Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11204 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 553/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOMECOGNOME
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in LA SPEZIA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende;
– resistente –
nonché
HEROLD NOME
-intimata-
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11204 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI GENOVA n. 972/2020, depositata il 19/10/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di La Spezia rigettava la domanda formulata da NOME e NOME COGNOME di accertamento dei confini tra la proprietà degli attori e la confinante proprietà della società RAGIONE_SOCIALE ; chiedevano gli attori, altresì, la condanna di quest’ultima alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi, al rilascio in favore di essi attori della porzione di terreno indebitamente occupata con una rampa di accesso alla proprietà privata della convenuta, nonché la condanna della convenuta al risarcimento dei danni.
Costituitasi, RAGIONE_SOCIALE chiedeva riconoscersi, in via riconvenzionale, l’intervenuta usucapione ventennale sul tratto di strada in contestazione, ovvero in subordine l’usucapione decennale ex art. 1159 cod. civ. e infine, in estremo subordine, l’interclusione del fondo e la costituzione di servitù di passaggio coattiva.
Sosteneva il giudice di prime cure che la realizzazione della rampa in questione -in data non accertata come antecedente ovvero successiva all’acquisto delle due unità immobiliari confinanti da parte degli Herold Lunardon, risalente al 17.05.2012 -si inseriva in un impegno di più ampia portata assunto dalla convenuta, unitamente ad altri proprietari dei terreni limitrofi parti di una convenzione di lottizzazione (stipulata con rogito del 22.06.1985), a séguito della costituzione del Consorzio per la Strada ed i Servizi Comuni del 10.08.1985. Con tale atto, prosegue il Tribunale, i consorziati si impegnavano -tra l’altro – ad acquisire le aree circostanti su cui avrebbe insistito la strada privata, che ognuno di loro avrebbe avuto il
diritto di percorrere «fino al parcheggio privato della propria casa e fino al limite del proprio terreno» (punto 4). Sì che, concludeva il Tribunale, la realizzazione della rampa di accesso da parte della RAGIONE_SOCIALE costituiva un’opera di rifinitura che non incide sulla consistenza dei luoghi preesistente, accettata dai consorziati.
NOME e NOME COGNOME interponevano appello innanzi alla Corte d’Appello di Genova che, in riforma integrale della pronuncia di primo grado, definiti i confini tra le due proprietà, condannava RAGIONE_SOCIALE alla restituzione agli appellanti della porzione di rampa di cui è causa posta sul terreno di proprietà NOME COGNOME, e alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
A sostegno della decisione, osservava la Corte (per quel che qui ancora rileva):
dal risultato degli accertamenti tecnici eseguiti emerge che la situazione di fatto esistente è diversa da quella oggetto della lottizzazione e della convenzione per la costituzione del consorzio, ed è stata sanata su unilaterale richiesta della parte convenuta;
il manufatto oggetto della presente controversia riguarda non la strada, bensì la rampa d’accesso alla proprietà privata della società appellata, che non è oggetto della lottizzazione di cui alla Convenzione del 22.06.1985, né dell’atto di costituzione del Consorzio per la Strada ed i Servizi Comuni del 10.08.1985;
non risulta accertato quale fosse lo stato dei luoghi al momento dell’acquisto della proprietà da parte degli NOME COGNOME, né risulta l’esistenza di accordi – tradotti in atti scritti – tra i proprietari riguardo la delimitazione dei propri confini;
in sintesi, l’area in contestazione non era considerata nella lottizzazione all’interno della viabilità da realizzarsi, e non era oggetto degli atti pubblici invocati e relativi alla realizzazione della strada.
Accertata, dunque, l’occupazione illegittima di un’area di proprietà degli appellanti è fondata la domanda con cui si chiede la rimessione in pristino dello stato dei luoghi ed il rilascio della porzione di terreno.
Contro la suddetta pronuncia ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE con tre motivi.
Resta intimata NOME COGNOME mentre NOME COGNOME ha depositato una ‘ memoria di costituzione ‘ .
A séguito della proposta del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, la ricorrente ha chiesto la decisione ex art. 380bis cod. proc. civ. e, successivamente, ha depositato una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va rilevato che il consigliere autore della proposta ex art. 380 bis cpc non è incompatibile nel Collegio giudicante (Cass. Sez. U., n. 9611 del 10.04.2024).
Sempre preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità della memoria di NOME COGNOME di cui non consta agli atti un previo tempestivo controricorso (cfr. tra le varie, Sez. 5 – , Ordinanza n. 17030 del 16/06/2021; Sez. 3, Ordinanza n. 34791 del 2021; Sez. U, Sentenza n. 2114 del 11/04/1981).
Tanto precisato, si può ora procedere all’esame dei motivi di ricorso.
Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 112 e 342 cod. proc. civ., in relazione al vizio di cui all’art 360 comma 1, n. 4 ) cod. proc. civ. (omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello e inammissibilità dell’appello). La ricorrente lamenta il mancato accoglimento, da parte della Corte d’Appello, dell’eccezione di inammissibilità del gravame – regolarmente proposta in comparsa di costituzione in appello e ribadita nelle successive udienze – da parte della Corte di Appello. Più precisamente, la ricorrente denuncia la
genericità e la lacunosità dei motivi di appello, nonché l’assenza di una statuizione sul punto del giudice di seconde cure.
