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Interpretazione del contratto: la buona fede prevale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un’impresa edile, confermando che l’interpretazione del contratto di appalto per la rimozione di amianto deve basarsi sul principio di buona fede. Sebbene il contratto menzionasse la “rimozione delle lastre”, la Corte ha stabilito che l’intenzione comune delle parti era una bonifica integrale, includendo quindi anche la rimozione di tutti i frammenti e residui. La decisione sottolinea che lo scopo dell’opera prevale su una lettura letterale del testo contrattuale.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Interpretazione del Contratto: Quando la Buona Fede Vale Più delle Parole

L’interpretazione del contratto è un’attività cruciale che spesso determina l’esito di una controversia. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un esempio lampante di come il principio di buona fede possa guidare il giudice a guardare oltre il tenore letterale delle clausole per cogliere la reale volontà delle parti. Analizziamo insieme questo caso, che riguarda un appalto per la rimozione di coperture in amianto e la successiva scoperta di residui pericolosi.

I Fatti di Causa

Una società committente affidava a un’impresa specializzata i lavori di sostituzione della copertura di due capannoni industriali. Il contratto prevedeva, tra le altre cose, la “rimozione delle lastre in cemento amianto” e la posa di un nuovo manto di copertura. A lavori terminati, il direttore dei lavori, durante un sopralluogo, scopriva la presenza di briciole e residui di amianto sul materassino isolante interposto tra la vecchia e la nuova copertura. Di conseguenza, la committente sospendeva il pagamento del saldo e si opponeva al decreto ingiuntivo ottenuto dall’appaltatrice, chiedendo in giudizio l’eliminazione dei vizi e il risarcimento dei danni.

Il Percorso Giudiziario e l’Interpretazione del Contratto in Appello

Il Tribunale di primo grado rigettava l’opposizione della committente, ritenendo che i frammenti fossero preesistenti e che l’intervento di bonifica potesse considerarsi comunque realizzato. La Corte d’Appello, tuttavia, ribaltava la decisione. I giudici di secondo grado hanno sottolineato che, al di là dell’espressione letterale “rimozione delle lastre”, era evidente l’intenzione comune delle parti di procedere a una bonifica integrale dall’amianto.

Questa interpretazione del contratto si basava su due elementi chiave:
1. La buona fede (art. 1366 c.c.): Non sarebbe stato ragionevole per la committente sostenere un costo così elevato per un’opera che non eliminasse completamente il pericolo derivante dall’amianto. Lo scopo dell’intero intervento era la messa in sicurezza totale del sito.
2. Il comportamento successivo: La stessa impresa appaltatrice aveva presentato, dopo la stipula, una documentazione amministrativa (DIA) in cui si parlava di bonifica di “tutto l’amianto presente sulla copertura”.

Di conseguenza, la Corte d’Appello ordinava all’impresa appaltatrice di rimuovere integralmente tutti i residui di amianto, fissando un termine per l’esecuzione.

Le Motivazioni della Cassazione

L’impresa appaltatrice ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali, entrambi respinti dalla Suprema Corte.

Primo Motivo: Violazione dei Canoni di Interpretazione del Contratto

La ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse violato le norme sull’interpretazione del contratto (artt. 1362, 1364 e 1366 c.c.). La Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile, ribadendo un principio consolidato: l’interpretazione di un contratto è un’indagine di fatto riservata al giudice di merito. In sede di legittimità, non si può semplicemente proporre un’interpretazione alternativa a quella, plausibile e ben motivata, fornita dal giudice precedente. La Corte d’Appello aveva correttamente ricostruito la volontà delle parti, utilizzando il canone della buona fede per evidenziare che lo scopo dell’operazione non poteva che essere la bonifica integrale, altrimenti l’intero costoso intervento sarebbe stato privo di senso.

Secondo Motivo: Inerzia del Direttore dei Lavori

L’impresa lamentava che la Corte non avesse considerato l’inerzia del Direttore dei Lavori, che aveva contestato il vizio solo dopo diversi mesi dalla consegna delle opere. Anche questo motivo è stato giudicato inammissibile. La Cassazione ha spiegato che il lasso di tempo intercorso non era decisivo. La scoperta dei residui di amianto era avvenuta a seguito di un accertamento specifico, motivato dalla presenza di ruggine su alcune lastre, che aveva portato a un’ispezione più approfondita. Pertanto, il momento della contestazione è stato considerato del tutto inconferente rispetto alla sussistenza della responsabilità dell’appaltatrice per i vizi riscontrati.

Conclusioni

La Corte di Cassazione, rigettando il ricorso, ha confermato la condanna dell’impresa appaltatrice al pagamento delle spese processuali. L’ordinanza rappresenta un’importante conferma del valore del principio di buona fede come criterio guida nell’interpretazione dei contratti. Insegna che non ci si può trincerare dietro una lettura letterale e restrittiva delle clausole quando lo scopo pratico e la comune intenzione delle parti puntano chiaramente a un risultato più ampio e completo. Per le imprese, questo significa che la corretta esecuzione di un’opera deve sempre tenere conto del fine ultimo per cui il cliente ha commissionato il lavoro, garantendo un risultato che sia non solo formalmente, ma anche sostanzialmente conforme alle aspettative legittime della controparte.

Quando si interpreta un contratto, il giudice può andare oltre il significato letterale delle parole?
Sì. Secondo la Corte, il giudice deve indagare la comune intenzione delle parti, che può prevalere sul senso letterale delle parole. L’interpretazione deve essere coerente con la causa del contratto e il principio di buona fede.

Cosa significa interpretare un contratto secondo “buona fede”?
Significa attribuire al contratto il significato che gli avrebbero dato contraenti corretti e leali. Nel caso specifico, la buona fede ha portato a concludere che lo scopo di un costoso lavoro di rimozione amianto non poteva che essere una bonifica completa e totale, non parziale.

Il ritardo del Direttore dei Lavori nel contestare un vizio esonera l’appaltatore dalla responsabilità?
No. La Corte ha stabilito che il tempo trascorso tra la consegna dei lavori e la scoperta del vizio era irrilevante, poiché la scoperta era avvenuta a seguito di un’ispezione approfondita e mirata. La responsabilità per i vizi dell’opera è rimasta quindi in capo all’appaltatore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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