Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 12944 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 12944 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22287/2021 R.G. proposto da :
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata presso il domicilio digitale dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliati presso il domicilio digitale dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1499/2021 depositata il 08/07/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 2016, con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., NOME COGNOME in proprio e n.q. di legale rappresentante della NOME RAGIONE_SOCIALE, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, i coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME al fine di sentirli condannare al pagamento di Euro 226.192,47, maturati fino alla data del ricorso, oltre interessi e spese, deducendo che: a) la NOME RAGIONE_SOCIALE aveva stipulato un contratto di appalto con i coniugi NOMECOGNOME per la costruzione di un opificio da realizzarsi in Paternò, alla C.da INDIRIZZO, presso il terreno di loro proprietà; b) con scrittura dell’11/07/2011 i coniugi COGNOME si riconoscevano debitori della società e del NOME COGNOME, in proprio, per Euro 400.000,00, per i lavori previsti nel contratto di appalto, impegnandosi a restituire tale somma attraverso versamenti annuali di Euro 50.000,00; c) i coniugi COGNOME rimanevano inadempienti, risultando debitori, alla data del deposito del ricorso, della somma di Euro 200.000,00, a titolo di ratei scaduti; d) i coniugi NOMECOGNOME ottenevano dal NOME COGNOME in proprio un finanziamento privato di Euro 261.924,71, con scrittura del 06/10/2014, per consentire la messa in opera e il funzionamento dell’opificio, impegnandosi a rimborsarlo in dieci anni, dal 01/01/2015 al 31/12/2024; e) i coniugi NOMECOGNOME, al 01/01/2016, non provvedevano ancora al pagamento della prima rata, pari ad Euro 26.192,41.
Con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., il Tribunale di Catania: a) dichiarava il difetto di legittimazione attiva di NOME COGNOME; b) dichiarava l’esistenza di un unico rapporto contrattuale tra le parti, da rinvenirsi nel contratto di appalto, poi definito con la scrittura del 06/10/2014, la quale annullava tutte le precedenti, e che i convenuti risultavano debitori della sola NOME RAGIONE_SOCIALE
per il residuo importo di Euro 111.311,02 oltre interessi dalle singole annuali scadenze sino al soddisfo; c) rigettava ogni altra domanda; d) compensava le spese di lite tra i convenuti e NOME; e) compensava in ragione di metà le spese di lite tra i convenuti.
La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 1499/2021: a) in parziale accoglimento dell’appello incidentale, dichiarava NOME COGNOME legittimato ad agire in giudizio; b) in parziale accoglimento dell’appello principale, revocava la condanna di NOME e COGNOME NOME al pagamento in favore della NOME RAGIONE_SOCIALE dell’importo di Euro 111.311,02, oltre interessi dalle singole annuali scadenze sino al soddisfo; c) confermava le altre statuizioni dell’ordinanza impugnata, eccetto il capo delle spese; d) condannava NOME COGNOME e la NOME RAGIONE_SOCIALE, in solido tra loro, al pagamento delle spese sostenute da NOME e COGNOME NOME nel procedimento per sequestro conservativo; e) compensava per un terzo le spese giudiziali di entrambi i gradi e condannava NOME COGNOME e la NOME RAGIONE_SOCIALE, in solido tra loro, al pagamento dei residui due terzi.
Per la cassazione della sentenza d’appello ricorre NOME COGNOME sia in proprio che nella qualità di legale rappresentante della NOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, articolando tre motivi.
3.1. Beato NOME e COGNOME NOME resistono con controricorso.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo si prospetta – ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., 12 disp. prel. c.c., 1362 ss. c.c., poiché la Corte d’Appello avrebbe omesso di motivare ovvero avrebbe reso una motivazione apparente e
incomprensibile e non avrebbe applicato i canoni legali di interpretazione di cui agli artt. 1363 ss. c.c., ritenendo che la scrittura del 06/10/2014 avrebbe esclusivamente aggiornato il credito residuo del contratto di appalto, annullando -di conseguenza -le precedenti scritture. Segnatamente, parte ricorrente lamenta che non si comprenderebbe su quale presupposto logico e giuridico la Corte catanese sia giunta a tali conclusioni, stante la diversità, nelle varie scritture, di soggetti, oggetto, modalità di restituzione e modalità di rimborso.