2.1. Il motivo è infondato, atteso che il principio di specificità della contestazione deve essere riguardato in relazione alla garanzia del diritto alla difesa di cui tende ad assicurare l’esercizio, secondo quanto la Corte di merito ha in concreto accertato (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 2005 del 18.01.2024).
La Corte d’Appello ha ben individuato i motivi di appello (v. sentenza, pp. 5 e 6) e avendoli esaminati nel merito, ha implicitamente rigettato l’eccezione di inammissibilità (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 29191 del 06/12/2017, Rv. 646290 -01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5351 del 08/03/2007, Rv. 595290 -01;). Il motivo -che sollecita un esito abortivo del giudizio visto sempre con sfavore sia da questa Corte che dalla CEDU (cfr. SSUU n. 27199/2017) – non coglie nel segno, dunque.
3 . Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 112 n. 4 cod. proc. civ., in relazione al vizio di cui all’art. 360 comma 1, n. 4 ) cod. proc. civ. La società ricorrente lamenta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per essersi la Corte d’Appello pronunciata oltre i imiti della domanda. Si sostiene che con l’ appello non erano stati formulati motivi specifici volti a contestare l’ampiezza dell’impegno assunto dalle parti o la rilevanza della Convenzione Consortile. Pertanto, poiché la Corte si è espressa proprio sulla portata della Convenzione consortile, ossia su questioni di cui la Corte non era stata espressamente investita, sostituendosi in questo modo all’appellante nella individuazione dei vizi della sentenza, la p ronuncia risulta viziata da ultrapetizione.
3.1. Il motivo è infondato.
I l tenore dell’atto di appello proposto dall’odierno resistente (riprodotto nel ricorso alle pagg. 18 e ss.) evidenzia che era stata adeguatamente contestata l’interpretazione, in fatto ed in diritto, prescelta dal giudice di prime cure e, dunque, che era stata devoluta alla Corte distrettuale la cognizione dell’intera domanda principale a suo tempo formulata, nel giudizio di prima istanza, dagli NOME COGNOME.
Non è dato, dunque, rilevare il vizio di ultrapetizione, che ricorre quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato (per tutte, di recente: Cass. Sez. L, n. 5832 del 03.03.2021).
Nel caso che ci occupa, si censura l’interpretazione della domanda che, come è noto, spetta al giudice di merito.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 cod. civ. e 950 cod. civ. in relazione al vizio di cui all’art. 360 comma 1, n. 3 e 4 cod. proc. civ. (errata interpretazione della Convenzione Consortile e determinazione della linea di confine all’interno di una proprietà comune). La ricorrente lamenta l’errata interpretazione letterale della Convenzione consortile, con specifico riferimento alla lettura della parola «strada», lontana da quella che costituiva la reale volontà dei consorziati; altresì, ha errato la Corte territoriale nello statuire che l’oggetto della Convenzione e dell’atto di costituzione del Consorzio consisteva nella mera realizzazione della strada, quando, al contrario, tali atti erano espressione di ulteriori assetti di interessi dei lottizzanti.
4.1. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili in cui si articola, in quanto punta a censurare l’interpretazione di un atto negoziale che,
per pacifica giurisprudenza di questa Corte, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità, se non nella ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 ss. cod. civ. o di motivazione omessa o illogica, ossia non idonea a consentire la ricostruzione dell’ iter logico seguito per giungere alla decisione ( ex multis : Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26563 dell’11.10.2024; Sez. 1 – , Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021 -02; Cass., 28 novembre 2017, n. 28319). La denuncia in cassazione di un errore di diritto nell’interpretazione di un atto negoziale non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., essendo necessario specificare i canoni che in concreto assuma violati e, in particolare, il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato.
Si rileva che la ricorrente non deduce – nel senso sopra chiarito né la violazione dei canoni ermeneutici, né la mancanza o manifesta illogicità della motivazione sul punto, limitandosi ad insistere sull’errata interpretazione letterale della convenzione consortile (nello specifico, della parola «strada», al cospetto della volontà delle parti); pertanto, la censura si risolve nella sollecitazione di una lettura alternativa degli elementi istruttori, che non può trovare ingresso in sede di legittimità.
Del resto, l’interpretazione degli atti pubblici e della convenzione consortile in particolare prescelta dalla Corte distrettuale (peraltro anche alla luce di ulteriori e diverse risultanze probatorie in atti) non è implausibile. Compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere l’interpretazione del contratto contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una autonoma rilettura delle dichiarazioni negoziali poste a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria interpretazione a quella dei giudici del merito, dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a
contro
llare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento, da essi reso manifesto nella motivazione della sentenza impugnata, non violi le regole della logica o le regole legali di interpretazione dei contratti (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21912 del 2023, in motiva.; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677 -01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649 – 01); ciò che, come sopra dimostrato, nel caso di specie è dato riscontrare.
4.2. Neanche ricorre violazione di norma di diritto (art. 950 cod. civ.), che consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa. L’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, come nel mezzo di gravame in esame, è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (per tutte: Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 02).
5. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese di questa fase processuale, non avendo controparti svolto difese.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, comma 4 cod. proc. civ., sempre come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di
cui all’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 4 cod. proc. civ. al pagamento della somma di €. 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda