Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2751 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2751 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 994/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME domicilio digitale: EMAIL
-controricorrente –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Bologna n. 2138/2022, pubblicata in data 24 ottobre 2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17
dicembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME:
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Forlì, RAGIONE_SOCIALE chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, asseritamente subiti in conseguenza di pratiche concorrenziali scorrette poste in essere dalla convenuta.
Esponeva, in punto di fatto, di avere stipulato nel 1990 con RAGIONE_SOCIALE un contratto di durata annuale, rinnovato sino al 30 settembre 2013 – in forza del quale la convenuta le aveva concesso il mandato di vendita in esclusiva dei prodotti RAGIONE_SOCIALE nella zona di Palermo e provincia da far valere in tutti i supermercati, prevedendo l’art. 3 del contratto che era escluso dal mandato soltanto stipula e vendita con riguardo ai supermercati a carattere nazionale – ed un successivo accordo del 1° febbraio 2001 – con cui era stato concesso, senza limitazione, anche lo stoccaggio e la distribuzione dei prodotti RAGIONE_SOCIALE nella medesima zona -; nel corso del rapporto, tuttavia, RAGIONE_SOCIALE avrebbe violato entrambi i contratti, procurandole un danno in termini di perdita di fatturato e sviamento di clientela.
Il Tribunale adito, all’esito del contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE che aveva spiegato domanda riconvenzionale chiedendo la condanna dell’attrice al pagamento della somma di euro 18.631,25, oltre interessi ex art. 4 d.lgs. n. 231/2002 quale credito derivante dalle ultime forniture effettuate, accoglieva parzialmente la domanda di
risarcimento del danno patrimoniale, avanzata dalla attrice, escludendo quello da lesione all’ immagine commerciale, e condannava RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma richiesta dalla convenuta. Osservava, in particolare, che il contratto di mandato riservava ad RAGIONE_SOCIALE la facoltà di stipulare direttamente contratti per la fornitura dei suoi prodotti a supermercati di carattere nazionale, espressione con cui le parti avevano inteso fare riferimento ad esercizi di vendita che avevano rilevanza non meramente locale e che non erano qualificabili come esercizi di vendita puramente di dettaglio (cd. normal trade ), con la conseguenza che era condivisibile la conclusione del c.t.u., il quale aveva ricondotto in tale categoria piattaforme caratterizzate da una centrale unitaria o comunque ultraregionale, cui erano collegati i punti vendita della cd. catena di distribuzione; escludendo poi che RAGIONE_SOCIALE avesse assunto iniziative per la creazione di tali piattaforme distributive, riteneva parzialmente fondate le doglianze della società attrice per essersi la convenuta resa inadempiente alla pattuizione contrattuale che prevedeva che la distribuzione fosse riservata a RAGIONE_SOCIALE nella zona di sua esclusiva, dal momento che le piattaforme centralizzate avevano invece direttamente proceduto anche alla distribuzione.
La Corte d’appello di Bologna, investita dell’appello principale proposto da RAGIONE_SOCIALE e dell’appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE, ha respinto il primo ed accolto il secondo, condannando la RAGIONE_SOCIALE a pagare, in favore di RAGIONE_SOCIALE a titolo di risarcimento per violazione dell’esclusiva di vendita, la somma di euro 8.173,32, oltre interessi.
In sintesi, la corte felsinea, partendo dalla considerazione che, per espressa previsione contrattuale, la mandante si era riservata la facoltà di stipulare direttamente contratti per la fornitura dei propri prodotti a ‘supermercati di carattere nazionale’, ha ritenuto,
fondandosi sulle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, che nel concetto di grande distribuzione organizzata (GDO) dovessero farsi rientrare non soltanto le grandi catene di distribuzione caratterizzate dalla gestione unitaria e dalla appartenenza ad una medesima proprietà, ma anche le organizzazioni di dettaglianti che si associavano assumendo la forma di consorzi o cooperative di consumo, poiché anche queste ultime si confrontavano con il produttore a livello unitario e centralizzato; la corte ha poi disatteso il motivo di gravame con cui l’appellante muoveva censure al calcolo effettuato dal c.t.u., sottolineando che il consulente aveva ben evidenziato che la ricostruzione contabile operata fosse l’unica possibile sulla base della produzione documentale offerta da RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva prodotto unicamente i bilanci sintetici relativi agli esercizi dal 2004 al 2013, che non riportavano in dettaglio le voci di costo più rilevanti, né prevedevano una suddivisione dei dati per area di attività (vendita e servizi), ed ha confermato la decisione di primo grado quanto al rigetto della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.
Procedendo all’esame del gravame incidentale, la Corte d’appello ha diversamente liquidato il mancato guadagno netto in favore di RAGIONE_SOCIALE nella minor somma di euro 8.173,32, per violazione dell’esclusiva di vendita ; n ell’accogliere anc he il suo secondo motivo, ha rilevato che la diminuzione di fatturato in ordine al servizio di distribuzione lamentato da RAGIONE_SOCIALE si riferiva al periodo successivo al 2002 e che, a partire dal 2001, tanto il deposito quanto la distribuzione dei prodotti RAGIONE_SOCIALE da parte dell’appellante era regolato dal contratto denominato ‘Conto refrigerazione’, che non prevedeva in capo a RAGIONE_SOCIALEp.RAGIONE_SOCIALE obblighi di commissionare in via esclusiva alla controparte servizi di distribuzione per quantitativi o corrispettivi minimi, così escludendo una condotta inadempiente da
parte di RAGIONE_SOCIALE per non essersi più avvalsa di RAGIONE_SOCIALE in seguito alla creazione, da parte dei propri clienti, di autonome piattaforme distributive dei prodotti.
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per la cassazione della suddetta decisione, sulla base di quattro motivi, cui resiste, mediante controricorso, RAGIONE_SOCIALE
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ., in prossimità della quale la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In primis , deve rilevarsi che il controricorso è stato tardivamente depositato in data 1° marzo 2023, oltre il termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso, perfezionatasi in data 5 gennaio 2023.
I giudizi di cassazione intrapresi con ricorso notificato dopo il 1° gennaio 2023, invero, sono sottoposti all’art. 370 cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 3, comma 27, del d.lgs. n. 149 del 2022, che ha eliminato l’obbligo di notifica del controricorso, con la conseguenza che il controricorrente deve ritenersi costituito ritualmente mediante deposito di tale atto (Cass., sez. 3, n. 3559 del 7/2/2024).
Passando all’esame del ricorso, si osserva che il primo motivo denunzia la ‘violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1362 e 1368 cod. civ.)’, per avere il giudice d’appello considerato, ai fini della determinazione dei danni, il fatturato dei supermercati meramente affiliati ad un marchio che, diversamente da quelli appartenenti alla Grande Distribuzione Organizzata, non potevano essere considerati ‘supermercati di carattere nazionale’, secondo la
dicitura richiamata nel contratto di distribuzione inter partes . Sostiene, in particolare, che il giudice del merito avrebbe errato nell’equiparare il concetto di ‘grande distribuzione organizzata’ a quello di ‘supermercati di carattere nazionale’ e che la distinzione tra supermercati inclusi nel contratto di mandato di vendita e quelli esclusi non doveva essere ricercata in fattori esterni ai supermercati, quali la piattaforma distributiva, bensì in fattori interni al supermercato stesso, che, se di carattere nazionale, doveva essere ricompreso nel novero della riserva di cui all’art. 3 del contratto del 21 settembre 1990.
Addebita, pertanto, alla Corte territoriale di non avere adeguatamente interpretato la comune intenzione delle parti, che era stata quella di esc ludere dal mandato soltanto i ‘s upermercati a carattere nazionale’, e di non avere seguito una interpretazione volta alla ricostruzione in senso funzionale del contratto e della sua causa, evidenziando che, se si o ptasse per l’interpretazione resa dal giudice d’appello, il contratto si rivelerebbe non economicamente giustificabile per le parti contraenti. Del resto -prosegue la ricorrente -applicando il criterio dettato dall’art. 1364 cod. civ., in assenza di prova che le parti non abbiano inteso riferirsi a rapporti o oggetti diversi da quelli specificamente indicati, l’oggetto della clausola di esclusione non poteva essere ampliato e, conseguentemente, i fatturati di tutti i supermercati, anche se successivamente affiliati, avrebbero dovuto essere inclusi nel calcolo effettuato dal c.t.u.; anche nel caso di clausola contrattuale ambigua, avrebbe dovuto farsi applicazione del dettato dell’art. 1368 cod. civ., che imponeva di fare riferimento alla pratica in uso nel luogo di esecuzione del contratto, con la conseguenza che, essendo stato accertato che nel 1990 i supermercati c.d. normal trade affiliati in provincia di Palermo costituivano una minima percentuale rispetto al numero totale, non vi
era alcuna ragione commerciale che avrebbe dovuto determinare le parti ad escludere dal contratto pure i supermercati che nel corso del successivo ventennio si erano affiliati a grandi marchi.
2.1. La censura è inammissibile sotto diversi profili.
2.2. La ricorrente sostanzialmente censura l’interpretazione della clausola contrattuale, nello specifico dell’art. 3 del contratto di mandato concluso nel settembre 1990, adducendo che la soluzione ermeneutica offerta dalla Corte territoriale non sarebbe corrispondente a quella che sarebbe stata la effettiva intenzione delle parti; tale doglianza, però, si risolve in una mera asserzione, posto che non sono indicate le clausole o le espressioni dalle quali si sarebbe dovuti pervenire a una ricostruzione della volontà pattizia nel senso prospettato dalla ricorrente.
Peraltro, va data continuità al consolidato orientamento di questa Corte, per cui quale l’interpretazione del contratto, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per assoluta inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, che deve essere specificamente indicata in modo da dimostrare – in relazione al contenuto del testo contrattuale -l’erroneo risultato interpretativo cui per effetto della predetta violazione è giunta la decisione, che altrimenti con certezza sarebbe stata diversa: occorre, altresì, offrire la trascrizione integrale del testo contrattuale in modo da consentire alla Corte di Cassazione, che non ha diretto accesso agli atti, di verificare la sussistenza della denunciata violazione (Cass., sez. 3, 31/03/2006, n. 7597; Cass., sez. 3, 01/04/2011, n. 7557; Cass., sez. 3, 14/02/2012, n. 2109, Cass., sez. 3, 29/07/2016, n. 15763).
Al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il
ricorrente per cassazione deve, quindi, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass., sez. L, 9/10/2012, n. 17168; Cass., sez. 3, 11/03/2014, n. 5595; Cass., sez. 6 – 3, 27/05/2015, n. 3980; Cass., sez. 3, 19/07/2016, n. 14715).
Per di più, non è necessario, per sottrarsi al sindacato di legittimità, che quella adott ata dal giudice sia l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma anche solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass., sez. 1, 27/02/2007, n. 4178; Cass., sez. 2, 03/09/2010, n. 19044; Cass., sez. 1, 22/09/2020, n. 19828; Cass., sez. 6 -3, 11/02/2021, n. 3590; Cass., sez. 1, 12/12/2023, n. 34687; Cass., sez. 2, 04/04/2024, n. 8940; Cass., sez. L, 03/07/2024, n. 18214).
2.3. Ebbene, nel caso de quo , la ricorrente, pur richiamando le clausole contrattuali e la relazione del c.t.u., omette di riprodurre in ricorso sia il testo dell’accordo e delle singole clausole, sia le parti rilevanti della consulenza tecnica d’ufficio e comunque di fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora di precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità, cosicché il motivo incorre nella declaratoria d’inammissibilità per violazione
dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. (Cass., sez. U, n. 34469 del 27/12/2019). Sotto diverso profilo, la ricorrente si limita a prospettare l’incongruità della soluzione ermeneutica fatta propria dalla qui gravata sentenza, muovendo una critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduce esclusivamente nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (Cass., sez. 3, 27/03/2007, n. 7500; Cass., sez. 3, 20/11/2009, n. 24539; Cass., sez. 1, 27/06/2018, n. 16987), ciò che rende la doglianza inammissibile.
Con il secondo motivo, censurando la sentenza impugnata per ‘omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’, la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui esclude che il c.t.u. abbia commesso errori nella ricostruzione contabile dei fatturati, ed assume che il giudice d’appello abb ia tralasciato di esaminare la circostanza che ‘tra le voci dei conti economici dei bilanci anni 2004-2013 vi fossero tutte le indicazioni del costi sostenuti da Cabigel RAGIONE_SOCIALE per l’adempimento del doppio rapporto contrattuale intrattenuto con RAGIONE_SOCIALE
3.1. La censura è inammissibile.
3.2. In primo luogo, per violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., perché la censura si fonda su documenti del giudizio di merito che la ricorrente si limita a richiamare, senza riprodurli direttamente o indirettamente, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34469).
3.3. Ma soprattutto la ricorrente, nell’intento di sollecitare una rinnovazione o integrazione dell’accertamento contabile già espletato, rivolge una diretta critica al convincimento che il giudice si è formato,
in esito all’esame del materiale probatorio, sebbene la nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., introdotta dall’art. 54, primo comma, lett. b) , del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni nella legge 7 agosto 2012, n. 134, abbia limitato la impugnazione al solo omesso esame di un ‘fatto storico’ controverso – ossia ad un preciso accadimento o ad una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”, del tutto irrilevanti che sia stato oggetto di discussione ed appaia ‘decisivo’, non essendo più consentito criticare il discorso argomentativo posto a giustificazione della decisione sulla base di elementi fattuali acquisiti e ritenuti dal giudice di merito determinanti oppure scartati (Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940; Cass., sez. 6 – 1, n. 2268 del 26/01/2022).
3.4. Nella specie, la Corte d’appello ha escluso che il metodo utilizzato dal c.t.u. per la determinazione del preteso mancato guadagno potesse essere ritenuto inadeguato, e anzi ha sottolineato che ‹‹l’operazione contabile effettuata fosse la sola possibile in base alla produzione documentale fornita dalla Cobigel ›› , posto che quest’ultima aveva prodotto unicamente i bilanci sintetici relativi agli esercizi dal 2004 al 2013, nei quali non erano rinvenibili né il dettaglio delle voci di costo più rilevanti (quali costi generali, ammortamenti, costo del personale), né una suddivisione dei dati per area di attività (vendita e servizi).
L’apprezzamento svolto dal giudice di merito, adeguatamente motivato e scevro da vizi logici e, come tale, non scrutinabile in questa sede, non è scalfito dalla doglianza svolta dalla parte ricorrente, che si limita a sostenere, in modo del tutto generico e comunque come se si trattasse di un terzo grado di merito, che i bilanci prodotti erano stati redatti in conformità al dettato di cui all’art. 2423 -bis cod. civ.
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322 e 1363 cod. civ., per avere la Corte d’appello negato che fossero imputabili a RAGIONE_SOCIALE atti di concorrenza sleale.
Precisa, sul punto, che con la sottoscrizione del contratto relativo al rapporto di distribuzione RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto rivolgersi ad essa ricorrente per effettuare la distribuzione dei prodotti a proprio marchio nel territorio incluso nell’accordo senza utilizzare piattaforme esterne e che la circostanza che nella mera distribuzione non fossero garantiti quantitativi minimi di distribuzione di merce non autorizzava uno dei contraenti a danneggiare l’altro utilizzando altri fornitori concorrenziali per la medesima zona.
Sostiene pure che, in forza di quanto previsto dal l’art. 7 del medesimo contratto, poteva prelevare direttamente della merce dal deposito per poi rivenderla ‘entro i limiti della propria zona di competenza’, come indicat a nel contratto di mandato, e che, in virtù delle varie clausole contrattuali e della corretta interpretazione ‘letterale e funzionale’ del contratto, esisteva una ‘zona di competenza’ , coincidente con la provincia di Palermo, che vincolava in modo binario entrambe le parti; tale emergenza documentale avrebbe dovuto indurre il giudice di merito ad interpretare le singole clausole le une per mezzo delle altre e comunque ad adottare una interpretazione funzionale Aveva più volte sottolineato che il comportamento di NOME durante l’esecuzione del contratto non era stato improntato a buona fede, ma anzi volto a danneggiarla mediante una pratica anticoncorrenziale, dato che aveva distribuito a prezzi più vantaggiosi i propri prodotti nella stessa zona del suo distributore locale.
Il motivo è inammissibile sia perché non autosufficiente, posto che la ricorrente non riproduce le singole clausole contrattuali che
essa invoca a supporto della doglianza al fine di porre questa Corte nella condizione di adeguatamente valutare la critica mossa alla sentenza impugnata, sia e soprattutto perché, pur invocando la , risultato appello, contrapponendovi inammissibilmente il diverso approdo da essa pretesa violazione del canone di cui all’art. 1363 cod. civ. esprimendo in realtà dissenso nel merito rispetto al interpretativo dell’attività ermeneutica della Corte di auspicato, e quindi scendendo nel fatto del contenuto contrattuale.
Quanto, altresì, alla presunta attività concorrenziale che essa imputa alla RAGIONE_SOCIALE, è sufficiente evidenziare che, sotto tale profilo, la censura ripropone questioni meramente fattuali che sono state affrontate dal giudice di appello.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 cod. civ., per avere la corte felsinea rigettato la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale per lesione di immagine commerciale; sostiene la ricorrente di non essere tenuta a provare il danno derivante dall’altrui inadempimento, ben potendo il giudice liquidarlo sulla base degli elementi in suo possesso o di mere presunzioni o ancora in via equitativa ex art. 1226 cod. civ.
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. La Corte d’appello, sul punto, ha osservato come il danno all’immagine, ‹‹ in termini di danno conseguenza, non sussiste in re ipsa , gravando, in ogni caso, in capo a chi ne domanda il risarcimento, l’allegazione e la prova del concreto pregiudizio subito, anche mediante presunzioni gravi, precise e concordanti ›› , ed ha reputato che la mera circostanza che la RAGIONE_SOCIALE avesse subito negli anni una diminuzione del fatturato non consentiva di ritenere provata, neanche mediante presunzioni, la riferibilità di questa alla condotta della COGNOME.
La modalità accertatoria che sorregge il decisum , dalla quale si
evince che il giudice di merito ha ritenuto che nessun elemento probatorio sia stato allegato dalla odierna ricorrente per confermare l ‘ asserita diminuita immagine commerciale a seguito della supposta violazione dell’esclusiva di vendita, si pone in linea con l’orientamento di questa Suprema Corte, che ha più volte ribadito, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale subìto dalle persone giuridiche, che il pregiudizio arrecato ai diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all’immagine, deve essere oggetto di allegazione e di prova anche attraverso l’indicazione degli elementi costitutivi e delle circostanze di fatto da cui desumerne, sebbene in via presuntiva, l’esistenza (Cass., sez. 3, n. 34026 del 18/11/2022; Cass., sez. 6 -3, 28/03/2018, n. 7594).
Il che esclude che si potesse nel caso in esame ricorrere direttamente a una liquidazione equitativa, in quanto il potere conferito al giudice dall’art. 1226 cod. civ. incontra il limite nel quantum del danno , non entrando, a monte, nell’accertamento della sua esistenza (cfr. Cass., sez. 3, 06/12/2018, n. 31546; Cass., sez. 3, 29/04/2022, n. 13515).
6. In conclusione, il ricorso merita rigetto.
Nulla deve disporsi in merito alle spese di lite in ragione della tardività del controricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione