Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16746 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16746 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21324/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio degli avvocati NOME RAGIONE_SOCIALE e NOME RAGIONE_SOCIALE con Studio in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Torino n. 1/2019, depositata il 2 gennaio 2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con atto di citazione ritualmente notificato, la RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione dinanzi al Tribunale di Torino avverso il decreto ingiuntivo n. 1127/14 emesso per euro 265.405,70, oltre
ad accessori e spese, a titolo di fatture insolute relative alla ristrutturazione e alla fornitura e posa di arredi realizzate, in forza di contratto d’appalto sottoscritto in data 5 luglio 2013, nella boutique romana di INDIRIZZO della RAGIONE_SOCIALE Chiedeva, pertanto, la revoca, l’annullamento o comunque la dichiarazione di nullità del suddetto decreto nonché – in via riconvenzionale l’accertamento della difformità dell’opera eseguita da lla RAGIONE_SOCIALE e della presenza di rilevanti vizi, con conseguente riduzione proporzionale del prezzo e risarcimento del danno per un valore di euro 300.000,00.
RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda.
Con sentenza n. 611/2017, pubblicata in data 14 giugno 2014, il Tribunale di Alessandria revocava il decreto ingiuntivo, riconoscendo all’appaltatrice la minor somma di euro 202.456,00 (di cui euro 150.000,00 quale residuo a saldo del prezzo pattuito nel contratto d’appalto ed euro 52.456,00 per ulteriori opere extracapitolato), nonché all’opponente RAGIONE_SOCIALE, in parziale accoglimento della sua domanda riconvenzionale, la somma di euro 224.535,00, di cui euro 190.000,00 a titolo di penale per ritardo ed euro 34.535,00 quale riduzione del prezzo conseguente a vizi e difetti delle lavorazioni eseguite.
-Avverso detta sentenza, la RAGIONE_SOCIALE promuoveva appello.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE chiedendo, in via principale, il rigetto dell ‘appello e insistendo, in via subordinata, per l’accoglimento delle domande di riduzione del prezzo dell’appalto ex art. 1668 cod. civ. e di risarcimento del danno.
La Corte di appello di Torino, con sentenza depositata il 19 ottobre 2018, ha rigettato l’impugnazione avanzata da RAGIONE_SOCIALE, condannandola a rimborsare le spese del grado di giudizio.
-La RAGIONE_SOCIALE ha proposito ricorso per cassazione.
La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo del ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1369, 1371 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. Parte ricorrente sostiene che la Corte di appello, nell’interpretare le pattuizioni intercorse tra le parti, ha aderito alla ‘ tesi atomistica ‘ sostenuta da parte appellata (COGNOME) nel senso di ritenere che le parti avrebbero previsto all’art. 7 dell’appalto separate date di consegna per singolo piano, nello specifico, il RAGIONE_SOCIALE da consegnare il 6 agosto 2013, la boutique il 7 ottobre 2013 e l’ex temporary il 15 ottobre 2013, da cui far operare la penale prevista all’art. 8 dell’appalto in caso di ritardo nella consegna dei lavori. Nell’arrivare a tale conclusione, però, il giudicante avrebbe violato i criteri di ermeneutica citati nella rubrica, che impongono particolare attenzione da rivolgere all’accertamento della comune intenzione delle parti, all’interpretazione complessiva delle clausole delle une per mezzo delle altre, alle espressioni generali, all’interpretazione secondo buona fede e comu nque all’interpretazione di equo contemperamento degli interessi delle parti coinvolte. L’appalto aveva ad oggetto opere da eseguirsi in un unico immobile di circa 400 mq. disposto su tre piani, come risulta espressamente dall’art. 2 dell ‘ appalto, a mente del quale: ‘ … i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria con rifacimento dell’impianto elettrico di condizionamento, nonché di allestimento di nuovi arredi nei locali di INDIRIZZO a Roma (di seguito per brevità la ‘ Boutique ‘ ) … ‘ e non invece, come erroneamente indicato dal giudice, ai 3 locali oggetto degli interventi ristrutturativi, ovvero, il ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ , la Boutique Piano terra e i locali ex RAGIONE_SOCIALE . La locuzione ‘ locali ‘ viene espressamente riferita a tutti i locali di COGNOME ubicati
a Roma in INDIRIZZO, senza distinzione tra piano interrato, piano terra e primo piano.
Tale interpretazione sarebbe altresì coerente col complessivo testo contrattuale e sarebbe confermata:
-dal tenore letterale dell’appalto al richiamato art. 3, ove i lavori complessivamente intesi sono da eseguirsi a corpo e non a misura, a prezzi fissi ed invariabili per tutte le forniture, opere e prestazioni occorrenti all’esecuzione dei lavori;
dal tenore letterale dell’art. 7, rubricato ‘ Tempistiche ‘ si parla espressamente di ‘ cronoprogramma da condividere ‘ con individuazione delle date a suffragio di uno stato avanzamento lavori pattuito;
dal tenore letterale dell’appalto al richiamato art. 9 ove i lavori complessivamente intesi da collaudare riguardano ‘ la presa in consegna della Boutique ‘ e non delle singole unità denominate ‘ RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ‘ , nella Boutique Piano terra e nei locali ex RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ;
nella esplicita previsione contrattuale contenuta nell’allegato n. 2 dell’appalto nella cui ultima pagina si legge espressamente che il termine di consegna delle opere è il 15 ottobre 2013, opere eseguite sia presso il ‘ RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ‘ , sia presso la Boutique Piano terra nonché presso ed i locali ex RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE .
Dunque, la Corte di appello avrebbe contravvenuto al costante insegnamento della Cassazione in base al quale le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, dovendosi attribuire a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto.
1.1. -Il motivo è inammissibile.
Posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito
riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass., Sez. I, 9 aprile 2021, n. 9461).
L’interpretazione data dal giudice di merito a un contratto, pertanto, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., Sez. III, 20 novembre 2009, n. 24539).
Nella specie, la Corte d’appello ha effettuato la ricostruzione della volontà negoziale attraverso la lettura delle clausole negoziali di cui ai numeri 7 e 8, confermando la tesi atomistica accolta dal giudice di prime cure ed escludendo il rilievo della documentazione dedotta dall’appellante.
La parte ricorrente, invero, mira, nella sostanza, a una rivalutazione delle risultanze istruttorie, inammissibile in sede di legittimità.
-Con il secondo motivo del ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1661 e 1218 e 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. Parte ricorrente contesta la circostanza che la Corte di appello, nel proprio iter logico giuridico, ha ritenuto irrilevanti le 12 richieste di opere extra da COGNOME in quanto, a suo dire, opere di modesta quantificazione
economica per il loro realizzo rispetto al valore complessivo dell’appalto e, quindi, non le ha considerate quali notevoli modificazioni della natura dell’opera o dei quantitativi delle singole categorie di lavori previsti, come espressamente indicato al l’ art. 1661, secondo comma, cod. civ. tali da far saltare l’originario termine di consegna delle opere e l’annessa penale. I giudici del gravame avrebbero applicato (senza farne buon governo in quanto non applicabile al caso di specie) il principio giurisprudenziale secondo cui quando, nel corso dell’esecuzione del contratto dì appalto, il committente abbia richiesto all’appaltatore notevoli e importanti variazioni al progetto, il termine di consegna e la penale per il ritardo, pattuiti nel contratto, vengono meno per effetto del mutamento dell’originario piano dei lavori (Cass. n. 20484/11). In realtà la Corte di appello è arrivata, mediante un mero calcolo matematico, a quantificare l’incidenza del valore delle opere extra rispetto al valore complessivo dell’appalto , senza però valutarne in concreto la portata, l’importanza e l’ entità delle stesse. Si aggiunge, inoltre, che, in ben due gradi di giudizio, nonostante le richieste istruttorie avanzate dalle parti, nessuno dei giudici abbia ammesso una consulenza tecnica dell’ufficio, né le prove testimoniali articolate. Le opere extra appalto sono state oggetto di specifiche pattuizioni con tanto di indicazione dei corrispettivi e con precisa indicazione di nuovi termini di consegna, in alcuni casi, e senza alcun richiamo ad alcuna penale e con generica indicazione ‘ nei prossimi giorni ‘, in altri casi. Da ciò conseguirebbe che nei casi in cui sono stati pattuiti inter partes nuovi termini di consegna delle opere extra, modificativi di quelli del cronoprogramma originario, le parti hanno espressamente superato i termini di adempimento e la penale originariamente pattuita, con conseguente non imputabilità del ritardo in capo all’appaltatore RAGIONE_SOCIALE, mentre nei casi in cui non è stato pattuito alcun termine di adempimento, secondo il principio generale dell’onere della prova, il committente COGNOME
avrebbe dovuto fornire puntale evidenza del danno derivante dal colpevole ritardo imputabile all’appaltatore .
2.1. -Il motivo è infondato.
La doglianza attiene alla ritenuta irrilevanza delle variazioni dell’appalto sul termine di consegna, ai fini dell’applicazione della penale.
In tema di appalto, al fine di individuare la fattispecie prevista dall’art. 1661, secondo comma, cod. civ., relativa alle variazioni del progetto, che importano “notevoli modificazioni della natura dell’opera”, con conseguente inapplicabilità dello jus variandi del committente di cui al primo comma del citato art. 1661, occorre aver riguardo allo sconvolgimento del piano originario delle opere, che determina una sostituzione consensuale del regolamento contrattuale già in essere e trova concretezza in base a specifici parametri, correlati all’entità materiale e tecnica degli interventi di modifica o alla loro consistenza economica (Cass., Sez. II, 2 aprile 2019, n. 9152; Cass., Sez. II, 20 giugno 2012, n. 10201).
Alla luce di tale giurisprudenza, nella specie, considerato l’importo complessivo dell’appalto e l’incidenza che le variazioni dedotte hanno avuto su di esso, per un importo complessivo pari a poco più del 5%, nonché il fatto che si era trattato dal punto di vista qualitativo di interventi non di particolare entità, di tutta evidenza non siamo di fronte a una richiesta di notevoli e importanti variazioni delle opere, per cui la censura risulta infondata.
-Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1366, 1369 e 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. Parte ricorrente contesta la pronuncia della Corte di appello nella parte in cui, con motivazione generica ed omissiva, ha rigettato la domanda avanzata da RAGIONE_SOCIALE per il pagamento dell’importo di euro 43.500,00 per prestazioni svolte dal suo personale durante interventi notturni per problemi inerenti all’illuminazione dei locali riferibili ad una partita di
prodotti da parte di RAGIONE_SOCIALE, fornitore scelto da COGNOME e con il quale parte resistente ha intrattenuto direttamente rapporti commerciali. Nel caso di specie, la Corte di appello, lungi dal fornire spiegazioni in merito a tutte le ‘ possibili ‘ interpretazioni ‘ contrapposte ‘ riferibili all’espressione «attendiamo solo la ricezione dell’ordine dì acquisto RAGIONE_SOCIALE» , sarebbe incorsa ancora una volta nel vizio di errata applicazione dei canoni ermeneutici applicabili anche nei confronti degli atti unilaterali.
3.1. -Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha escluso dopo avere condiviso quanto affermato dal Tribunale con riguardo agli interventi notturni posti in essere dalla RAGIONE_SOCIALE -che sia stata fornita la prova del rapporto di fornitura diretta tar la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, facendone derivare che la mancanza di tale prova porta a far rientrare eventuali problemi -e la necessità di intervenire in orario notturno per assicurare l’apertura giornaliera alla gioielleria nell’area di rischio dell’appaltatore .
Sotto le parvenze della violazione di legge, parte ricorrente intende ottenere in sede di legittimità un diverso apprezzamento dei fatti, finendo per adombrare un vizio di motivazione, del tutto inammissibile nella versione attuale del 360 n. 5 cod. proc. civ., avendo la Corte d’appello fornito una sua giustificazione sul mancato accoglimento del motivo d’impugnazione qui riproposto, anche a fronte di una doppia conforme del giudizio di merito.
4. -Con il quarto motivo di gravame si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 189 e 347 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. La ricorrente deduce che all’udienza del 20 settembre 2018 alcun difensore per conto di COGNOME si presentava e conseguentemente l’appellata non provvedeva a depositare alcun foglio di precisazione delle conclusioni. Sarebbe quindi evidente come vi sia stata la totale omissione della precisazione delle conclusioni da parte di NOME
che, peraltro, ammette tale omissione a pagina 9, secondo capoverso, della propria comparsa conclusionale del 19 novembre 2018. Tale ultimo atto – si sottolinea – non è deputato alla precisazione delle conclusioni ma alla semplice replica: non può dunque che concludersi per la definitiva omissione delle proprie conclusioni nei termini procedurali stabiliti dal codice di rito e altresì per la totale incongruenza tra la sentenza impugnata e i fatti realmente accaduti in corso di causa. Parte ricorrente sostiene di aver dato atto della omissione nella propria memoria di replica. La mancata precisazione delle conclusioni in sede di appello dovrebbe generare due conseguenze, quali la presunzione di abbandono delle domande avanzate e la tacita rinunzia alle istanze istruttorie formulate, per cui la sentenza resa all’esito del processo di secondo grado sarebbe inevitabilmente inutiliter data e inevitabilmente pregiudicata dal mancato rispetto dell’articolo 112 cod. proc. civ.
4.1. -Il motivo è infondato.
Nell’ipotesi in cui il procuratore della parte non si presenti all’udienza di precisazione delle conclusioni o, presentandosi, non precisi le conclusioni o le precisi in modo generico, vale la presunzione che la parte abbia voluto tenere ferme le conclusioni precedentemente formulate (Cass., Sez. III, 22 febbraio 2021, n. 4664; Cass., Sez. VI-1, 9 maggio 2018, n. 11222).
L’omissione in appello della precisazione delle conclusioni da parte di COGNOME non porta, dunque, ad alcuna presunzione di abbandono, valendo l’opposto principio di presunzione di conferma.
Diversa ipotesi è quella in cui il procuratore compaia e non confermi espressamente alcune domande, pur dovendosi rilevare che affinché una domanda possa ritenersi presuntivamente abbandonata, non è sufficiente che essa non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi anche accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle
esplicitamente reiterate, non emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa (Cass., Sez. I, 3 dicembre 2019, n. 31571; Cass., Sez. II, 10 settembre 2015, n. 17875; Cass., Sez. I, 10 luglio 2014, n. 15860).
-Il ricorso va dunque rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contribu to unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione