Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2738 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2738 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME del foro di Roma -ricorrente-
Contro
COGNOME rappresentato e difeso da ll’Avv. COGNOME, del foro di Roma
Prof. NOME
-controricorrente –
Nonchè
ALGERI RAGIONE_SOCIALE, ALGERI RAGIONE_SOCIALE
-intimate-
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 392/2020, depositata il 20.1.2020, non notificata.
Oggetto: Intermediazione finanziaria Obbligazioni Lehman Brothers
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con atto di citazione notificato a mezzo posta in data 23 novembre 2010 i Sig.ri COGNOME hanno convenuto RAGIONE_SOCIALE avanti il Tribunale di Roma per sentire dichiarare:
in via principale la declaratoria di nullità, annullamento, invalidità o comunque inopponibilità agli attori di diverse operazioni di acquisto di obbligazioni Lehman Brothers per difetto di forma scritta del contratto quadro e dell’ordine di acquisto, nonché per violazione da parte della Banca della normativa di riferimento in materia di intermediazione finanziaria, con conseguente obbligo per la convenuta di restituire ai clienti il capitale investito, oltre interessi e rivalutazione;
in via subordinata, l’accertamento degli inadempimenti di RAGIONE_SOCIALE agli obblighi derivanti dalla normativa di riferimento in materia di intermediazione finanziaria, con conseguente risoluzione del contratto quadro e/o delle operazioni e condanna della convenuta alla restituzione ai clienti del capitale investito, oltre interessi e rivalutazione;
in via ulteriormente subordinata, la condanna della Banca al risarcimento dei danni patrimoniali lamentati dagli attori a titolo di responsabilità contrattuale, precontrattuale ed extracontrattuale.
─ Il tribunale di Roma con sentenza n. 25350/2013 rigettava le domande di nullità, annullamento e risoluzione proposte e accoglieva le domande di risarcimento dei danni inerenti l’acquisto dei titoli Lehman Brothers, disponendo la restituzione dei titoli dei predetti titoli alla Banca.
3 .─ RAGIONE_SOCIALE proponeva gravame dinanzi alla Corte di appello di Roma.
Con la sentenza qui impugnata la Corte adita ha accolto parzialmente l’appello e in riforma della sentenza appellata ha
disposto la detrazione dal risarcimento del danno liquidato in I grado dei rimborsi ottenuti dalla procedura Chapter 11.
Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha precisato che:
l’acquisto delle obbligazioni in oggetto era stato effettuato su un mercato non regolamentato, non perché effettuato sulla borsa di Lussemburgo, ma perché effettuato in contropartita diretta; invero, la negoziazione di valori mobiliari avviene fuori dal mercato regolamentato allorché la banca compia l’operazione in conto proprio o in contropartita diretta, trasferendo al cliente o acquistando i titoli oggetto dell’ordine, assumendo così la figura di controparte contrattuale, esulante dalla fattispecie del mandato;
sarebbe stato onere della banca (essa stessa nell’atto di appello aveva riconosciuto che l’acquisto in contropartita diretta costituiva operazione su mercato non regolamentato) provare la sussistenza di quelle modalità comportamentali che l’autorizzavano ad eseguire acquisti di valori mobiliari; viceversa dalla documentazione acquisita non si rilevavano né l’esplicita autorizzazione all’acquisto dei valori né il miglior prezzo per il cliente legittimante una siffatta negoziazione; la mancanza di tale secondo elemento, anche ad interpretare la dicitura « ordine in contropartita diretta » come autorizzazione ed esplicitazione di acquisto su mercato non regolamentato -che comunque la stessa appellante indicava come non effettuato, non occorrendo a suo dire alcuna previa autorizzazione -rendeva la ipotizzata autorizzazione data in un contesto informativo del tutto carente ed in violazione dei precisi obblighi di cui al regolamento Consob applicabile;
la banca non aveva offerto allegazione idonea sull’adempimento degli obblighi comportamentali previsti e la prova testimoniale era comunque insufficiente;
in tema di distribuzione dell’onere della prova nei giudizi relativi a contratti d’intermediazione finanziaria, alla stregua del sistema normativa delineato dagli artt. 21 e 23 d.lgs. n. 58/1998
(T.U.F.) e dal Reg. Consob n. 11522 del 1998, la mancata prestazione delle informazioni dovute ai clienti da parte della banca intermediaria ingenera una presunzione di riconducibilità alla stessa dell’operazione finanziaria, dal momento che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario, costituisce di per sé un fattore di disorientamento dell’investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento; tale condotta omissiva, pertanto, è normalmente idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall’investitore, il che, tuttavia, non esclude la possibilità di una prova contraria da parte dell’intermediario circa la sussistenza di sopravvenienze che risultino atte a deviare il corso della catena causale derivante dall’asimmetria informativa;
la colpa grave è equiparata al dolo ed una condotta non conforme a precisi obblighi gravanti sull’intermediario bancario non può che qualificarsi grave; in tema di risarcimento del danno da inadempimento, l’imprevedibilità, alla quale fa riferimento l’art. 1225 c.c., costituisce un limite non all’esistenza del danno, ma alla misura del suo ammontare, determinando la limitazione del danno risarcibile a quello prevedibile non da parte dell’investitore, bensì avendo riguardo alla prevedibilità astratta rapportata ad una determinata categoria di rapporti, secondo un criterio di normalità in presenza delle circostanze di fatto conosciute;
dalle somme riconosciute dal tribunale andavano detratti anche i rimborsi ottenuti dagli appellanti nella procedura Chapter 11 da scomputare dal capitale così come effettuato in primo grado per la detrazione delle cedole e, non oggetto di esplicito motivo di impugnazione.
─ RAGIONE_SOCIALE ha presentato ricorso per cassazione con quattro motivi ed anche memoria.
NOME ha presentato controricorso ed anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
5. ─ Con il primo motivo: Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. degli artt. 21 e 25 TUF e degli artt. 6, 7 e 8 regolamento Consob 23.12.1998, n. 11768. Alle operazioni di cui è causa, si sostiene, non è applicabile l’art. 8 del Regolamento Consob menzionato, che prevede la necessità dell’autorizzazione del cliente per l’esecuzione di operazioni fuori mercato. Tali regolamentazioni ai sensi dell’art. 25 TUF riguardano soltanto gli strumenti finanziari trattati nei mercati regolamentati italiani. Stesse argomentazioni e conclusioni sono configurabili anche per quanto previsto dall’art. 8 dello stesso Regolamento Mercati. I clienti erano consapevoli che le operazioni avvenivano in contropartita diretta e quindi fuori mercato acquisti.
5.1 ─ La censura è infondata.
L’art. 8 del Regolamento Consob n. 11768/1998, nel testo applicabile quoad tempus , stabiliva che « le negoziazioni possono essere eseguite o fatte eseguire dagli intermediari autorizzati al di fuori dei mercati regolamentati a condizione che il cliente abbia preventivamente autorizzato l’intermediario ad eseguire siffatto tipo di negoziazioni e che l’es ecuzione delle negoziazioni consenta di realizzare un migliore prezzo per il cliente ».
La scaturigine di detto regolamento era costituita dal l’art. 25, comma 2, Tuf, il quale, nel testo applicabile ratione temporis , stabiliva che « la Consob può disciplinare con regolamento le ipotesi in cui la negoziazione degli strumenti finanziari trattati nei mercati regolamentati italiani deve essere eseguita nei mercati regolamentati… ».
In proposito, la tesi della ricorrente si riassume in ciò, che la locuzione « strumenti finanziari trattati nei mercati regolamentati italiani » non potrebbe essere riferita ai titoli Lehman Brothers
oggetto del contendere, trattandosi di titoli emessi in Lussemburgo: ma siffatta affermazione è errata.
Si può sinteticamente osservare, a tal riguardo, che il c.d. obbligo generale di concentrazione (l’obbligo cioè di trattare i titoli presso mercati regolamentati) risale alla legge n. 1 del 1991. La previsione perseguiva lo scopo di garantire un elevato livello di trasparenza ed una maggiore attendibilità delle quotazioni: difatti, la concentrazione sui mercati regolamentati della massima quota della domanda e dell’offerta di un determinato strumento finanziario produce l’effetto di rendere maggiormente affidabile la determinazione del suo valore di mercato e le sue quotazioni. Detto obbligo, prima soppresso e poi reintrodotto dalla Consob, ha come si diceva trovato la sua base nell’art. 25 citato, con previsione, per un verso, della esclusione dell’obbligo di concentrazione in presenza di una preventiva autorizzazione del cliente all’intermediario ad operare « fuori borsa », oppure nel caso in cui l’esecuzione delle negoziazioni fuori dai mercati regolamentati consentisse di realizzare un miglior prezzo per il cliente, c.d. principio della best execution ; per altro verso, l’obbligo di concentrazione non si applicava in presenza di particolari tipologie di ordini (perché provenienti da investitori non residenti o non aventi sede in Italia), ovvero in ragione della natura dello strumento finanziario trattato, o, infine, in relazione al quantitativo oggetto della negoziazione.
Orbene, la tesi della ricorrente secondo cui la già ricordata locuzione, « strumenti finanziari trattati nei mercati regolamentati italiani », non potrebbe essere riferita a titoli emessi in Lussemburgo, è totalmente priva di base normativa, sol che si consideri che la disposizione ha da essere interpretato in conformità alla previsione dell’articolo 12 delle preleggi, secondo cui, nell’applicare la legge , non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole.
È dunque agevole evidenziare che il vocabolo « trattati », riferito agli strumenti finanziari, non ha affatto il significato di « emessi » in Italia, quanto, piuttosto, quello di « negoziati » in Italia. Il che trova poi conferma nella circostanza che la previsione normativa costituisce indiretta filiazione della Direttiva 93/22/CEE del 10 maggio 1993, da cui ha tratto origine presso di noi il c.d. decreto Eurosim, Direttiva ove era stabilito, all’art. 14, § 3, che: « Uno Stato membro può richiedere che le transazioni relative ai servizi di cui al paragrafo 1 siano eseguite su un mercato regolamentato se soddisfano globalmente i requisiti seguenti: … la transazione verte su uno strumento negoziato su un mercato regolamentato di detto Stato membro », formulazione che non sembra affatto fare riferimento alla giurisdizione di emissione del titolo, ma, come si premetteva, al mercato su cui esso è negoziato. Del resto sarebbe arduo comprendere per quale ragione il titolo emesso in Italia (fatte salve le eccezioni) avrebbe dovuto essere illo tempore negoziato di necessità nel mercato regolamentato, in vista del conseguimento di uno scopo di trasparenza e attendibilità delle quotazioni, e quello pur sempre negoziato in Italia, ma emesso in Lussemburgo, no. Difatti, l’unico precedente che si rinviene nella materia, Cass. 24 febbraio 2016, n. 3623, concerne proprio titoli, Warrant Citybank 1750, quotati alla Borsa di Lussemburgo.
6. -Con il secondo motivo: Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. de ll’ art. 23, comma 6, TUF e degli artt. 1218 e 2697 c.c. laddove è stata ritenuta la sussistenza in re ipsa del nesso causale tra inadempimento e danno. Motivo spiegato in subordine.
6.1 -La censura è inammissibile.
Questa Corte ha statuito innanzitutto che grava sul cliente investitore l’onere della prova del nesso di causalità tra
l’inadempimento ed il danno: e tuttavia dalla funzione sistematica assegnata all’obbligo informativo gravante sull’intermediario finanziario, preordinato al riequilibrio dell’asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario (Cass. n. 33596/2021; Cass., n.35776/2023).
Dunque l’inammissibilità discende dall’applicazione dell’articolo 360 bis, numero 1, c.p.c.
7. ─ Con il terzo motivo: Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. dell’art. 116, comma 1, c.p.c. e dell’art. 1176 c.c. in punto di valutazione del grado di colpa ascritto alla banca. La corte non ha svolto alcuna valutazione effettiva sulla gravità o meno della colpa della Banca.
7.1 ─ La censura è inammissibile.
La Corte territoriale ha ritenuto che l’intermediario non potesse trasferire i titoli in questione in contropartita diretta non essendo stata rispettata la previsione normativa concernente: a) l’autorizzazione; b) la realizzazione del migliore prezzo per i l cliente.
La verifica del parametro di diligenza non ha nulla a che vedere con la ratio decidendi posta dal giudice di merito a fondamento della decisione.
Ciò detto, la ravvisata mancata aderenza dei motivi di ricorso al decisum destina gli stessi alla statuizione di inammissibilità (Cass. 3 luglio 2020, n. 13735; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910).
8.─ Con il quarto motivo: Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. dell’art. 1225 c.c. in punto di assimilazione della colpa grave al dolo.
8.1 ─ La censura non coglie la complessiva ratio decidendi della sentenza impugnata ed è versata in merito.
La C orte d’appello ha difatti applicato il principio secondo cui in tema di risarcimento del danno da inadempimento, l’imprevedibilità, alla quale fa riferimento l’art. 1225 c.c., costituisce un limite non all’esistenza del danno, ma alla misura del suo ammontare, determinando la limitazione del danno risarcibile a quello prevedibile non da parte dello specifico debitore, bensì avendo riguardo alla prevedibilità astratta inerente ad una determinata categoria di rapporti, sulla scorta delle regole ordinarie di comportamento dei soggetti economici e, cioè, secondo un criterio di normalità in presenza delle circostanze di fatto conosciute (Cass., n. 16763/2011; Cass., n. 17460/2011).
La Corte ha, cioè, considerato che il criterio di prevedibilità del danno risarcibile può comportare il ristoro del pregiudizio in misura flessibile e, a tal riguardo, dalla quantificazione del danno ha detratto i rimborsi ottenuti dal cliente in forza della procedura concorsuale Chapter 11 « che ha sensibilmente ridotto il danno preteso », con ciò correggendo la statuizione di I grado.
─ Per quanto esposto, il ricorso va rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo e raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 8.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione