Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27804 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27804 Anno 2024
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1953/2021 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 1973/2020 depositata il 04/06/2020; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 1973 del 4.6.2020, ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza n. 1572 del 21.9.2018 del Tribunale di Benevento che accoglieva l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 422/2015 con cui era stato intimato alla Regione Campania il pagamento della somma di € 21.031,66 quale parte residua (pari al 65%) del contributo alla medesima concessa giusta l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3322/2003, per i danni causati agli immobili di sua proprietà a seguito dell’alluvione dei giorni 24, 25 e 26 gennaio 2003.
Il giudice di secondo grado ha evidenziato che, nel quadro delle previsioni dell’art. 4 dell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3322/2003, il commissario delegato per l’attuazione degli interventi resi necessari dallo stato di emergenza cagionato dagli eventi alluvionali di fine gennaio 2003 aveva, sulla scorta della propria ordinanza n. 17/2004, con successiva sua ordinanza n. 3/2007 disposto di fissare nella misura del 35% l’acconto del complessivo importo ammesso a contributo e liquidabile agli aventi diritto. In particolare, il giudice d’appello ha messo in luce che i provvedimenti summenzionati avevano rimesso al commissario la discrezionale determinazione del contributo da erogare ai privati entro il limite ‘delle risorse assegnate’, ovvero dei finanziamenti ottenuti, ed entro il limite di euro 30.000,00 per ciascun privato cittadino. Ad avviso della Corte d’Appello, era da escludersi che il termine ‘acconto’, utilizzato dapprima nella O.P.C.M. 3322/2003 e
poi nelle altre ordinanze commissariali, fosse indicativo dell’esistenza di un diritto ad ottenere il saldo, essendo stato solo utilizzato per indicare che la misura del contributo avrebbe potuto non coprire l’intero danno subito, costituendo anticipazione ‘su future provvidenze a qualunque titolo previste’. Dunque, con l’emanazione dei decreti sindacali non era sorto il diritto soggettivo perfetto all’erogazione del contributo, che necessitava, invece, del suo successivo riconoscimento nella sede amministrativa di competenza del Commissario delegato. In sostanza, il diritto al pagamento del saldo era subordinato all’adozione di un nuovo ed ulteriore provvedimento amministrativo del Commissario (o della Regione a questi successivamente subentrata) che doveva tenere conto delle residue possibilità finanziarie.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, affidandolo ad un unico articolato motivo. La Regione Campania ha resistito in giudizio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa civ. nell’interpretazione dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3322/2003, dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio
applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 cod. dei Ministri n. 17/2004, e dell’Ordinanza commissariale n. 3/2007.
Espone la ricorrente che il giudice d’appello ha violato le disposizioni sopra menzionate, per aver ignorato gli artt. 1,4,e 5 dell’O.P.C.M. n. 3322/03 che concedevano direttamente al Commissario il potere di erogare i contributi fino ad un massimo di € 30.000,00 senza limitarlo alla concessione del 35% , trascurando di leggere il provvedimento in tutte le sue previsioni, ciascuna di esse da interpretarsi ‘ per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto’.
Deduce la ricorrente che non occorreva alcun altro ulteriore provvedimento amministrativo che accertasse il contributo già riconosciuto dai decreti sindacali, non avendo la Corte d’Appello attribuito l’esatto significato alle parole ‘future provvidenze a qualunque titolo previste’: in quanto future e a qualunque titolo concesse, non potevano che riferirsi a indennizzi non ancora contemplati, e perciò non a quelli già autorizzati dall’O.P.C.M. fino a € 30.000,00 che, proprio, perché già stabiliti, non avrebbero potuto essere considerati futuri.
Infine, la Corte territoriale non aveva tenuto conto del tenore letterale dell’ordinanza commissariale n. 3/2007 non distinguendo tra acconti e importo ammissibile e liquidabile, confondendo il momento della certezza e liquidità del credito con quello dell’erogazione, che attiene all’esigibilità.
2. Il ricorso è inammissibile.
Va osservato che la ricorrente, con l’apparente doglianza della violazione delle norme di interpretazione contrattuale, intende, in realtà, sollecitare una diversa ed alternativa interpretazione delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri e commissariale, mentre, secondo gli insegnamenti di questa Corte (cfr. Cass. sez. un. 25.7.2019, n. 20181; Cass. sez. lav. 23.7.2010, n. 17367), l’interpretazione dell’atto amministrativo a contenuto non normativo, risolvendosi nell’accertamento della volontà della RAGIONE_SOCIALE, è riservata al giudice di merito e soggiace alle regole dettate per l’interpretazione dei contratti.
Nel caso di specie, costituiscono atti amministrativi a contenuto non normativo sia l’ordinanza commissariale n. 3/2007 sia l’O.P.C.M. n. 3322/2003. In particolare, quest’ultima ordinanza rientra nella categoria delle ordinanze extra ordinem o libere, adottate dall’autorità amministrativa con carattere provvisorio e derogatorio delle fonti di rango primario, ancorché nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e di derivazione unionale e
internazionale, sul presupposto della necessità e urgenza, onde far fronte a situazioni di pericolo grave e imminente per la comunità. Le ordinanze libere rientrano nel novero degli atti amministrativi generali, i quali, a differenza del regolamento, avente natura di fonte di secondo grado e sostanza normativa, in quanto contenente norme generali e astratte incidenti sui rapporti giuridici nel corso del tempo, sono formalmente normativi, ma sostanzialmente amministrativi, siccome espressione di una semplice potestà amministrativa di natura gestionale con finalità di cura concreta di interessi pubblici, seppure a destinatari indeterminati (Cass., Sez. 1, 06.03.2024, n. 5988).
Pertanto, l’interpretazione dell’atto amministrativo, come l’interpretazione del contratto, proprio perché si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, è censurabile in cassazione solo per violazione delle regole ermeneutiche ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3, cod. proc. civ., ovvero per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai sensi del novello art. 360, 1° co., n. 5, cod. proc. civ. (cfr. Cass. sez. lav. 4.4.2022, n. 10745), non potendo consistere in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione.
Pertanto, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. n. 4178/2007; Cass. n. 10131/072.5.2006, n. 10131; Cass. n. 17367/2010 cit., secondo cui, con riferimento all’interpretazione di un atto amministrativo, l’individuazione della volontà dell’ente pubblico è censurabile non già quando le ragioni addotte a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì allorché esse si rivelino insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica).
Nel caso di specie, la ricorrente, nel sollecitare l’accoglimento della propria interpretazione delle disposizioni delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri e di quella commissariale, ha apoditticamente censurato la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., senza precisare quindi in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si fosse discostato dai relativi criteri di ermeneutici. In particolare, la stessa ricorrente ha affermato che gli artt. 1,4, e 5 dell’O.P.C.M. nn. 2233/03 concedevano direttamente al Commissario il potere di erogare i contributi fino ad un massimo di € 30.000,00, senza limitarlo alla concessione del 35%, non confrontandosi minimamente con le precise argomentazioni della sentenza impugnata che, in più riprese, ha evidenziato che il potere di determinazione dell’entità dei contributi era stato rimesso alla valutazione del Commissario ‘entro i limiti delle risorse assegnate’. La ricorrente ha, inoltre, lamentato la violazione del criterio di interpretazione letterale, per non aver la Corte d’Appello condiviso il significato dallo stesso attribuito all’espressione ‘ future provvidenze a qualunque titolo previste’, con ciò non facendo che sollecitare solo una delle possibili interpretazioni plausibili di tale espressione (sul punto, come su quelli sopra esaminati, vedi anche Cass. n. 9229/2024, 14828/2024; 15367/2024; 14965/2024). 3. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 2.600,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello del ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Roma, così deciso il 18.9.2024