Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13700 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13700 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20197-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 39/2024 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 11/03/2024 R.G.N. 558/2022;
Oggetto
LAVORO SUBORDINATO RETRIBUZIONE
R.G.N. 20197/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 03/04/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Lecce, confermando il provvedimento del giudice di primo grado, ha (parzialmente) accolto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE ed ha condannato la società al pagamento di differenze retributive per i periodi di lavoro regolarmente denunciati dal datore di lavoro, per complessivi euro 37.865,73, oltre accessori.
La Corte territoriale ha premesso che la notifica del ricorso introduttivo del giudizio era stata effettuata ritualmente presso il domicilio digitale della società come risultante dai registri INIPEC (con conseguente decadenza dall’eccezione di prescri zione dei crediti vantati dalla lavoratrice a seguito di tardiva costituzione in giudizio della società, dichiarata contumace alla prima udienza del 26.3.2019) e che la conciliazione sottoscritta in data 8.2.2017 non aveva carattere di transazione novativa, dovendosi conseguentemente ritenere infondata l’eccezione di difetto di competenza del giudice del lavoro; rilevato che la suddetta conciliazione non era stata adempiuta dalla società (con conseguente facoltà della lavoratrice -come previsto nella transazione – di adire le vie legali per il riconoscimento dei propri diritti, così sancendosi il diritto alla risoluzione della transazione per il caso di inadempimento, ex art. 1976 c.c.), ha accertato che tra le parti si erano svolti -nel periodo giugno 2009-agosto 2015 – numerosi rapporti di lavoro stagionale ( regolarmente denunciati agli Istituti previdenziali), per lo svolgimento di mansioni riconducibili al V livello di cui al CCNL Commercio, con orario giornaliero articolato su due turni alternati come analiticamente indicato in sentenza.
Avverso tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. La società ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 1965 c.c. posto che, dall’esame dell’accordo conciliativo stipulato tra le parti nel febbraio 2017 emerge che si tra ttava di transazione novativa, come si evince dall’espressa definizione ivi contenuta (‘ a titolo tutto di transazione generale novativa’) e dal tenore complessivo del negozio.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ‘ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 5’, violazione e falsa applicazione degli artt. 1456 e 2113 c.c. avendo errato, la Corte territoriale, nel ritenere che il mancato pagamento delle rate (da parte della società) previste nell’accordo di conciliazione abbia comportato la risoluzione dell’accordo stesso. Invero la clausola prevista secondo cui, in caso di mancato pagamento delle rate nei termini stabiliti ‘ la Ditta decadrà dal beneficio del termine ed il lavoratore -trattenuto a titolo di acconto quanto già percepito -potrà agire per il recupero del suo residuo credito in una unica soluzione oppure in alternativa proporre azione giudiziaria per il recupero di tutte quelle somme che con questo atto si sono transatte’ non era una clausola risolutiva espressa sia perché le parti nulla hanno previsto in tal senso sia perché è stata prevista esclusivamente la decadenza dal termine o la possibilità di agire in giudizio per ‘ le somme transatte’.
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto concernono entrambi l’accordo conciliativo sottoscritto dalle parti in data 8.2.2017, sono inammissibili.
Anche volendo tenere in disparte il pur decisivo profilo di difetto di specificità, mancando del tutto sia la trascrizione dell’accordo transattivo di cui si lamenta l’erronea valutazione sia l’indicazione della collocazione nell’ambito degli atti depos itati (e pur sottolineando, il primo motivo, che la natura novativa dell’accordo si desume ‘ dal tenore complessivo dell’accordo stesso’, pag. 16 del ricorso), il ricorrente si limita a contrapporre la propria interpretazione dell’accordo rispetto a quella accolta dai giudici di merito senza invocare la violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e senza specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui la Corte territoriale si sia dagli stessi discostata.
Occorre premettere che l’interpretazione di un atto negoziale è riservata all’esclusiva competenza del giudice del merito (da ultimo Cass. n. 8586 del 2015; in precedenza, ex multis, cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006), con una operazione che si sostanzia in un accertamento di fatto (tra le tante, Cass. n. 9070 del 2013).
Le valutazioni del giudice di merito in ordine all’interpretazione degli atti negoziali soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente ( ex plurimis , Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003).
Inoltre, sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica, sia la denuncia del vizio di motivazione esigono una
specifica indicazione – ossia la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata l’anzidetta violazione e delle ragioni della obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito – non potendo le censure risolversi, in contrasto con l’interpretazione loro attribuita, nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 10131 del 2006; Cass. n. 24539 del 2009; Cass. n. 6125 del 2014; Cass. n. 27136 del 2017).
Orbene, nella specie, oltre a non essere denunciata alcuna violazione delle regole legali dell’interpretazione, al cospetto dell’approdo esegetico cui è pervenuta la Corte distrettuale non sono stati evidenziati da parte ricorrente nemmeno anomalie del ragionamento svolto dal giudice di merito denunciabili ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 54 del decreto -legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis , in quanto il ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione plausibile più favorevole perchè ritiene che l’atto sottoscritto dal lavoratore esprimerebbe una consapevole volontà abdicativa dei diritti poi rivendicati in giudizio.
Ma per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo negoziale non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra. Infatti il ricorso in sede di legittimità -riconducibile, in linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo – laddove censuri
l’interpretazione del negozio accolta dalla sentenza impugnata, non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue (in termini: Cass. n. 18375 del 2006; conforme, più di recente, Cass. n. 12360 del 2014 e n. 8586 del 2015).
10. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 aprile 2025.