2. Con il secondo motivo, parte ricorrente censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1371 c.c. ancora con riferimento all’art. 8 del contratto di cessione, per avere la Corte milanese dato un’interpretazione dell’espressione ‘costi che quest’ultima dovesse sostenere per l’espletamento dell’attività di sgombero e/o di smaltimento e/o di bonifica che dovessero essere ritenute necessarie ai fini dell’esecuzione dei lavori per la realizzazione della suddetta Opera’, ivi contenuta, in contrasto con le regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362, comma 1, e 1363 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.). I costi avrebbero riguardato tutti i materiali presenti nell’area in relazione all’esecuzione del tratto autostradale.
4.3. Con il terzo motivo di ricorso, APL, sempre con riferimento all’art. 8 del contratto di cessione, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 13621371 c.c., nonché dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, perché la Corte d’appello, questa volta con riferimento all’espressione ‘necessarie ai fini dell’esecuzione dei lavori per la realizzazione della suddetta Opera’, avrebbe falsamente applicato il canone ermeneutico relativo alla ‘comune intenzione delle parti’, di cui all’art. 1362, comma 1, c.c., non avendo avuto riguardo alla disciplina del citato art. 192 d.lgs. n. 152/2006. In particolare, sostiene che la Corte avrebbe fornito un’interpretazione del termine ‘necessario’ sbagliata, ‘perché avrebbe dovuto escludere che l’impegno fosse vincolante solo se avesse qualificati i materiali come non rifiuti. Avendo omesso di qualificarli, non poteva che dare alla clausola una lettura lessicale e ritenere, in virtù dell’art. 192 che la rimozione fosse dovuta’ (cfr. p. 19 ricorso APL).
4.4. Con il quarto motivo, la ricorrente prospetta la nullità della decisione per violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la Corte milanese dichiarato assorbiti i motivi di appello nn. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 14, nonché omesso di pronunciarsi sui motivi 3, 4, 5, 6, 7 e 8 (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.).
Deduce che, se li avesse esaminati -i motivi erano relativi ai seguenti temi di indagine: ‘illegittima devoluzione al ctu di questioni giuridiche (3), l’assenza delle due condizioni per gestire le terre come sottoprodotti (45) e la violazione dell’onere della prova (6), in ogni caso, l’errata individuazione ed interpretazione della normativa speciale vigente (7), la mancata applicazione del principio di precauzione (8)’ avrebbe dovuto concludere che ‘ciò che è stato rimosso erano rifiuti e che in quanto tali era necessario rimuoverli, talché la necessarietà della loro rimozione avrebbe determinato l’impegno di COGNOME a tenere indenne APL’ (cfr. p. 19, ricorso).
L’omessa pronuncia su tali motivi, rispetto all’interpretazione del termine ‘necessario’, sempre secondo la prospettazione della ricorrente, avrebbe avuto riflessi decisivi sulla decisione, determinando la nullità della sentenza impugnata.
4.5. Con il quinto motivo di ricorso, RAGIONE_SOCIALE Lombarda lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 13621371 c.c., questa volta deducendo un’erronea interpretazione extratestuale del termine ‘necessari’ contenuta nell’art. 8 del contratto di cessione (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.). L’errore della Corte lombarda sarebbe stato ritenere che ‘non potessero essere ribaltati su Ghielmetti i costi sostenuti ma al più il minor costo obiettivo’, dando in tal modo al lemma ‘costi necessari’ un significato diverso da quello testuale, atteso che, nel suddetto art. 8, le parti non avrebbero fatto riferimento ad un ‘costo obiettivo’ (cfr. p. 21, ricorso).
4.6 . Con il sesto motivo, infine, la ricorrente, sempre con riferimento all’art. 8 del contratto, si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1371 c.c. ancora in relazione alla normativa ambientale, questa volta adducendo che la Corte, con specifico riferimento ai costi sostenuti per allontanare le acque di aggottamento, avrebbe offerto un’interpretazione dell’espressione ‘necessarie ai fini dell’esecuzione dei lavori per la realizzazione della suddetta opera’ (pure contenuta nel citato art. 8), in contrasto con il canone ermeneutico della ‘comune intenzione delle parti’ dettato dall’art. 1362, comma 1, c.c., avuto riguardo al d.lgs. n. 152/2006 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.). E ciò, perché tali costi sarebbero stati necessari non potendosi realizzare l’opera senza il preventivo allontanamento delle acque, per cui rientrerebbero nella garanzia e, come tali, avrebbero dovuto essere posti a carico della cedente.
Il primo, il secondo, il terzo, il quinto e il sesto motivo di ricorso, tutti formulati ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. e relativi
all’asserita erronea interpretazione, data dalla corte territoriale, dell’art. 8 del contratto di cessione, possono essere scrutinati insieme stante la stretta connessione esistente tra di loro.
I motivi sono inammissibili.
Nonostante, infatti, nella rubrica di ciascuno di essi la ricorrente lamenti, in linea generale, il mancato rispetto delle norme in tema di interpretazione del contratto (artt. 1362-1371 c.c.), nel concreto, censura l’interpretazione del giudice del gravame della ‘comune intenzione dei contraenti’, di cui al primo comma dell’art. 1362 c.c., avuto riguardo al contenuto del citato art. 8 del contratto di cessione.
Doglianza che, per come prospettata, si infrange con il principio giurisprudenziale secondo cui sia l’accertamento della reale volontà delle parti che l’interpretazione del contenuto di una clausola contrattuale o dell’intero negozio giuridico costituiscono un’indagine di fatto affidata al giudice del merito, per cui è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui siano stati violati i principi d’interpretazione contrattuale. In tal caso, però, il ricorrente deve far riferimento alle regole legali d’interpretazione che assume violate, non solo indicando specificatamente a quali si riferisce, ma precisando in che modo e con quali considerazioni il giudice si sia discostato da dette norme, ‘non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata’ (cfr. ex plurimis, da ultimo, Cass. civ., Sez. I, Ord., 28 agosto 2024, n. 23258; Cass. civ., Sez. II, 14 agosto 2024, n. 22835; Cass. civ., Sez. V, Ord., 1° Agosto 2024, n. 21653; Cass. civ., Sez. V, Ord., 31 luglio 2024, n. 21562).
Anche perché la stessa giurisprudenza ha precisato che l’interpretazione data a un contratto o alle relative clausole, da parte del giudice di merito, non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma una tra quelle plausibili, sicché, quando di una
clausola esistono due o più possibili interpretazioni, ‘non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra’ (cfr. tra le tante, Cass. civ., Sez. II, 14 agosto 2024, n. 22835; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 8 agosto 2024, n. 22442; Cass. civ., Sez. II, Ord., 2 agosto 2024, n. 21793; Cass. civ., Sez. III, Ord., 27 giugno 2024, n. 17723).
Nel caso in esame, la Corte ambrosiana ha fornito -peraltro, attraverso una motivazione rispettosa del requisito del minimo costituzionale e, quindi, pienamente idonea a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito (cfr. Cass. civ., SS.UU, 7 aprile 2014, n. 8053 e, in motivazione, Cass. civ., SS.UU., Ord., 30 gennaio 2023, n. 2767) -un’interpretazione dell’art. 8 del contratto di cessione, facendo ricorso ai criteri interpretativi a sua disposizione, a partire da quello letterale, che ha correttamente valutato in relazione agli ulteriori elementi desumibili dal complessivo quadro probatorio (in particolare dalle risultanze della CTU), discostandosi dalla valutazione resa dal Tribunale sulla tipologia di ‘materiali’ rientranti nella garanzia, pervenendo ad una esegesi della clausola coerente, lineare e più che plausibile (ossia tutti i materiali rinvenuti nei lotti necessari per la realizzazione della tratta autostradale: cfr. pp. 6-13, sentenza impugnata n. 1301/2021).
A fronte di ciò, la ricorrente si è limitata a contestare, in modo generico, l’esito del procedimento ermeneutico compiuto dalla Corte d’appello, a cui ha contrapposto sola una sua diversa lettura del ridetto art. 8 in termini a lei più favorevoli. E così, nel primo motivo di ricorso, in cui afferma che il giudice del gravame non avrebbe dovuto dare enfasi al termine ‘manleva’, ma ‘concentrare l’attività interpretativa, dapprima sul significato da dare alle parole ‘tenere indenne”, per giungere alla conclusione che le parti avrebbero voluto escludere APL dai costi relativi allo sgombero, allo smaltimento e alla bonifica di tutti i materiali trovati nei lotti
interessati dall’opera (v. pp. 14 -15 ricorso). Interpretazione, questa, che non ha cura di confrontare i canoni ermeneutici che afferma esser stati violati con l’ampia, articolata e ragionata motivazione della Corte lombarda, che, proprio partendo dagli elementi testuali della clausola, con valutazione corroborata anche dai criteri dettati dagli artt. 1363, 1367 e 1369 c.c., e tenuto conto dei due limiti individuati nella previsione negoziale (uno di origine pattizia e l’altro ex lege), ha statuito che i costi rientranti nella clausola erano ‘quelli relativi allo sgombero ed alla bonifica delle superfici la cui escavazione era necessaria per la realizzazione del tratto autostradale’ (v. p. 9 -13 sentenza impugnata n. 1301/2021). Analoghe considerazioni valgono: i) per il secondo motivo, che non argomenta alcuna specifica violazione dei canoni ermeneutici ovvero un errore applicativo di essi, riducendo le lamentele ad una generica doglianza sulla valutazione dell’espressione ‘costi che quest’ultima dovesse sostenere per l’espletamento dell’attività di sgombero e/o di smaltimento e/o di bonifica che dovessero essere ritenute necessarie ai fini dell’esecuzione dei lavori per la realizzazione della suddetta Opera’ (v. pp. 15-17 ricorso); ii) per il terzo motivo, dove la censura, ancora in modo sommario, riguarda la valutazione del lemma ‘necessario’ del medesimo art. 8 (v. pp. 17 -19 ricorso), quando, sul punto, la Corte ha individuato l’ambito di operatività della garanzia valorizzandola alla stregua degli artt. 1362 c.c. e motivando la sua circoscrizione ‘ai materiali rinvenuti durante l’esecuzione dei lavori ed alle attività necessarie per la realizzazione dell’opera’ (v. p. 12, sentenza impugnata n. 1301/2021); iii) nel quinto motivo, poi, si duole dell’interpretazione della dicitura ‘costi necessari’, arrestandosi ad affermazioni del tutto ‘sganciate’ dalle regole ermeneutiche, non sostanziandosi anche qui le sue lamentele, in una critica ragionata alla sentenza (v. pp. 20-21 ricorso); mentre la Corte lombarda ha ampiamente motivato, anche su tale punto, la
sua decisione, alla luce anche degli esiti della CTU (v. p. 17-18 sentenza impugnata n. 1301/2021); iv) infine, nel sesto motivo, le lagnanze, ancora del tutto generiche, si concentrano sull’espressione ‘necessarie ai fini dell’esecuzione dei lavori per la realizzazione della suddetta opera’, senza spiegare compiutamente perché la statuizione impugnata sarebbe in contrasto con il canone ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., avuto riguardo al d.lgs. n. 152/2006 (v. pp. 21-23 ricorso).
5.1. Il quarto motivo di ricorso, con cui la ricorrente lamenta l’assorbimento dei motivi d’appello nn. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 14 e l’omessa pronuncia sui motivi d’appello 3, 4, 5, 6, 7 e 8, in violazione dell’art. 112 c.p.c. e ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., è inammissibile.
La c orte d’appello ha espressamente ritenuto, nella parte conclusiva della motivazione, che i motivi nn. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 14, riferiti ai lotti da A ad F, fossero assorbiti, perché presupponevano ‘tutti l’interpretazione più restrittiva della clausola di manleva fatta propria dal Tribunale di Como’ (cfr. p. 18 sentenza impugnata n. 1301/2021).
Inoltre, la medesima c orte, rispetto al motivo d’appello n. 14, relativo alle lamentate violazioni degli artt. 1227 c.c. e 96 c.p.c., ha precisato che non era stata provata la malafede dell’appellata, respingendo così la richiesta formulata nei confronti di quest’ultima di una condanna ex art. 96 c.p.c.
Orbene, va osservato che, in tema di pronuncia assorbita, la giurisprudenza di legittimità ha distinto le ipotesi dell’assorbimento proprio da quello improprio, precisando che, nella prima, la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua per sopravvenuto difetto di interesse della parte, che con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno; mentre, nella seconda, quella di specie, la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di
provvedere sulle altre questioni ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande.
Ebbene, l’assorbimento improprio ‘non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento’ (cfr. Cass. civ., Sez. V, Ord., 29 luglio 2024, n. 21188; Cass. civ., Sez. V, Ord., 11 luglio 2024, n. 19150; Cass. civ., Sez. V, Ord., 9 luglio 2024, n. 18767; Cass. civ., Sez. III, Ord., 10 maggio 2024, n. 12917; Cass. civ., Sez. III, Ord., 2 aprile 2024, n. 8708; Cass. civ. Sez. I, Ord., 1° settembre 2023, n. 25621; Cass. civ., Sez. lav., 31 maggio 2022, n. 17720).
Aggiungasi che, la mancata pronuncia sulla domanda ritenuta assorbita -nel caso in esame, implicitamente rigettata -avrebbe potuto al più essere censurata dalla ricorrente contestando la correttezza della valutazione di assorbimento effettuata dal giudice di appello, che ha costituito la motivazione della decisione assunta e, dunque, con il rimedio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il che non è avvenuto (cfr. Cass. n. 21188/2024 cit.).
6. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 11.200,00, di cui euro 11.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza