Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3351 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3351 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10604 R.G. anno 2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME, domiciliato presso l’avvocato NOME COGNOME ;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE quale procuratrice di RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME domiciliata presso lo studio Buco – Garofalo;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 3593/2020, depositata il 21 ottobre 2020 della Corte di appello di Napoli.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 gennaio 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
─ Il Tribunale di Torre Annunziata ha respinto la domanda con cui RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto fissarsi un termine per l’adempimento di un contratto transattivo intercorrente tra essa e Parco dei RAGIONE_SOCIALE: contratto che regolava il ripianamento di una esposizione debitoria di quest’ultima società nei confronti di Unicredit.
2 . ─ La pronuncia è stata riformata in sede di gravame: la Corte di appello di Napoli ha dunque fissato il termine.
– Contr o la sentenza della Corte di Napoli, pubblicata il 21 ottobre 2020, INDIRIZZO ha proposto un ricorso per cassazione articolato in un solo motivo. Resiste con controricorso Fino RAGIONE_SOCIALE, a mezzo della procuratrice RAGIONE_SOCIALE
Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-La ricorrente denuncia la «violazione e falsa applicazione degli artt. 1353 ss c.c. e/o degli artt. 1362 ss. c.c.». Si assume che la Corte di Napoli abbia fatto malgoverno delle norme in materia di condizione e di interpretazione del contratto. Viene rilevato che dall’analisi complessiva dei documenti prodotti era evidente la volontà dei contraenti di apporre al negozio una condizione sospensiva dell’adempimento. Si deduce non potersi ipotizzare alcuna interpretazione alternativa «che non comporti una erronea ed illogica alterazione delle chiare e precise volontà dei contraenti».
– Il motivo è inammissibile.
La controversia è incentrata sulla presenza o meno, nel contratto transattivo, di una condizione sospensiva atta ad escludere l’obbligazione di pagamento: condizione rappresentata dalla vendita a terzi dei singoli immobili su cui l’odierna ricorrente aveva prestato garanzia ipotecaria in favore della banca.
– La Corte di appello si è espressa, s ul punto, in senso opposto rispetto al Tribunale. Ha spiegato il Giudice distrettuale che nel
contratto non era messo in discussione che gli immobili fossero stati ultimati e quindi vendibili e che la previsione riguardante le cessioni non risultava formulata in maniera ipotetica o condizionata, essendo data, di contro, per presupposta la cessione futura degli appartamenti. Ha aggiunto che, dovendo essere indagata la volontà delle parti, era «davvero arduo sostenere che l’istituto bancario, che già era creditore della società Il Parco dei Priori di una rilevantissima somma e le stava accordando una dilazione di pagamento che non necessariamente l’avrebbe portata a recuperare l’intero credito, potesse avere interesse a sottoporre alla condizione sospensiva delle successive cessioni l’accordo transattivo»: accordo che non era contestato avesse avuto pure un inizio di esecuzione.
5 . -Ora, la censura relativa alla violazione o falsa applicazione degli artt. 1353 ss. non risulta adeguatamente sviluppata all’interno del ricorso e la società istante nemmeno chiarisce quali siano le norme in materia di condizione cui s i raccorderebbe l’ error iuris . Va ricordato che l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, n. 4, c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U. 28 ottobre 2020, n. 23745; Cass. 6 luglio 2021, n. 18998).
In realtà, l ‘unica, effettiva doglianza espressa dalla ricorrente riguarda l’interpretazione del negozio. Detta doglianza è incentrata sul disposto degli artt. 1362 e 1371 c.c.: la ricorrente,
evocando dette disposizioni, ha difatti affermato che la Corte di appello, nell’interpretare il contratto, avrebbe dovuto verificare quale fosse la comune intenzione delle parti e tener conto del criterio residuale per cui, ove il significato del contratto rimanga oscuro il negozio deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato se a titolo gratuito e nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti se è a titolo oneroso.
Per un verso, però, la Corte territoriale, come si è visto, ha orientato il processo ermeneutico valorizzando, oltre al senso letterale della parole, proprio l’intenzione dei contraenti , spiegando la ragione per cui risultava essere non plausibile che alla transazione fosse stata apposta la condizione sospensiva; per altro verso, come è noto, le regole legali di ermeneutica contrattuale sono rette da un principio di gerarchia, in forza del quale i criteri degli artt. 1362 e 1363 c.c. prevalgono su quelli integrativi degli artt. 1365-1371 c.c., posto che la determinazione oggettiva del significato da attribuire alla dichiarazione non ha ragion d’essere quando la ricerca soggettiva conduca ad un utile risultato ovvero escluda da sola che le parti abbiano posto in essere un determinato rapporto giuridico (Cass. 24 gennaio 2012, n. 925; Cass. 22 marzo 2010, n. 6852).
La censura è nella sostanza volta a sollecitare, sulla base delle risultanze di causa, una opzione interpretativa diversa da quella adottata nella sentenza impugnata, come rende del resto evidente il richiamo operato dalla ricorrente alla documentazione prodotta. Ma il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito (Cass. 9 aprile 2021, n. 9461; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465) e il ricorso che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito è inammissibile (Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34776; in senso
conforme: Cass. 4 marzo 2021, n. 5987).
7. -Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione