Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1091 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1091 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1378/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore Generale pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende con l’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 4982/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 05/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
Il Tribunale rigettò la domanda avanzata da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE con la quale era stata chiesta la risoluzione del contratto di fornitura di sette apparecchiature per la risonanza magnetica destinate a strutture sanitarie pubbliche della Regione Campania, che l’attrice avrebbe dovuto fornire alla convenuta per il corrispettivo di € 8.868.603,42.
Il Tribunale, siccome riferisce il Giudice di secondo grado, aveva reputato, alla luce del comportamento tenuto dalle parti contrattuali, avuto riguardo all’unico macchinario fornito (all’Ospedali INDIRIZZO di Napoli), che il termine perentorio di trenta giorni per la consegna del progetto definitivo/esecutivo ‘dalla data di attivazione del Contratto’ dovesse decorrere dalla data di sottoscrizione del medesimo e, comunque, anche a volere ritenere che il termine dovesse decorrere dall’avvenuta consegna dei locali da parte degli enti sanitari individuati dalla committente, <> e poiché era mancata una tale attivazione, se non a distanza di anni, la violazione del termine costituiva grave inadempimento dell’appaltatrice, legittimante la risoluzione parziale.
La Corte d’appello di Napoli, investita dall’impugnazione di RAGIONE_SOCIALE, sovvertì la decisione di primo grado, risolvendo parzialmente (relativamente alla fornitura di sei macchinari), per inadempimento di RAGIONE_SOCIALE, il contratto di fornitura stipulato con RAGIONE_SOCIALE, condannando la committente a corrispondere alla controparte la somma di € 794.989,79.
2.1. Questi, in sintesi, per quel che qui rileva, gli argomenti salienti della decisione di secondo grado.
Il capitolato speciale, costituente parte integrante del contratto stipulato il 26/11/2010, prevedeva che <>. Il contratto stabiliva che <>.
Da ciò la sentenza ne ricava che <>.
Concludeva la Corte d’appello: <>.
In tal senso militava l’importanza delle opere che la società aggiudicataria avrebbe dovuto effettuare, al fine di rendere idonee le aree individuate dalla committenza per il collocamento e messa in uso dei macchinari. Importanza che rendeva indispensabile una previa individuazione da parte della committente. Conferma di ciò si poteva trarre dalla vicenda riguardante l’unico macchinario consegnato all’Azienda Ospedaliera COGNOME.
Il riferimento ai sopralluoghi da parte dell’appaltatrice non si poneva in contrasto con la necessità che fossero messe a disposizione le aree ove collocare i macchinari. Proprio per ciò le disposizioni negoziali parlavano di ‘messa in consegna’ dei locali e non di ‘presa in consegna’.
Reiteratamente l’appellante aveva invitato la committente ad attivarsi presso le aziende ospedaliere per la consegna dei locali.
Per contro la RAGIONE_SOCIALE aveva ingiustificatamente avviato la procedura di risoluzione del contratto per il mancato rispetto del termine di trenta giorni, fatto decorrere dalla sottoscrizione.
Un tale inadempimento non sussisteva, essendo, invece, onere della committente rendere concretamente possibile il collocamento dei macchinari. Né, sulla base delle emergenze di causa, gli obblighi negoziali della committente potevano reputarsi conclusi con la sola stipula del contratto.
Infine, la Corte di Napoli giudica l’inadempimento della committente di non scarsa importanza e condanna quest’ultima a risarcire il danno, stimato in una percentuale di utile pari al 10% del residuo corrispettivo, oltre rivalutazione e interessi.
RAGIONE_SOCIALE ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di quattro motivi. L’intimata resiste con controricorso.
Con i primi tre motivi, tra loro correlati, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 cod. civ.; nonché violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.; nonché, infine, <>.
In sintesi, la ricorrente addebita alla sentenza di non avere dato priorità alle norme che salvaguardano l’interpretazione soggettiva, dovendo accedersi a quella oggettiva solo in caso di risultato dubbio dopo avere utilizzato il primo parametro. In particolar modo avrebbe dovuto darsi prevalenza all’intenzione delle parti e al comportamento complessivo di esse, anche successivo alla stipulazione del contratto.
Né si era tenuto conto della necessità d’interpretare le clausole le une per mezzo delle altre. In particolare, non era stato attenzionato il contenuto dall’art. 7 del capitolato, che si poneva in rapporto di specialità rispetto all’art. 5 del contratto. Di talché la consegna dei locali dove collocare i macchinari avrebbe dovuto
coincidere col <> e, di conseguenza, l’appaltatrice si sarebbe dovuta attivare al fine.
La violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. trovava ragione nell’asserita omessa correlazione tra le due norme negoziali sopra richiamate.
Infine, si sostiene che la motivazione resa dalla Corte locale era manifestamente contraddittoria e illogica.
Il complesso censorio, in parte infondato e per altra parte inammissibile, deve essere disatteso.
5.1. La motivazione della Corte di Napoli esamina i fatti, in via prioritaria, alla luce delle norme ermeneutiche soggettive, evocate dalla ricorrente, in particolare, esattamente al contrario di quel che sostiene quest’ultima, mette a confronto le due disposizioni contrattuali, analizza la condotta delle parti, giungendo a cogliere l’intenzione di queste, anche alla luce del loro comportamento successivo alla stipulazione.
L’apprezzamento dei fatti e la loro qualificazione da parte del giudice del merito non è sindacabile in sede di legittimità, sia pure con la pretesa della ricerca di una più precisa ricostruzione della volontà negoziale delle parti.
Si è, invero, più volte spiegato che, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Sez. Sez. 3, n. 2465, 10/02/2015, Rv. 634161 -01; conf., ex multis, Cass. nn. 10891/2016, 2074/2002).
Nel caso in esame è del tutto plausibile e non irragionevole l’interpretazione cui giunge la Corte di merito. Mentre è il risultato di essa che la ricorrente contesta, auspicando un inammissibile nuovo sindacato.
5.2. A fortiori va osservato che non ricorre alcuna apprezzabile ragione per affermare l’apparenza del richiamato costrutto motivazionale.
Come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in
cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
5.3. Debbono richiamarsi i consolidati principi a riguardo dei limiti alla denuncia di violazione degli artt. 115 e 116.
È bastevole riprendere quanto affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 20867 del 30/09/2020.
In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037 -02).
Con il quarto motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 cod. civ.
Si assume che alla ricorrente non avrebbe potuto imputarsi l’inadempimento poiché aveva avuto <>. Si soggiunge, <>.
In ogni caso, continua la ricorrente, non vi era prova dei solleciti tempestivamente inviati dalla controparte e, per contro, sulla base degli accadimenti fattuali (richiamati alle pagg. 34 e seg. del ricorso) l’esponente aveva dimostrato di avere avuto concreto interesse all’esecuzione dell’appalto.
Il motivo è palesemente inammissibile.
Il motivo appare diretto a un’impropria e alternativa ricostruzione di merito, mediante l’evocazione, peraltro aspecifica per difetto di autosufficienza, del complesso delle allegazioni della causa di merito, a volere prescindere, per comodità espositiva, dalla sua formulazione largamente incongruente e contraddittoria (non è comprensibile perché mai la funzione di ‘centrale d’acquisti’, stipulante nell’interesse della Regione Campania, avrebbe dovuto farla andare esente da ogni obbligazione contrattuale assunta e, allo stesso legittimarla a far valere i diritti scaturiti dal medesimo negozio).
In conclusione il ricorso merita rigetto.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 13.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 27