Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13460 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13460 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36407/2019 R.G. proposto da : COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 2037/2019 depositata il 13/08/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME evocò NOME COGNOME avanti il Tribunale di Arezzo, domandando che fosse accertata l’inesistenza di una servitù, determinata dall’apposizione sul suo fondo di una fossa biologica e di alcuni pluviali appartenenti a controparte, nonché l’inesistenza di servitù di veduta vantate ex adverso . Nella resistenza della convenuta, che aveva svolto domanda riconvenzionale subordinata per la declaratoria di usucapione, in esito all’istruttoria il giudice adito accoglieva la domanda principale
Su gravame della COGNOME, con sentenza n. 2037 depositata il 13 agosto 2019, la Corte d’appello di Firenze accoglieva parzialmente l’impugnazione, dichiarando il diritto dell’appellante a mantenere la fossa biologica ed escludendo il risarcimento del danno accordato in prime cure.
Il giudice di secondo grado evidenziava, con riguardo alla fossa biologica, che l’affermazione del CTU circa l’insistenza della stessa sul fondo del COGNOME non era assistita da alcuna evidenza documentale, ma era basata su mere supposizioni, laddove, invece, sulla scorta dell’atto divisionale fra i fratelli COGNOME del 1990 e la successiva compravendita del 1991 fra il fratello dell’attore NOME e la COGNOME, sarebbe piuttosto emersa una comproprietà del terreno fra le parti. Da ciò la conseguenza che NOME COGNOME, avendo promosso il giudizio, avrebbe avuto in carico l’onere probatorio, senza tuttavia soddisfarlo. Quanto al danno accertato
dal Tribunale, sarebbe mancata la prova sia dell’ an che del quantum .
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di sei motivi. Resiste con controricorso NOME COGNOME.
In prossimità dell’udienza, il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la prima doglianza, il ricorrente assume la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., ai sensi degli artt. 132 e 156 c.p.c. Per giustificare la comproprietà fra le parti, la Corte d’appello avrebbe adottato un ragionamento incomprensibile ed illogico, con riguardo al fabbricato demolito.
Attraverso la seconda censura, il COGNOME lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c. e 2700 c.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., giacché il giudice di secondo grado avrebbe interpretato liberamente l’atto pubblico, anziché limitarsi a prendere conoscenza di quanto in esso stabilito.
Con il terzo mezzo di impugnazione, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2700 c.c. nonché 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto la Corte d’appello avrebbe statuito la comproprietà del terreno, in cui era posta la fossa biologica, sulla scorta dell’erronea interpretazione dell’atto pubblico avente valore di prova legale.
La quarta lagnanza deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 922, 1326 e 1350 c.c., in relazione all’art. 1470 c.c., nonché degli artt. 1362 e ss. c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. Attraverso la statuizione di comproprietà del fondo, la Corte d’appello avrebbe sostanzialmente violato tutti i principi in tema di
interpretazione contrattuale, pervenendo ad un giudizio probabilistico.
Mediante il quinto rilievo, il COGNOME denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2697 c.c., in relazione agli artt. 832 e 905 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto la Corte distrettuale, nel confermare in parte la decisione di primo grado, avrebbe dovuto liquidare il danno in re ipsa .
L’ultimo mezzo di impugnazione è rivolto a contestare la nullità della sentenza per omessa motivazione e per violazione degli artt. 111 Cost. e 132 n. 4 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., nella parte in cui la domanda di risarcimento del danno era stata rigettata anche con riferimento al quantum debeatur .
Il ricorso è nel suo complesso inammissibile.
Vanno esaminati congiuntamente i motivi primo e sesto, caratterizzati dalla denunzia del comune vizio di cui all’art. 360 n. 4 c.p.c., inerente la nullità per violazione dell’art. 132 comma 4° c.p.c., che sono inammissibili.
7.1. La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza”
della motivazione (Sez. U., n. 7053 del 7 aprile 2014; Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022).
In esito alla lettura della sentenza impugnata non si riscontra nessuna delle suddette aporie, né la motivazione -letta nel suo complesso -si pone al di sotto del minimo costituzionale.
Anche i motivi secondo, terzo e quarto, che attingono la sentenza impugnata sotto il profilo della erronea interpretazione degli atti, sono inammissibili.
8.1. Giova osservare che, in generale, nell’interpretazione del contratto, attività riservata al giudice di merito, è censurabile in sede di legittimità solo la violazione dei canoni ermeneutici o il vizio di motivazione, ed il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti (Sez. 6-1, n. 13595 del 2 luglio 2020; Sez. 3, n. 20294 del 26 luglio 2019; Sez. 1, n. 16181 del 28 luglio 2017).
8.3. Tale attività ermeneutica è senz’altro coerente con il dettato dell’art. 1362 c.c., secondo cui il dato testuale del contratto, pur importante, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare, atteso che un’espressione ” prima facie ” chiara può non risultare più tale se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti; ne consegue
che l’interpretazione del contratto, da un punto di vista logico, è un percorso circolare che impone all’interprete, dopo aver compiuto l’esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l’intenzione delle parti e quindi di verificare se quest’ultima sia coerente con le restanti disposizioni del contratto e con la condotta delle parti medesime (Sez. 63, n. 32786 dell’8 novembre 2022; Sez. 3, n. 34795 del 17 novembre 2021; Sez. 3, n. 17718 del 6 luglio 2018; Sez. 3, n. 9380 del 10 maggio 2016).
La Corte d’appello di Firenze ha dunque interpretato e ricostruito i due atti, del 1990 e del 1991, secondo i canoni ermeneutici di cui sopra, fornendo un’interpretazione plausibile.
8.4. Giova in proposito considerare che, in generale, la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
8.5. Per il resto, va ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con
esclusione di altre, non incontra limite diverso da quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).
8.6. In altri termini, la differente lettura delle risultanze istruttorie, ed in particolare dei documenti in atti, proposta dal ricorrente non tiene conto del principio per il quale la doglianza non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013).
8.7. È, in conclusione, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
Residua lo scrutinio del quinto motivo che, non diversamente dagli altri, si palesa inammissibile.
Infatti, la sentenza impugnata ha correttamente sottolineato come -in esito alla parziale riforma operata dal giudice di appello -l’unico pregiudizio rimasto in piedi fosse costituito dall’apertura di una veduta illegittima su un coperto.
9.1. Non può dunque trovare applicazione l’orientamento giurisprudenziale citato dal ricorrente, secondo cui la violazione della prescrizione sulle distanze tra le costruzioni, attesa la natura
del bene giuridico leso, determinerebbe un danno in re ipsa , con la conseguenza che non incomba sul danneggiato l’onere di provare la sussistenza e l’entità concreta del pregiudizio patrimoniale subito al diritto di proprietà, dovendosi, di norma, presumere, sia pure iuris tantum , tale pregiudizio (Sez. 6-2, n. 25082 del 9 novembre 2020).
Nell’ipotesi di specie, infatti, la Corte d’appello ha accertato, per la peculiarità del luogo e per il modo della lesione, che dovesse escludersi un qualunque danno ulteriore rispetto a quello arrecato alla proprietà e risarcibile attraverso il ripristino dello status quo ante .
In tal modo, è stato correttamente applicato il principio per il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, anche sulla base di presunzioni semplici, senza che un alleggerimento dell’onere probatorio di tale natura possa includere anche l’esonero dall’allegazione di fatti che devono essere appunto accertati mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza (Sez. U., n. 33645 del 15 novembre 2022; Sez. 3, n. 14268 del 25 maggio 2021; Sez. 3, n. 27126 del 6 ottobre 2021).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, come liquidate in dispositivo.
La Corte da atto che ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore di NOME COGNOME, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in euro 3.000 (tremila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Seconda