Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14629 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14629 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 7345-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 2567/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 21/08/2018 R.G.N. 6424/2013;
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/02/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Napoli, nella contumacia della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rigettava l’appello proposto da COGNOME NOME contro la sentenza del Tribunale della medesima sede, che pure aveva respinto le sue domande, volte a sentir accertare che intercorreva un appalto di mere prestazioni di lavoro, in violazione dell’art. 1 L. n. 1369/1960, tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE; dichiarare che il rapporto di lavoro subordinato del ricorrente doveva intendersi costituito direttamente ed a tempo indeterminato con RAGIONE_SOCIALE; condannare la medesima società alla ricostruzione della posizione lavorativa dell’attore ed al pagamento delle differenze retributive come quantificate in ricorso, con interessi legali e rivalutazione e con vittoria di spese del giudizio.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva che il lavoratore, nella esposizione in fatto del ricorso di primo grado, aveva dedotto di aver lavorato dal 7.1.2003 al 25.5.2005 per conto della RAGIONE_SOCIALE in qualità di fattorino ed in forza di due contratti -il primo a termine ed il secondo a progetto -che anche nelle fasi di intervallo formale avevano avuto in concreto continuità di esecuzione con medesime modalità; aveva allegato di avere in realtà svolto mansioni di addetto alla consegna di lettere, merci e pacchi sotto le direttive e con le attrezzature della convenuta RAGIONE_SOCIALE, svolgendo tale attività secondo piani di lavoro predisposti dai superiori gerarchici di RAGIONE_SOCIALE; aveva dedotto, ancora, di aver
provveduto alla consegna dei telegrammi e dei pacchi indossando quale abito di lavoro il giubbotto con la scritta ‘RAGIONE_SOCIALE‘, utilizzando un motoveicolo e disponendo di un tesserino, e di essere stato regolarmente presente presso gli uffici di RAGIONE_SOCIALE per il prelievo del materiale e delle distinte di consegna, avendo a disposizione una postazione informatica, affermando, altresì, che anche i compiti di gestione amministrativa del rapporto non erano più svolti da RAGIONE_SOCIALE (che corrispondeva solo la retribuzione), atteso che anche ad esempio RAGIONE_SOCIALE aveva provveduto a versare al ricorrente in data 8.7.2005 gli assegni per il nucleo familiare (come da documento contabile agli atti di parte ricorrente).
2.1. Dopo aver dato conto anche della posizione assunta in giudizio da RAGIONE_SOCIALE (essendo rimasta contumace già in prime cure l’altra società convenuta) e del motivo di gravame articolato dal lavoratore appellante, la Corte di merito esponeva i princi pi relativi all’accertamento dell’interposizione fittizia di manodopera e riteneva che nel caso di specie difettava già l’elemento preliminare, a riguardo, cioè l’antecedente fattuale che dovrebbe costituire invece il presupposto della tesi dell’appellante , non essendoci alcun appalto né formale né sostanziale tra RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE
2.2. Considerava, inoltre, che gli elementi documentali introdotti dalla difesa del COGNOME, il quale nell’atto di gravame ne aveva denunciato l’inadeguata valutazione, erano stati invece analiticamente considerati dal Tribunale che aveva raggiunto esiti interpretativi del tutto condivisibili, come poi illustrato; e che neppure le risultanze dell’istruttoria orale
assunta, parimenti riesaminate, avevano fornito alcuna conferma alla tesi del lavoratore.
2.3. Concludeva, in definitiva, che nella vicenda di cui è causa non era stata acquisita la prova dello sdoppiamento delle funzioni datoriali (cioè gestione amministrativa del rapporto affidata all’appaltatrice e direzione tecnica alle RAGIONE_SOCIALE), che si realizza in tutte le ipotesi di intermediazione, in cui da una parte c’è il soggetto che retribuisce e correlativamente sopporta gli oneri previdenziali ed assistenziali (se non è un imprenditore ‘al nero’) e che in misura più o meno accentuata a seconda delle fattispecie concrete -dispone direttamente dei turni e delle ferie e/o malattia, dall’altra, vi è il soggetto a favore del quale viene erogata la prestazione, che la dirige e la controlla dal punto di vista tecnico, e che impartisce le istruzioni ai lavoratori.
Avverso tale decisione, COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Ha resistito RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con controricorso, mentre la RAGIONE_SOCIALE è rimasta mera intimata.
La controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un primo, articolato, motivo, il ricorrente ex art. 360 n. 3 c.p.c. denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., degli artt. 20 -28 e 29 del D.lgs. n. 276/2003 e dell’art. 2094 c.c. anche in r elazione agli artt. 2727 e 2729 c.c.’.
1.2. In particolare, premessa praticamente l’intera parte motiva dell’impugnata sentenza, deduce che la sentenza
gravata è viziata in primis per violazione dell’art. 115 c.p.c. circa il principio di non contestazione (ma anche per violazione dell’art. 116 c.p.c.), perché RAGIONE_SOCIALE, nel costituirsi in primo grado, non aveva mai contestato che il ricorrente avesse svolto l’attività dedotta nel ricorso introduttivo per tutto il periodo ivi indicato, ed anzi aveva espressamente riconosciuto che egli si recava presso gli uffici della medesima per ritirare i telegrammi postali da consegnare. Secondo il ricorrente, in tale situazione era onere di RAGIONE_SOCIALE -al fine di confutare la sua pretesa di veder imputato alla medesima il rapporto di lavoro -dedurre, allegare e provare a che titolo lo stesso avesse svolto la prestazione lavorativa di recapito dei telegrammi postali, sicché era violato anche l’art. 2697 c.c. Per il ricorrente, la sentenza gravata era viziata e censurabile pure per la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. perché la Corte territoriale avrebbe dovuto presumere, dalla mancata prova dell’esistenza di un diverso rapporto contrattuale che giustificasse lo svolgimento dell’attività di portalettere da parte del lavoratore, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra quest’ultimo e RAGIONE_SOCIALE anche considerando che costituisce fatto notorio, e quindi valutabile e x art. 115 che l’attività di consegna della posta è svolta giammai da lavoratori autonomi, ma unicamente da lavoratori dipendenti o di RAGIONE_SOCIALE o di altra società alla quale quest’ultima ha affidato in appalto il servizio.
1.3. Inoltre, errata in punto di diritto era la sentenza gravata nella parte in cui aveva ritenuto che in assenza di prova dell’esistenza di un contratto di appalto o di subappalto non fosse configurabile un’interposizione fittizia di manodopera (si legge nella sentenza d’appello che ‘ la struttura dell’interposizione fittizia non ricorre non essendovi alcun
appalto tra le parti né formale né sostanziale ‘) e che l’esistenza di un eventuale contratto di subappalto tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE sarebbe ‘ non dirimente ‘ ai fini della decisione.
1.4. Ancora, la sentenza gravata era errata per non aver accolto -a fronte del quadro emergente dai fatti non contestati e/o non provati da RAGIONE_SOCIALE come in precedenza evidenziati -la domanda del ricorrente, anche sotto il profilo della violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., perché la Corte territoriale non aveva verificato se i fatti allegati dall’attore fossero sufficienti a ritenere costituito un rapporto di lavoro subordinato con RAGIONE_SOCIALE, vertendosi peraltro in un’ipotesi non dissimile -proprio per l’assenza di un contratto che costituisca la fonte negoziale del rapporto -a quella di un lavoratore che presti la sua attività in assenza di un formale contratto di lavoro.
1.5. Infine, il ricorrente ritiene errata la parte finale della motivazione dell’impugnata sentenza atteso che per quanto in precedenza argomentato -l’eventualità che non fosse emerso uno sdoppiamento delle funzioni datoriali non appariva dirimente ai fini della decisione dovendo essere vagliata la fondatezza della domanda di declaratoria di costituzione di un rapporto di lavoro con RAGIONE_SOCIALE, anche a prescindere dall’applicabilità nel caso di specie della disciplina in tema di interposizione di manodopera.
Con un secondo motivo denuncia ex art. 360 n. 4 c.p.c. la ‘violazione dell’art. 115 c.p.c.’. Deduce che la sentenza gravata è inoltre viziata nella parte in cui ha ritenuto che: ‘… i contratti depositati sono conclusi entrambi tra il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE Traporti, senza riferimenti a RAGIONE_SOCIALE, neanche indiretti come destinataria della prestazione di servizio’. Sostiene,
quindi, che detti contratti indicano espressamente RAGIONE_SOCIALE come destinataria della prestazione lavorativa.
Il primo motivo non è meritevole di accoglimento in tutte le sue pur distinte articolazioni, sopra riassunte.
3.1. Quanto al primo punto di censura, la Corte di merito aveva osservato che ‘la società RAGIONE_SOCIALE che nel resistere al ricorso aveva contestato con eccezioni puntuali in fatto ed altresì argomentazioni in diritto la tesi dell’interposizione fittizia ha allegato documentazione da cui risulta che essa non aveva affidato in appalto alla RAGIONE_SOCIALE le prestazioni funzionali e complementari alla consegna dei prodotti postali, riferendo di avere affidato l’appalto alla RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva probabilmente a sua volta affidato in subappalto una quota dei servizi alla RAGIONE_SOCIALE‘; ed aveva ritenuto che ‘RAGIONE_SOCIALE ha dedotto specificamente di non aver concluso alcun contratto di appalto con RAGIONE_SOCIALE, precisando che al l’epoca di cui al giudizio aveva affidato in appalto ad altra e diversa società, la RAGIONE_SOCIALE, la consegna dei telegrammi e di materiale postale. L’ipotesi dell’esistenza di un subappalto concluso tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE si arresta al rango di fatto non allegato dal COGNOME -neppure all’esito delle difese specifiche svolte sul punto da RAGIONE_SOCIALE -, comunque non direttamente dimostrato e peraltro non dirimente’.
Nell’ambito, poi, del più ampio riesame dei documenti introdotti dal lavoratore, aveva osservato che il documento, costituito da un tesserino identificativo prodotto da quest’ultimo, aveva considerato che: ‘L’analisi del documento conduce a ritenere che il corriere lavori per RAGIONE_SOCIALE, società che a sua volta si occupa del recapito su incarico di RAGIONE_SOCIALE. Nessun
rapporto diretto tra il lavoratore e la società poste può farsi discendere dall’esame del tesserino’ (cfr. in extenso pag. 5 della decisione gravata).
3.2. Ebbene, premesso che per la Corte territoriale le domande dell’attore erano fondate sull’art. 1 L. n. 1369/1960 (cfr. pag. 2 della sua sentenza), secondo questa Corte di legittimità, l’appalto di mere prestazioni di lavoro, vietato ai sensi dell’art. 1 l. 23 ottobre 1960, n. 1369, costituisce una fattispecie complessa caratterizzata dalla presenza di un primo rapporto fra colui che conferisce l’incarico e usufruisce in concreto delle prestazioni del lavoratore (appaltante, committente o interponente) e colui che riceve l’incarico e retribuisce il lavoratore (appaltatore, intermediario o interposto) e di un secondo rapporto fra l’intermediario ed il lavoratore; pertanto quest’ultimo per poter venire dichiarato dipendente del committente, ai sensi dell’ul timo comma del menzionato art. 1 legge n. 1369, ha l’onere di allegare e dimostrare innanzitutto l’esistenza del rapporto fra questi e l’asserito intermediario, e inoltre, alla stregua della presunzione assoluta stabilita dalla legge (impiego da parte dell ‘appaltatore di capitali, macchine o attrezzature fornite dall’appaltante) o in base alle normali regole di prova, che l’intermediario è un imprenditore solo apparente, restando escluso che al fine sopraindicato possa prescindersi da entrambe le menzionate allegazioni e prove, dando solo la (pur necessaria) dimostrazione che l’asserito interposto ha messo a disposizione dell’interponente le energie del lavoratore medesimo (così Cass., sez. lav., 7.10.2000, n. 13388; id., sez. lav., 13.7.1998, n. 6860; id., 16.4.1996, n. 3560).
3.3. Pertanto, la decisione gravata è conforme a tali principi laddove ha reputato dirimente il dato che non fosse provato
alcun appalto tra la RAGIONE_SOCIALE, ossia, secondo l’impostazione dell’attore, l’ipotetica impresa interposta, e RAGIONE_SOCIALE, sempre secondo tale prospettazione, committente e interponente.
3.4. Dunque, i fatti che il ricorrente assume non essere stati contestati, ed anzi riconosciuti espressamente da RAGIONE_SOCIALE, neanche propriamente si riferiscono alla dimostrazione che l’asserita interposta aveva messo a disposizione della supposta interponente le energie lavorative del lavoratore; bensì attengono al solo dato che quest’ultimo ‘si recava presso gli uffici della medesima per ritirare i telegrammi postali da consegnare’.
3.5. E, per ulteriore conseguenza, il ribaltamento dell’onere della prova (a carico di RAGIONE_SOCIALE) che, sulla base della suddetta tesi, profila ora il ricorrente per cassazione è privo di fondamento giuridico.
3.6. In definitiva, alcuna violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. come dell’art. 2697 c.c. circa l’onere della prova è riscontrabile nell’impugnata sentenza.
3.7. Quanto, poi, al preteso mancato ricorso da parte dei giudici di secondo grado ad un ragionamento presuntivo, che il ricorrente genericamente deduce alla fine di questo primo punto di censura, occorre ricordare che, secondo un consolidato indirizzo di legittimità, spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico, verificare la loro rispondenza ai requisiti di legge, e apprezzare in concret o l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale,
accertandone la pregnanza conclusiva, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (così, tra le altre, Cass., sez. I, 26.4.2023, n. 10908).
Peraltro, nel caso in esame, il ricorrente non deduce di aver invocato, in grado d’appello, la possibilità di ricorrere nella specie a presunzioni semplici.
Inammissibile è il secondo punto di censura.
4.1. Esso, infatti, si fonda sull’assunto che, una volta esclusa da parte della Corte di merito la prova di un appalto intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE e anche di un subappalto tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, la vicenda non potrebbe che essere inquadrata nell”ambito della somministrazione di lavoro, ma avvenuta però senza l’osservanza della disciplina legale in materia di cui agli artt. 20 e ss. d.lgs. n. 276/2003 (cfr. in extenso pagg. 18-21 del ricorso in esame).
4.2. Ebbene, per costante orientamento di legittimità, i motivi di ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (in tal senso, ex plurimis , Cass., sez. I, 2.9.2021, n. 23792).
4.3. Ora, come già notato, secondo la Corte di merito, le domande dell’appellante si basavano sulla prospettazione di un’interposizione illegittima di manodopera ex art. 1 L. n.
1369/1960 (legge, quest’ultima, poi abrogata dall’art. 85, comma 1, lett. c), d.lgs. 10.9.2003, n. 276).
E tanto in base all’assunto in fatto e in diritto di un rapporto lavorativo, senza effettive soluzioni di continuità, iniziatosi il 7.1.2003, prim’ancora quindi della pubblicazione del cit. d.lgs. n. 276/2003.
4.4. In ogni caso, la questione della sussunzione del caso, magari in via subordinata, nella disciplina sopravvenuta di cui agli artt. 20 e ss. d.lgs. n. 276/2003, non emerge sia stata devoluta dall’appellante alla Corte territoriale, né comunque è stata t rattata da quest’ultima, risultando perciò essere una questione del tutto nuova in questa sede di legittimità.
Privi di fondamento, infine, sono gli ultimi due punti di censura in cui si articola il primo motivo di ricorso.
5.1. Non è chiarito, anzitutto, dallo stesso ricorrente quale fondamento giuridico i giudici di merito del secondo grado, in base al principio iura novit curia , avrebbero dovuto intravedere nei fatti dedotti in giudizio dall’attore, in ipotesi in via alternativa rispetto a quella di cui s’è detto.
5.2. In ogni caso, i giudici di merito del doppio grado di merito non potevano esaminare d’ufficio e direttamente l’ipotesi che le prestazioni lavorative rese dall’istante vedessero quale datrice di lavoro effettiva RAGIONE_SOCIALE, superando una prospettaz ione in fatto e in diritto dello stesso che s’incentrava su un’interposizione fittizia di manodopera, che, sempre secondo il lavoratore, comportava, tra l’altro, che ‘anche i compiti di gestione amministrativa del rapporto non erano più
svolti da RAGIONE_SOCIALE (che corrispondeva solo la retribuzione)’ (cfr. pag. 3 dell’impugnata sentenza).
Peraltro, anche in questo caso non risulta che tale differente impostazione fosse stata profilata alla Corte d’appello, investita di un motivo di gravame solamente ‘sulla ritenuta erronea valutazione della prova orale e sulla presunta insufficiente valorizzazione degli elementi documentali pure versati in atti’ (cfr. pag. 2 della stessa sentenza).
E’ privo di fondamento anche il secondo motivo.
6.1. Secondo il ricorrente, sarebbe evidente ‘una errata percezione delle produzioni documentali del ricorrente, che ha comportato una motivazione della decisione impugnata non aderente al contenuto dei documenti esaminati, con conseguente nullità della se ntenza’.
6.2. Osserva in contrario il Collegio che la Corte territoriale ha formato il suo convincimento, in primo luogo, ponendo in risalto, come già detto, il difetto di un contratto d’appalto, anche non scritto, tra la datrice formale del lavoratore RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ma anche su altre emergenze documentali, diverse dai contratti di lavoro cui si riferisce il ricorrente, e sul riesame dell’istruttoria orale (cfr. pagg. 5 -7 della sua sentenza).
E il ricorrente non deduce la decisività dell’errore di percezione attribuito all’impugnata sentenza con esclusivo riferimento ai contratti depositati, conclusi tra il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della
contro
ricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
Nulla dev’essere disposto quanto alle spese tra il ricorrente e l’altra società rimasta mera intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 7.2.2024.