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Interposizione di manodopera: obbligo retributivo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31612/2024, ha rigettato il ricorso di una società informatica, confermando la sua condanna al pagamento delle retribuzioni in favore di un gruppo di lavoratrici. Il caso riguardava una presunta interposizione di manodopera illecita. La Corte ha ribadito due principi fondamentali: le somme dovute ai lavoratori hanno natura retributiva e non risarcitoria, e l’obbligo di pagamento decorre dalla messa in mora, che può essere validamente contenuta nell’atto introduttivo del giudizio, senza dover attendere la pronuncia del giudice.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Interposizione di Manodopera: La Cassazione Conferma l’Obbligo Retributivo del Committente

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 31612 del 2024, torna a fare chiarezza su un tema cruciale del diritto del lavoro: le conseguenze della interposizione di manodopera illecita. La Suprema Corte ha confermato la condanna di una grande società committente al pagamento delle retribuzioni in favore di un gruppo di lavoratrici, stabilendo principi chiave sulla natura di tali somme e sul momento in cui sorge l’obbligo di pagamento. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale a forte tutela dei lavoratori.

I Fatti del Caso: Un Appalto Illecito

La vicenda giudiziaria ha origine dalla domanda di un gruppo di lavoratrici che, sebbene formalmente assunte da una società appaltatrice, di fatto prestavano la loro attività lavorativa in modo continuativo ed esclusivo per una grande società committente del settore informatico. Le lavoratrici hanno agito in giudizio per ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro diretto con la società committente, a causa della natura fittizia dell’appalto, e la conseguente condanna al pagamento delle retribuzioni.
La Corte di Appello aveva dato loro ragione, condannando la società committente al pagamento delle somme dovute. L’azienda ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando due aspetti principali: la natura delle somme (a suo dire risarcitoria e non retributiva) e la decorrenza dell’obbligo di pagamento.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla interposizione di manodopera

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso della società, confermando la sentenza d’appello. I giudici hanno ritenuto infondati entrambi i motivi di ricorso, allineandosi a un consolidato orientamento giurisprudenziale che tutela la posizione del lavoratore in casi di somministrazione irregolare e appalti non genuini.

Le Motivazioni: Natura Retributiva e Messa in Mora

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su due pilastri argomentativi fondamentali, che meritano un’analisi approfondita.

La Natura Retributiva delle Somme Dovute

Il primo punto contestato dall’azienda riguardava la qualificazione giuridica delle somme richieste dalle lavoratrici. Secondo la società, si sarebbe trattato di un risarcimento del danno e non di retribuzione, con importanti conseguenze sul calcolo e sulla prescrizione. La Cassazione ha respinto questa tesi, ribadendo un principio ormai consolidato, anche a seguito di un intervento delle Sezioni Unite (sentenza n. 2990/2018) e della Corte Costituzionale (sentenza n. 29/2019). Le somme dovute dal datore di lavoro effettivo (il committente) a seguito dell’accertamento di un’interposizione di manodopera illecita hanno natura retributiva. Esse costituiscono il corrispettivo per le energie lavorative che il dipendente ha messo a disposizione del datore di lavoro, anche se quest’ultimo le ha illegittimamente rifiutate.

La Validità della Messa in Mora Iniziale

Il secondo motivo di ricorso si concentrava sul momento da cui far decorrere l’obbligo di pagamento. L’azienda sosteneva che tale obbligo potesse sorgere solo dopo una specifica messa in mora successiva alla sentenza del giudice che accertava l’illegittimità dell’appalto. Anche su questo punto, la Cassazione ha dato torto all’azienda. La Corte ha chiarito che l’obbligo retributivo decorre dalla cosiddetta messa in mora, ovvero dal momento in cui il lavoratore offre formalmente la propria prestazione al datore di lavoro effettivo. Questo atto non deve necessariamente seguire la sentenza: la nullità dell’interposizione e la messa in mora sono elementi costitutivi dell’obbligo, ma non devono avvenire in una sequenza temporale rigida. Pertanto, è stata ritenuta pienamente valida la messa in mora contenuta già nell’atto introduttivo del giudizio. Il lavoratore non deve attendere l’esito della causa per far valere il proprio diritto alla retribuzione.

Le Conclusioni: Implicazioni per le Aziende

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma della linea di tutela adottata dalla giurisprudenza nei confronti dei lavoratori coinvolti in appalti non genuini. Per le aziende committenti, le implicazioni sono chiare: il rischio di essere considerate datori di lavoro effettivi è concreto e le conseguenze economiche possono essere significative. La decisione sottolinea che tentare di qualificare le somme dovute come risarcimento del danno è una strategia destinata al fallimento. Inoltre, l’obbligo di pagamento sorge non appena il lavoratore si mette a disposizione, rendendo inutile qualsiasi tattica dilatoria basata sull’attesa della sentenza definitiva. Le imprese devono quindi prestare la massima attenzione nella gestione dei contratti di appalto, assicurandosi che siano genuini e che non nascondano una vera e propria somministrazione di personale, per evitare di incorrere in queste pesanti responsabilità.

Le somme dovute al lavoratore in caso di interposizione di manodopera illecita sono considerate stipendio o risarcimento del danno?
Secondo la Corte di Cassazione, tali somme hanno natura retributiva, in quanto rappresentano il corrispettivo delle energie lavorative messe a disposizione dal lavoratore, anche se non utilizzate dal datore di lavoro.

Da quale momento il datore di lavoro effettivo deve iniziare a pagare lo stipendio al lavoratore?
L’obbligo di pagamento decorre dalla cosiddetta ‘messa in mora’, cioè dal momento in cui il lavoratore offre formalmente la propria prestazione lavorativa al datore di lavoro effettivo (il committente).

È necessario attendere la sentenza del giudice per mettere in mora il datore di lavoro e far scattare l’obbligo di pagamento?
No. La Corte ha chiarito che la messa in mora non deve essere necessariamente successiva alla pronuncia del giudice. È considerata valida anche la messa in mora contenuta nell’atto introduttivo del giudizio, con cui si avvia la causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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