Deduce, in particolare, che: a) la prima scrittura, datata 11/07/2011, era sottoscritta dalla società RAGIONE_SOCIALE e dal COGNOME, in proprio, e riguardava esclusivamente i costi da questi anticipati per la realizzazione del capannone oggetto del contratto di appalto, cui si faceva esplicito riferimento e del quale si allegava copia; b) il successivo scritto, datato 06/09/2012, riguardava anch’esso i costi di realizzazione del capannone e, in parte, faceva riferimento all’acquisto di alcuni beni necessari per l’avvio dell’attività; c) l’ultima scrittura, datata 06/10/2014, era sottoscritta dal NOME COGNOME in proprio, e non faceva riferimento al prezzo dell’appalto, stante la diversa causa di finanziamento privato, erogato stavolta non dalla società ma dal COGNOME personalmente, per completare e attrezzare il capannone, in ragione della mancanza di disponibilità economica dei coniugi COGNOME.
Pertanto, si duole del fatto che la Corte di merito, da un lato, abbia fornito un’interpretazione assolutamente soggettiva delle scritture de quibus , sganciandole dal dato sia letterale che funzionale, in violazione delle norme di cui agli artt. 1363, 1366, 1369 c.c.; dall’altro, abbia, poi, omesso qualunque motivazione che consenta di evidenziare l’iter logico -giuridico seguìto e di individuare i criteri ermeneutici applicati.
4.2. Con il secondo motivo si prospetta – ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., 12 disp. prel. c.c., 1362 ss. c.c., per avere per avere la Corte d’Appello di Catania omesso di motivare ovvero per avere reso una motivazione apparente ed incomprensibile e per non avere applicato i canoni legali di interpretazione, là dove ha ritenuto che il NOME, in proprio e quale rappresentante della società ricorrente, ‘non poteva richiedere prima del termine convenuto del 31/12/2024 l’adempimento sia pure frazionato dell’obbligazione in quanto la facoltà di estinguere con rate annuali il debito era rimessa alla parte debitrice mentre la parte creditrice si è espressamente impegnata a non richiedere nulla nel corso del decennio ovvero prima della data del 31/12/2024’.
Sostiene che da una corretta interpretazione del dato contrattuale emerge chiaramente che, mentre i coniugi NOMECOGNOME si erano formalmente obbligati al pagamento del debito residuo in dieci anni con rate annuali e, comunque, entro e non oltre il 31/12/2024, il NOME non aveva assunto l’obbligo di non richiedere i crediti periodicamente maturati, essendo piuttosto lasciati soltanto alla sua ‘cura’ i termini ed i modi delle richieste di pagamento.
Di poi, osserva che il termine indicato nella scrittura de quo non è un termine di efficacia, bensì un termine di adempimento, stabilito in favore di entrambe le parti, nel senso che il COGNOME può richiedere il pagamento delle rate scadute dal 2015 al 2021, mentre i coniugi NOMECOGNOME sono tenuti al pagamento del debito scaduto.
4.3. Con il terzo motivo si prospetta – ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., poiché la Corte catanese avrebbe errato nella quantificazione delle spese e dei compensi dei due gradi di giudizio, nonché del procedimento cautelare, applicando i parametri relativi all’ultimo scaglione della tabella allegata al D.M. n. 55/2014, tenendo altresì
conto, nella liquidazione delle spese e dei compensi di lite del giudizio di primo grado, della fase istruttoria, che asserisce non essere mai stata espletata.
Deduce che è possibile ricorrere per cassazione ogni qual volta il giudice del merito oltrepassi i limiti tabellari senza alcuna giustificazione, ed osserva che, nel caso di specie, per entrambi i gradi di giudizio doveva farsi riferimento al decisum e non al disputandum , non risultando vincitore integrale il convenuto (evocando, in proposito, Cass. n. 3903/2016), per la qual cosa i procedimenti rientrerebbero piuttosto nel penultimo scaglione di cui alla tabella 2 allegata al D.M. n. 55/2014.
Il primo e il secondo motivo, scrutinabili congiuntamente per intima connessione, sono inammissibili per plurime ragioni.
Innanzitutto, le doglianze svolte sono caratterizzate dalla non consentita eterogeneità dei richiami ai vizi di cui all’art. 360 c.p.c., atteso che i ricorrenti denunciano formalmente la violazione e falsa applicazione di norme di legge ai sensi del n. 3 di tale articolo, ma poi sostanzialmente si dolgono di un’omessa e apparente motivazione.
Ebbene, a prescindere dall’erroneo utilizzo dello strumento di impugnazione in termini formali, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, comunque, non può più essere denunciato in cassazione nei termini voluti dai ricorrenti, ma ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., e solo qualora detta motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente o manifestamente contraddittoria ed incomprensibile.
Sul punto, le Sezioni Unite hanno precisato che tali ipotesi ricorrono esclusivamente se manca graficamente la motivazione o se del tutto apparente ovvero perplessa o oggettivamente incomprensibile, o ancora manifestamente contraddittoria, e sempre che emerga dal provvedimento in sé, ‘esclusa la
riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima mediante confronto con le risultanze probatorie’ (cfr. Cass. civ., Sez. III, Ord., 31 dicembre 2024, n. 35245; Cass. civ., Sez. III, Ord., 23 luglio 2024, n. 20416; Cass. civ., Sez. III, Ord., 5 aprile 2024, n. 9174; Cass. civ., Sez. III, Ord., 2 febbraio 2024, n. 3169; Cass. civ., SS.UU., 30 luglio 2021, n. 21937; Cass. civ., Sez. VI, 11 agosto 2021, n. 22698).
Sulla scorta di quanto sopra, il controllo sulla motivazione da parte di questo giudice di legittimità diviene ab intrinseco, nel senso che la violazione del citato art. 132 c.p.c. deve emergere obiettivamente dalla mera lettura della sentenza in sé, senza possibilità alcuna di ricavarlo dal confronto con atti o documenti acquisiti nel corso dei gradi di merito.
Ciò detto, anche a voler reinterpretare i motivi in esame, riconducendoli nella corretta nomenclatura dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c., il ragionamento logicogiuridico dell’impugnata pronuncia non evidenzia l’esistenza di alcuna delle suddette ipotesi. Questo perché la decisione adottata dalla Corte d’appello è logica e coerente, dotata di un impianto motivazionale sufficientemente rispettoso della soglia del c.d. minimo costituzionale (v. Cass. civ., SS.UU., 7 aprile 2014, n. 8053; nelle successive pronunce, più di recente, Cass. civ. Sez. V, Ord., 9 ottobre 2024, n. 26349; Cass. civ., Sez. V, Ord., 20 settembre 2024, n. 25319; Cass. civ. Sez. III, Ord., 16 settembre 2024, n. 24760), non potendosi affatto parlare di omessa o apparente motivazione sol perché non coincidente con le prospettazioni delle parti e con gli esiti che avrebbero voluto della valutazione delle tre scritture private inter partes del 11.07.2011, 6.09.2012 e l’ultima del 6.10.2014, nonché dalle ulteriori risultanze probatorie, tra cui il prospetto, redatto su carta intestata della ditta, contenente il conteggio riepilogativo dei
lavori e dei fornitori (cfr. pp. 8-12, sentenza impugnata n. 1499/2021).
Pertanto, l’effettiva volontà dei ricorrenti è quella di sollecitare una rivalutazione del merito e degli esiti dell’analisi del materiale probatorio già compiuta dalla Corte territoriale, che però, come noto, non è consentita in questa sede.
È infatti evidente che i mezzi in disamina, pure nella parte in cui veicolano la quaestio ermeneutica sull’interpretazione, letterale e funzionale, dell’art. 1362 c.c., in realtà, mirano a ottenere un nuovo e inammissibile terzo grado di merito.
Invero, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere tale tipo di violazione, deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione del contratto, con indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato ovvero se li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti. Di certo, la censura non può risolversi nella mera contrapposizione della sua interpretazione rispetto a quella accolta nella sentenza impugnata. E ciò perché, questa non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (v. ex plurimis, da ultimo, Cass. civ., Sez. I, Ord., 10 febbraio 2025, n. 3397; Cass. civ., Sez. I, Ord., 4 febbraio 2025, n. 2719; Cass. civ., Sez. III, Ord., 21 gennaio 2025, n. 1467; Cass. civ., Sez. II, Ord., 29 dicembre 2024, n. 34880; nelle precedenti pronunce, Cass. civ., Sez. III, Ord., 27 novembre 2023, n. 32954; Cass. civ., Sez. II, Sent., 18 luglio 2022, n. 22538).
Nel caso in esame, i ricorrenti si sono limitati ad affermare la pretesa erronea interpretazione, da parte del giudice di seconde cure, della comune intenzione contrattuale delle parti, orientando però le loro argomentazioni critiche all’interpretazione data dalla Corte territoriale, non già attraverso la prospettazione di un’obiettiva e inaccettabile contrarietà, rispetto a quello comune, del senso attribuito alle tre scritture private del 11.07.2011, 6.09.2012 e 6.10.2014, alle altre risultanze probatorie (tra cui il prospetto, redatto su carta intestata della ditta, contenente il conteggio riepilogativo dei lavori e dei fornitori), nonché in generale ai comportamenti negoziali delle stesse, bensì tramite la prospettazione di aspetti di non condivisibilità della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile. In tal modo, hanno però travalicato i limiti propri del vizio ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., sollecitando una rinnovazione di una valutazione di merito non consentita in sede di legittimità.
In proposito, la Corte territoriale ha proceduto alla lettura e all’interpretazione delle suddette tre scritture private nel rispetto dei canoni di ermeneutica fissati dal legislatore, non ricorrendo ad alcuna attribuzione di significati estranei al comune contenuto semantico delle parole, né spingendosi a una ricostruzione del significato complessivo degli atti negoziali in termini di palese irrazionalità o intima contraddittorietà. Così agendo, la ricognizione del contenuto negoziale delle ridette scritture, in esito ad un non implausibile impegno a superare le pur sussistenti difficoltà di coordinamento delle rispettive risultanze, appare sufficientemente congrua rispetto al testo interpretato, che, per tale ragione, resta scevro da eventuali residue incertezze, sottraendosi integralmente alle censure avanzate in questa sede.
A tanto si aggiunga che non implausibile -e, a maggior ragione, anche sotto questo profilo incensurabile in questa sede -è pure l’interpretazione della singolare espressione adoperata dalle parti,
per la quale il creditore avrebbe avuto cura di non azionare il credito, di differimento della stessa esigibilità all’esito dei dieci anni (neppure risultando dal tenore testuale una cadenza rateale annuale).
5.1. Il terzo motivo è inammissibile. Infatti, sebbene sia corretta la premessa in diritto sulla necessità di rapportare la liquidazione, per i gradi del giudizio di merito e non anche per il procedimento cautelare, al decisum e non invece al petitum , parte ricorrente non allega, né dimostra che, in concreto, la liquidazione operata dalla Corte territoriale -che pare, almeno ictu oculi , discostarsi poi in minus dallo scaglione pure non correttamente individuato -abbia violato i limiti massimi dello scaglione da reputarsi corretto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente, in proprio e quale legale rappresentante della società in epigrafe indicata, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.900 oltre 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento al competente ufficio di merito, da parte del ricorrente e nella qualità, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza