Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7187 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 7187 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 13908-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME, NOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 628/2021 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 09/12/2021 R.G.N. 428/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 31/01/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 31/01/2024
CC
Rilevato che:
La Corte d’appello di Firenze ha respinto l’appello principale della RAGIONE_SOCIALE e l’appello incidentale di NOME COGNOME (ex consulente finanziario), avverso la sentenza di primo grado che, rigettando l’opposizione della Banca e la domanda riconvenzionale del COGNOME, aveva confermato il decreto ingiuntivo emesso in favore di quest’ultimo per il pagamento dell’importo di euro 238.573,13 a titolo di ‘Tutela manageriale speciale’.
La Corte territoriale, al pari del tribunale, ha ritenuto che il tenore letterale delle clausole contenute negli allegati 2 e 3 della lettera integrativa del 27 febbraio 2018, considerate sia singolarmente e sia nel loro complesso, deponesse per l’esigibilità del residuo credito della preponente, per storno provvigionale correlato all’assegnazione di struttura, solo in presenza in capo al manager dei requisiti per l’erogazione della ‘Tutela manageriale’ cd. ordinaria, nel caso di specie mancanti.
Avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., per avere la Corte d’appello interpretato in senso restrittivo la locuzione ‘Tutela manageriale’, di cui all’ultimo capoverso dell’allegato 2, come riferita alla sola ‘Tutela manageriale’ cd. ordinaria.
6. La società premette di avere opposto, in compensazione atecnica, alla pretesa monitoria del COGNOME concernente il compenso a titolo di ‘Tutela manageriale c.d. speciale’ (euro 238.537), il controcredito (euro 443.113) per ‘storno struttura’, quale c orrispettivo residuo per la rete di consulenti che la Banca aveva messo disposizione del consulente e da questi ancora dovuto; critica la sentenza d’appello per avere interpretato la clausola pattizia, contenuta nell’ultimo paragrafo dell’allegato 2, ed es attamente la locuzione ‘Tutela manageriale’, come riferita a quella cd. ordinaria (diversa da quella ‘speciale’), facendo leva sull’utilizzo del termine ‘requisiti’, riservato alla ‘Tutela manageriale cd. ordinaria’, essendo impiegato nella disciplina dell a ‘Tutela manageriale speciale’ il termine ‘condizioni’; censura anche l’argomento usato dai giudici d’appello -che hanno letto l’ultimo capoverso dell’allegato 2 come disciplina di favore per il manager, in quanto prevede la possibilità della Banca di esigere il credito residuo solo verso il promotore che si trovi in condizioni economiche privilegiate, avendo nel frattempo maturato il diritto all’importo previsto dalla ‘Tutela manageriale’ ordinaria -, osservando che la ‘Tutela manageriale speciale’ non è economicamente meno appetibile rispetto all’altra, considerato che non prevede obblighi di astensione da attività concorrenziale per il periodo successivo alla cessazione del rapporto; contesta il carattere derogatorio riconosciuto dai giudici d’appello alla ‘Tutela manageriale speciale’ assumendo che l’incipit del punto 5, allegato 3 ‘In deroga a quanto disposto…’ – si riferisca ai diversi requisiti di maturazione ma non abbia alcun effetto sull’obbligo restitutorio, alla cessazione del rapporto, del corrispettivo della struttura.
Con il secondo motivo è dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., il vizio di motivazione apparente
e, in ogni caso, obiettivamente incomprensibile. Gli argomenti usati a sostegno della violazione dei canoni ermeneutici sono riproposti sub specie di vizio motivazionale, per essere la sentenza sostenuta da ragionamenti incomprensibili e da argomenti evanescenti.
I motivi, da trattare insieme, sono infondati.
Costituisce orientamento consolidato quello secondo cui l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o di motivazione che non soddisfi i canoni del cd. minimo costituzionale (v. Cass., S.U. n. 8053 e n.8054 del 2014). Sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; dal che discende che, quando di una clausola
contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, contestare in sede di legittimità il fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 7500/2007; Cass. n. 24539/2009).
10. La sentenza impugnata, con motivazione logica e coerente sia al dato letterale e sia a quello sistematico, ha fornito una lettura plausibile e ampiamente argomentata delle clausole contrattuali e si sottrae pertanto a tutte le censure mosse. Queste si risolvono nella prospettazione di una lettura alternativa degli atti negoziali, in base a dati asseritamente più significativi o a regole di giustificazione prospettate come più congrue, e non contengono elementi atti a far considerare come erroneo il risultato interpretativo oggetto di impugnazione.
11. Quanto poi alla nullità della sentenza per apparenza o assenza della motivazione a mente dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., è il caso di ricordare che le Sezioni unite già citate (Cass. SS.UU. n. 8053 e n. 8054 del 2014) hanno sancito come l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integri un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza solo nei casi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; si è ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste in argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del
giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. SS.UU. n. 16599 del 2016). Pertanto, chi ricorre per cassazione può dedurre la nullità della sentenza solo se la motivazione -avuto riguardo naturalmente alla ricostruzione dei fatti e non alle questioni di diritto – presenti i vizi radicali così delineati. Nella specie è sufficiente ripercorrere il testo della pronuncia per avvedersi come la Corte territoriale abbia dato ampiamente conto delle ragioni che hanno orientato il suo convincimento.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 10.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 31 gennaio 2024