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Interposizione illecita di manodopera: onere prova

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un lavoratore che chiedeva di riconoscere un rapporto di lavoro diretto con una società committente, affermando la sussistenza di un’interposizione illecita di manodopera. La Corte ha chiarito che, per configurare tale illecito, è onere del lavoratore dimostrare non solo la prestazione di fatto, ma anche l’esistenza di un rapporto contrattuale (come un appalto) tra il suo datore di lavoro formale e l’impresa utilizzatrice. In assenza di tale prova, la domanda non può essere accolta.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Interposizione Illecita di Manodopera: Senza Prova del Contratto, la Domanda Va Rigettata

L’interposizione illecita di manodopera rappresenta una delle questioni più complesse nel diritto del lavoro, dove la realtà sostanziale del rapporto di lavoro prevale sulla forma contrattuale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per far valere l’esistenza di un rapporto di lavoro diretto con l’azienda utilizzatrice, il lavoratore ha l’onere di provare l’esistenza di un contratto di appalto (o simile) tra il suo datore di lavoro formale e la società che di fatto ha beneficiato della sua prestazione. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Un lavoratore, formalmente assunto da una società di trasporti, ha agito in giudizio sostenendo di aver lavorato in via esclusiva per una grande società di servizi postali. Secondo il suo ricorso, egli svolgeva mansioni di portalettere, consegnando pacchi e telegrammi sotto le direttive e con le attrezzature (motoveicolo, giubbotto con logo, tesserino) della società committente. A suo dire, la società di trasporti era un mero schermo, un datore di lavoro fittizio che si limitava a corrispondergli la retribuzione, mentre la gestione e la direzione del rapporto erano interamente nelle mani della società postale. Chiedeva, quindi, l’accertamento di un’interposizione illecita di manodopera ai sensi della L. n. 1369/1960 e la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato direttamente con la committente.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato le sue domande. In particolare, la Corte territoriale aveva sottolineato un elemento decisivo: non era stata fornita la prova di un contratto di appalto, né formale né sostanziale, tra la società di trasporti e la società postale. Questo, secondo i giudici di merito, era un presupposto fattuale indispensabile per poter parlare di interposizione.

L’Onere della Prova nella Interposizione Illecita di Manodopera

Il lavoratore ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, la violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) e sul principio di non contestazione (art. 115 c.p.c.). Sosteneva che, avendo la società postale ammesso che egli si recava presso i suoi uffici per ritirare il materiale da consegnare, sarebbe stato onere della stessa società dimostrare a quale titolo ciò avveniva (ad esempio, un legittimo contratto di appalto con un’altra ditta).

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto questa tesi, confermando la decisione d’appello. Gli Ermellini hanno chiarito che la fattispecie dell’appalto di mere prestazioni di lavoro, vietato dalla L. 1369/1960, è una fattispecie complessa. Essa richiede la prova di due rapporti distinti:
1. Un rapporto contrattuale tra la società committente (l’utilizzatore, in questo caso la società postale) e la società appaltatrice (l’intermediario, in questo caso la società di trasporti).
2. Un secondo rapporto tra l’intermediario e il lavoratore.

Per ottenere la costituzione del rapporto di lavoro con il committente, il lavoratore ha l’onere di allegare e dimostrare innanzitutto l’esistenza del primo rapporto, quello tra l’asserito intermediario e l’utilizzatore della prestazione. Non è sufficiente provare di aver lavorato nei locali e sotto le direttive del committente; è necessario dimostrare il legame contrattuale che ha reso possibile tale situazione.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto che il ragionamento della Corte d’Appello fosse giuridicamente corretto. La semplice circostanza che il lavoratore si recasse presso gli uffici della società postale non era sufficiente a invertire l’onere della prova. Era compito del lavoratore, che agiva in giudizio per far valere un suo diritto, fornire la prova del presupposto della sua domanda, ovvero l’esistenza di un contratto illecito tra le due società.

Inoltre, la Corte ha dichiarato inammissibile un altro motivo di ricorso con cui il lavoratore tentava di inquadrare la vicenda nella diversa fattispecie della somministrazione irregolare di lavoro (disciplinata dal D.Lgs. 276/2003). La Cassazione ha ricordato che i motivi di ricorso devono riguardare questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di merito. Introdurre per la prima volta in sede di legittimità una nuova qualificazione giuridica dei fatti costituisce una questione nuova, come tale inammissibile.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito per i lavoratori e i loro legali. Nelle cause di interposizione illecita di manodopera, la strategia processuale non può limitarsi a dimostrare l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione dell’azienda utilizzatrice. È fondamentale e pregiudiziale provare il fondamento contrattuale dell’operazione, ossia il contratto di appalto o di altra natura intercorso tra il datore di lavoro formale e quello effettivo. Senza questa prova, anche di fronte a indizi di una subordinazione di fatto, la domanda rischia di essere respinta per il mancato assolvimento dell’onere probatorio che grava sull’attore.

Cosa deve provare un lavoratore in una causa per interposizione illecita di manodopera?
Secondo la Corte di Cassazione, il lavoratore ha l’onere di allegare e dimostrare l’esistenza di un rapporto contrattuale (come un appalto di servizi) tra il suo datore di lavoro formale (l’impresa interposta) e l’azienda che ha effettivamente utilizzato la sua prestazione lavorativa (l’impresa interponente).

È sufficiente dimostrare di aver lavorato sotto le direttive dell’azienda committente per vincere la causa?
No, non è sufficiente. La dimostrazione di essere stati diretti e controllati dall’azienda committente è un elemento importante, ma non basta se non si prova il presupposto fondamentale, cioè l’esistenza del contratto tra le due società che ha dato origine all’intermediazione.

Si può cambiare la qualificazione giuridica dei fatti per la prima volta in Cassazione?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che non è possibile prospettare per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o temi di contestazione non trattati nella fase di merito. Ad esempio, non si può basare l’appello su una presunta interposizione illecita e poi, in Cassazione, sostenere che si trattava di somministrazione irregolare di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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