Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32196 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 32196 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10546/2023 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in PARMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in BRESCIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 154/2023 depositata il 25/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Brescia, ha confermato con una diversa motivazione – la decisione del locale Tribunale che aveva respinto le domande proposte da NOME COGNOME -in proprio quale fideiussore e in qualità di amministratore unico di RAGIONE_SOCIALE – la quale aveva lamentato l’applicazione di interessi moratori usurari al contratto di leasing stipulato con la concedente RAGIONE_SOCIALE
1.1- Il Tribunale, infatti, aveva ritenuto che gli interessi di mora non fossero riconducibili alla normativa in materia di usura e non aveva proceduto, quindi, alla valutazione in concreto del tasso di mora convenuto nel contratto di leasing oggetto del giudizio, e ciò aderendo alla tesi che esclude l’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi di mora valorizzando la distinzione funzionale tra interessi moratori e interessi corrispettivi: avendo i primi natura risarcitoria e rappresentando, quindi, la liquidazione forfettaria del danno in caso di ritardato adempimento nelle obbligazioni pecuniarie, ed i secondi, invece, una funzione remunerativa, costituendo il corrispettivo di una prestazione di denaro.
1.2La Corte d’Appello, respingendo il motivo di gravame che insisteva sulla applicabilità della normativa antiusura agli interessi di mora alla luce del preteso superamento nella specie della relativa soglia per effetto della sommatoria delle due specie di interessi, ha osservato che:
come statuito da S.U. n. 19597/2020, gli interessi moratori rilevano ai fini del tasso usurario, ma non si sommano a tal fine agli interessi corrispettivi;
al pari degli interessi corrispettivi – per i quali è stata introdotta normativamente la qualificazione oggettiva della
fattispecie usuraria mediante il tasso soglia – anche per gli interessi moratori l’identificazione dell’interesse usurario passa dal tasso medio statisticamente rilevato in modo altrettanto oggettivo ed unitario nei decreti ministeriali; quindi le rilevazioni di Banca d’Italia sulla maggiorazione media prevista nei contratti a titolo di interesse moratorio possono fondare la fissazione di un c.d. tasso soglia limite, idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria perché fuori mercato; sicchè per ogni contratto deve essere preso in considerazione il D.M. all’epoca della stipula ed occorre comparare – come ha stabilito la Corte di legittimità nella sentenza predetta – il TEG del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori in concreto applicati, con il TEGM via via rilevato in detti decreti, con la precisazione che il margine di tolleranza previsto (superiore a detto TEGM sino alla soglia di usura), può offrire uno spazio di operatività all’interesse moratorio lecitamente applicato;
c) quanto alla previsione di cui all’articolo 1815 c.c., che, ove l’interesse corrispettivo sia lecito e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della predetta soglia usuraria, ne deriverà che solo questi ultimi sono illeciti e preclusi, ma resta l’applicazione dell’articolo 1224 comma 1 c.c. con la conseguente applicazione degli interessi di mora nella misura dei corrispettivi lecitamente pattuiti, secondo la regola comune per cui « il danno da inadempimento di obbligazioni pecuniaria viene automaticamente ristorato con la stessa misura degli interessi corrispettivi già dovuti per il tempo dell’adempimento in relazione alla concessione ad altri della disponibilità del denaro ciò in quanto la nullità della clausola sugli interessi moratori non porta con sé anche quella degli interessi corrispettivi onde anche i moratori saranno dovuti in minor misura in applicazione dell’articolo 1224 c sempre che quelli siano lecitamente convenuti» (Sez. un. cit.);
d) alla luce di tali principi è condivisibile l’assunto dell’appellante circa l’applicazione della disciplina antiusura al tasso di mora, ma per il resto il motivo di gravame è infondato là dove viene prospettato: (i) il cumulo degli interessi moratori con quelli corrispettivi ai fini della valutazione del superamento del tasso soglia, (ii) la inapplicabilità degli istruzioni della Banca d’Italia in quanto fonte secondaria, (iii) la gratuità del contratto di leasing in caso di superamento del tasso soglia con riferimento al tasso di mora.
Pertanto la Corte di merito ha ritenuto infondata tanto la richiesta restitutoria – posto che è incontestato che il contratto ha avuto regolare esecuzione ed alcun tasso di mora è stato corrisposto – quanto la richiesta ex art. 1815 c.c. di azzeramento di ogni interesse in quanto, come già evidenziato, l’eventuale superamento del tasso soglia con riferimento al tasso di mora lascia impregiudicato l’obbligo di pagamento oltre che del capitale anche degli interessi corrispettivi.
Ha aggiunto la Corte che non v’erano, comunque, elementi per ritenere che il tasso di mora convenuto fosse connotato da usurarietà alla luce del d,m. di rilevazione dei tassi effettivi globali medi per il periodo di riferimento ( secondo trimestre 2010) dato che il tasso soglia mora di periodo (calcolato secondo la formula individuata alla luce della pronuncia di legittimità predetta) pari al 11,475%, corrispondeva al tasso mora medio pari al 7,56%, quando il tasso di mora contrattuale era indicato nella perizia di parte appellante come pari alla ben minor percentuale di 5,6670% (oltretutto sulla base di una categoria di contratti di l easing errata e di maggior valore rispetto a quello di specie) a comprova del fatto che non vi era stato alcun superamento del c.c. tasso soglia di mora.
Ha perciò ritenuto la richiesta di CTU meramente esplorativa e, dunque, inammissibile, anche perchè involgente tematiche nuove, non oggetto della domanda.
Infine ha ritenuto infondata anche la tesi del superamento del tasso soglia sulla base della prospettazione da ultimo contenuta negli scritti conclusivi, in cui gli appellanti avevano dedotto che il tasso da considerare ai fini del superamento del tasso soglia fosse quello «congiunto» di interesse corrispettivo e di mora in quanto quest’ultimo si applica sull’intera rata di canone scaduta, comprensiva della quota relativa al capitale e della quota relativa agli interessi corrispettivi: secondo la Corte territoriale, invero, la clausola n. 8 del contratto invocata non determinava alcuna sommatoria tra tasso corrispettivo e tasso di mora, non essendovi contestualità nella loro applicazione quanto al capitale e differente essendo la base di calcolo dei tassi, gli interessi corrispettivi essendo calcolati sul solo capitale a scadere.
2.- Contro la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME affidandolo a due motivi di cassazione. Intesa SanPaolo -incorporante UBI s.p.a. – resiste con controricorso.
E’ stata formulata una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c. La difesa di parte ricorrente ha chiesto la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il ricorso contiene i seguenti motivi.
1.1- Primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art.360 comma 1 n.3 c.p.c. in riferimento alla legge n. 108/1996.
Secondo la ricorrente la Corte d’appello di Brescia avrebbe erroneamente escluso l’usurarietà tanto del tasso di leasing che del tasso di mora pattuiti nel contratto ritenendoli inferiori al tasso soglia del periodo di riferimento per operazioni similari creditizie e che detto superamento potesse essere desunto dalla valutazione
dell’incidenza percentuale della mora sulla quota di interessi corrispettivi di cui si compone ogni singola rata del piano di ammortamento, volutamente «sfumando sui costi ed oneri in concreto applicati dalla società di leasing nella formazione del TEG»; ha sostenuto che il tasso soglia vigente al momento della sottoscrizione sarebbe stato nella specie superato, e che la Corte di merito avrebbe interpretato in senso «discrezionale» l’articolo 8 delle condizioni generali di contratto, ovvero senza alcuna indagine concreta circa il fatto che tutta la rata di mora, e non solo la sua quota capitale, avrebbe prodotto interessi moratori; inoltre avrebbe fornito una fuorviante interpretazione della sentenza delle Sezioni Unite citata escludendo il superamento del tasso soglia senza effettuare alcuna « valutazione di usurarietà in concreto nel singolo caso sulla base del tasso di interesse concretamente applicato » come invece sancito dalle Sezioni Unite e ciò per aver omesso l’indagine tecnica concreta sui tassi applicati e sulla loro misura effettiva, onde verificare anche se gli interessi di mora fossero stati correttamente calcolati ovvero se la loro imputazione sull’intera rata (già comprensiva di capitale e della quota interessi) in qualche modo comportasse un’indebita capitalizzazione composta.
1.2- il Secondo motivo denuncia « violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 comma 1n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 24 Cost. per illegittima omissione dell’istruttoria ». Con detto motivo la ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto superflua l’ammissione della CTU siccome esplorativa, poiché gli effetti anatocistici dell’applicazione indebita del tasso di mora «aggiuntivamente e non sostitutivamente al tasso di leasing » sarebbero potuti emergere dagli esiti della CTU, che tanto il primo quanto il secondo giudice non avevano voluto ammettere per motivi che – a suo dire – non sarebbero stati neppure esplicitati, se non genericamente sul presupposto della natura esplorativa dell’indagine.
2.- La proposta ha il tenore che segue.
« – La Corte d’appello di Brescia, confermando la decisione di primo grado, per quanto rileva ora, ha ritenuto che: a) come statuito da SU n. 19597/2020, gli interessi moratori rilevano ai fini del tasso usurario, ma non si sommano ai corrispettivi a tal fine, ne è fondata la tesi della gratuità del leasing nella astratta ipotesi del superamento del tasso soglia per gli interessi di mora: nella specie, nessun tasso moratorio è stato corrisposto, né la previsione contrattuale è connotata da usurarietà (tasso- soglia 11,475%, secondo il criterio enunciato dalle citate SU tasso negoziale di mora indicato nella C.T.P. pari al 5,667%, oltretutto dedotto applicando una categoria di contratti di leasing errata), nè viene neppure dedotto il superamento della c.d. clausola di salvaguardia, né, infine, il contratto può dirsi gratuito come preteso dalla appellante; b) è generico l’assunto secondo cui sarebbe palese l’applicazione di oneri finanziari non convenuti; c) la richiesta di CTU è, quindi, meramente esplorativa, anche perché formulata con riguardo a temi neppure oggetto di causa; d) la tesi circa il cumulo di interessi moratori e corrispettivi sulle rate scadute, perorata negli scritti conclusionali, è generica, e, comunque, infondata, risultando dall’esame delle clausole negoziali che, invece, vi è diversità della base di calcolo ed essi non si cumulano ai fini dell’usura, come già ritenuto da Cass. n. 9237/2020.
Il primo motivo che deduce la violazione della legge numero 108/1996, in quanto in concreto sono stati applicati tassi usurari, è inammissibile intendendo in sede di legittimità riproporre una diversa ricostruzione dei fatti, mediante elementi indiziari indicati, tuttavia, ciò esulando dal giudizio di cassazione;
il secondo motivo, che deduce la violazione dell’articolo 24 Cost. per non aver la Corte del merito disposto una CTU, come già il primo giudice, è inammissibile in quanto il disporre l’espletamento di CTU è decisioni discrezionale del giudice del merito ove motivata
(cfr. ex multis Cass. n. 20264/2022; Cass. n.21904/2020; Cass. n. 11267/2020; Cass. n. 134/2020; Cass. n. 33230/2019; Cass. n. 21563/2019; Cass. n. 20899/2019) e, pertanto, la motivazione del diniego può addirittura essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato dal giudice (Cass. n. 22622/2020; Cass. n. 326/2020; Cass. n. 6155/2009; Cass. n. 15219/2007);
3.- Reputa il Collegio che abbia rilievo preliminare assorbente la questione della improcedibilità del ricorso per mancato deposito della relazione di notifica della sentenza gravata, pubblicata l’11.1.2023 e notificata si afferma in ricorso- il 20.3.2023 (relata che non risulta prodotta neanche dal controricorrente, né nel ricorso si dà conto del deposito della notifica).
Invero è consolidato il principio per cui « In tema di notificazione del provvedimento impugnato ad opera della parte, ai fini dell’adempimento del dovere di controllare la tempestività dell’impugnazione in sede di giudizio di legittimità, assumono rilievo le allegazioni delle parti, nel senso che, ove il ricorrente non abbia allegato che la sentenza impugnata gli è stata notificata, si deve ritenere che il diritto di impugnazione sia stato esercitato entro il c.d. termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c., procedendo all’accertamento della sua osservanza, mentre, nella contraria ipotesi in cui l’impugnante abbia allegato espressamente o implicitamente che la sentenza contro cui ricorre gli sia stata notificata ai fini del decorso del termine breve di impugnazione (nonché nell’ipotesi in cui tale circostanza sia stata eccepita dal controricorrente o sia emersa dal diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio), deve ritenersi operante il termine di cui all’art. 325 c.p.c., sorgendo a carico del ricorrente l’onere di depositare, unitamente al ricorso o nei modi di cui all’art.372, comma 2, c.p.c., la copia autentica
della sentenza impugnata, munita della relata di notificazione, entro il termine previsto dall’art.369, comma 1, c.p.c., la cui mancata osservanza comporta l’improcedibilità del ricorso, escluso il caso in cui la notificazione del ricorso risulti effettuata prima della scadenza del termine breve decorrente dalla pubblicazione del provvedimento impugnato e salva l’ipotesi in cui la relazione di notificazione risulti prodotta dal controricorrente o presente nel fascicolo d’ufficio.» (v. Cass. n. 15832/2021, confermata da Sez. Un. n. 21349/2022 : « La dichiarazione contenuta nel ricorso per cassazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata, attesta un “fatto processuale” – la notificazione della sentenza idoneo a far decorrere il termine “breve” di impugnazione e, quale manifestazione di “autoresponsabilità” della parte, impegna quest’ultima a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere in capo ad essa l’onere di depositare, nel termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., copia della sentenza munita della relata di notifica (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo PEC), senza che sia possibile recuperare alla relativa omissione mediante la successiva, e ormai tardiva, produzione ai sensi dell’art. 372 c.p.c.»
Nella specie la notifica del ricorso avvenuta il 4.5.2023 non rispetta la prova di resistenza dei 60 giorni dalla pubblicazione della sentenza avvenutal’11.1.2023).
-Benchè per quanto precede sia assorbente agli effetti del rigetto del ricorso, giova, comunque, aggiungere che il Collegio condivide le considerazioni circa l’inammissibilità dei motivi come illustrati nella PDA, che vanno ribadite tanto più alla luce della più estesa ricostruzione della articolata e compiuta motivazione della Corte d’appello sopra illustrata.
E ciò alla luce dei costanti arresti della cassazione sia in tema censurabilità della decisione del giudice di merito di avvalersi di una CTU già richiamati nella proposta, sia di limiti entro cui può essere
dedotto in sede di legittimità il vizio di violazione di legge.
3.1 -Invero il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa -quale è quella effettuata dalla ricorrente nella specie – è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. « Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (ex aliis: Cass. n. 16698/2010; Cass. n. 7394/2010) » (cosi Cass. n. 23917/2022).
3.2 – Nella specie è evidente che la ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c. invocato) bensì un vizio-motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma n. 5 c.p.c., che lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al «minimo costituzionale» il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014);
3.3. Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli
argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori: la sentenza impugnata ha ampiamente esaminato i fatti controversi ed espresso un convincimento in fatto che non è qui sindacabile.
─ Il ricorso in conclusione va dichiarato improcedibile per le ragioni preliminari dette.
– Ciò nondimeno ai fini della regolazione delle spese processuali -che seguono la soccombenza -va comunque considerato che la trattazione del procedimento è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 bis cpc ultimo comma a seguito di proposta di inammissibilità a firma del Consigliere delegato dal Presidente della sezione, e che il Collegio, pur avendo rilevato in via preliminare l’improcedibilità del ricorso, ha, comunque, ritenuto inammissibili i motivi di cassazione proposti, in conformità della proposta. Perciò deve applicare il terzo e il quarto comma dell’articolo 96, come testualmente previsto dall’art. 380 bis ultimo comma (« Se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procede ai sensi dell’articolo 380-bis.1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 »). L’art. 96 terzo comma, a sua volta, così dispone: « In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata» . Il quarto comma aggiunge: « Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000 ».
Come chiarito dalle Sezoni Unite di questa Corte, si tratta di una disposizione (introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo D.Lgs. n.
149/2022) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore delegato, della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma, ove, appunto il legislatore usa la locuzione «altresì»). In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro già immanente nel sistema processuale (da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale) » (Cass. Sez. Un. n.27433/2023, in motivazione).
Quanto alla disciplina intertemporale sull’applicazione ai giudizi di cassazione delle disposizioni di cui all’art. 96 terzo e quarto comma c.p.c per effetto del rinvio operato dall’ultimo comma dell’art. 380 bis nel testo riformato, le stesse Sezioni unite hanno affermato che « la predetta normativa -in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 35 comma 1 del Lgs. n. 149/2022 -sia immediatamente applicabile a seguito dell’adozione di una decisione conforme alla proposta, sebbene per giudizi già pendenti alla data del 28 febbraio 2023. Ed infatti la norma di cui all’art. 380 bis c.p.c. (che nella parte finale richiama l’art. 96 commi 3 e 4) è destinata a trovare applicazione, come espressamente previsto dal co. 6 dell’art. 35 del D. Lgs. n. 149/2022, anche nei giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio» (come, appunto, quello in esame). (Cass. Sez. U. 27 settembre 2023, n. 27433, in motivazione, ribadito da Cass. Sez. U. 13 ottobre 2023, n. 28540).
In tal senso, i ricorrenti vanno condannati in solido tra loro, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96 terzo comma
c.p.c. avuto riguardo alla liquidazione dei compensi dovuti alla parte resistente oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende, ex art, 96 quarto comma c.p.c.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso proposto da NOME COGNOME condanna la ricorrente, al pagamento, in favore della parte controricorrente Intesa SanPaolo s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 4.300,00 in favore della parte controricorrente e dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª