Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1156 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1156 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7659/2021 proposto da:
So.RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente
–
-contro-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa dall’avv.to NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 3372/2020 de lla Corte d’appello di Venezia , pubblicata il 21.12.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con citazione del 27.2.16 la RAGIONE_SOCIALE conveniva innanzi al Tribunale di Verona il Banco Popolare soc. coopRAGIONE_SOCIALE, chiedendo: l’accertamento della gratuità del contratto di mutuo ipotecario concluso con l’allora Banca Popolare di Lodi il 30.3.11 – successivamente rinegoziato il 27.5.14 – assumendo di aver pattuito interessi di mora superiori al tasso-soglia usurario; la condanna della convenuta alla restituzione di quanto percepito a titolo d’interessi moratori e spese, in esecuzione del mutuo, pari alla somma di euro 26.840,08, ovvero la compensazione parziale di detto importo con la somma di euro 191.016,90 ancora dovuta per capitale; l’accertamento della nullità della clausola determinativa degli interessi e la sua sostituzione con quella prevista dall ‘art. 1284 c.c., e dell’ulteriore nullità del contratto di mutuo in quanto contenente un piano d’ammortamento, cd. ‘ alla francese ‘, e come tale in contrasto con il divieto di cui all’art. 1283 c.c. e, in subordine l’accertamento della nullità della clausol a sugli interessi a norma dell’art. 117, c. 4, TUB.
La banca si costituiva eccependo l’infondatezza delle domande.
Con sentenza del 5.4.18 il Tribunale rigettava le domande, osservando che: a) la domanda sugli interessi moratori usurari era infondata in quanto imperniata sulla tesi della cumulabilità di interessi corrispettivi e moratori al fine della verifica dell’osservanza del tasso -soglia; b) al riguardo, non era decisivo il richiamo all’art. 1 d .l. n. 394/2000, non essendo accoglibile la tesi che ravvisava nell’inciso « a qualunque titolo » il fondamento della cumulabilità degli interessi, dato che tale norma riguardava solo i corrispettivi; c) erano infondate anche le domande subordinate circa l’usurarietà del tasso di mora pattuito, in quanto gli interessi moratori non erano mai stati in concreto applicati, e l a non debenza degli interessi, quale sanzione di cui all’art. 1815, c.
2, c.c.; d) non era fondata la tesi sull’anatocismo trimestrale con riferimento ad un mutuo con ammortamento « alla francese », difettando il pre supposto dell’interesse scaduto in sede genetica del rapporto.
Con sentenza pubblicata il 21.12.2020, la Corte territoriale rigettava l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALEn.c., osservando che: il tasso di mora in concreto previsto nel contratto di mutuo era certamente inferiore al momento della sua pattuizione al livello-soglia temporalmente previsto (sulla scorta dei criteri di calcolo di cui all’art. 2, c. 2, DM, in relazione all’art. 2, c. 4, l. n. 108/96: spread tra il TEGM e la misura del tasso-soglia, previo aumento di un quarto dei tassi medi cui s’aggiungono ul teriori quattro punti); tale argomentazione aveva valore assorbente e, in ogni caso, neanche l’eventuale superamento del tassosoglia avrebbe potuto comportare l’effetto voluto dall’attrice in quanto, dall’ipotetico accertamento della nullità del tasso mor atorio non sarebbe potuto discendere la gratuità del contratto, ma semmai l’applicazione dei soli interessi corrispettivi , anche successivamente alla contestazione della morosità; il Tribunale aveva correttamente interpretato e valutato l’effetto anatocist ico insito nella metodica di computo degli interessi inerenti al piano d’ammortamento convenuto che non era indeterminato (trattandosi di un piano d’ammortamento a rate costanti; per tutta la durata del contratto le rate sono posticipate, comprendendo una quota d’interessi e una quota di capitale che, combinandosi insieme, mantengono costante la rata per tutti i periodi); tale piano applicava la formula di capitalizzazione composta, che però non aveva alcun effetto nella determinazione della quota d’interessi, calcolata sul debito residuo e quindi sul solo capitale; era nuova la questione della computabilità della commissione di estinzione anticipata.
La RAGIONE_SOCIALE ricorre in cassazione, con quattro motivi. Banco BPM resiste con controricorso, illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 111 Cost., 132, c.p.c. 118, disp. att. c.p.c., deducendo nullità della sentenza impugnata perché fondata su motivazione apparente. Al riguardo, la ricorrente lamenta che la C orte d’appello abbia deciso riportandosi acriticamente alle motivazioni di cui alla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 19597/2020, non consentendo di conoscere le ragioni del rigetto delle proprie domande.
Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 644 c.p., 1815 c.c., alla luce della suddetta sentenza delle Sezioni Unite. In particolare, il ricorrente lamenta l’applicazione dei principi dettat i dalla predetta richiamata sentenza, nella parte in cui il tasso-soglia è stato determinato applicando anche gli interessi moratori (‘t.a.e.g. più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi previsti quale ulteriore to lleranza’), adducendo che, invece, il suddetto tasso è unico e rappresentato dal t.a.e.g.m. come maggiorato ex art. 2, c.4, l. n. 108/96.
Il terzo motivo denunzia violazione dell’art. 1283 c.c., e dell’art. 117, c.4, TUB, nel piano d’ammortamento cd . ‘alla francese’, per non aver la Corte d’appello riconosciuto l’applicazione di interessi anatocistici, dato che il metodo di calcolo in questione non chiariva i criteri applicati, in violazione dei principi sulla trasparenza bancaria.
Il quarto motivo denunzia violazione dell’art. 92 c.pc., pe r non aver la Corte d’appello compensato le spese di lite (anche sulla scorta della citata sentenza delle Sezioni Unite ), per l’assoluta novità della
questione, ovvero per il mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.
Il primo e secondo motivo, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono inammissibili a norma dell’art. 360 bis, n.1, c.p.c.
Anzitutto, la motivazione della sentenza impugnata è chiara ed esaustiva, sebbene richiami la sentenza delle Sezioni Unite del 2020, ai cui principi ha aderito; pertanto, non si può affermare che non sono chiare le ragioni della decisione perché apparenti.
Ora, va osservato che la disciplina antiusura, essendo volta a sanzionare la promessa di qualsivoglia somma usuraria dovuta in relazione al contratto, si applica anche agli interessi moratori, la cui mancata ricomprensione nell’ambito del Tasso effettivo globale medio (T.e.g.m.) non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali di cui all’art. 2, comma 1, della l. n. 108 del 1996, ove questi contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali; ne consegue che, in quest’ultimo caso, il tasso-soglia sarà dato dal T.e.g.m., incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l’aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dal quarto comma dell’art. 2 sopra citato, mentre invece, laddove i decreti ministeriali non rechino l’indicazione della suddetta maggiorazione media, la comparazione andrà effettuata tra il Tasso effettivo globale (T.e.g.) del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori, e il T.e.g.m. così come rilevato nei suddetti decreti. Dall’accertamento dell’usurarietà discende l’applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c., di modo che gli interessi moratori non sono dovuti nella misura (usuraria) pattuita, bensì in quella dei corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell’art. 1224, comma 1, c.c.; nei contratti conclusi con i consumatori è altresì applicabile la tutela prevista dagli
artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del d.lgs. n. 206 del 2005 (codice del consumo), essendo rimessa all’interessato la scelta di far valere l’uno o l’altro rimedio (SU, n. 19597/2020; Cass., n. 16526/24; n. 8103/2023).
Orbene, la ricorrente critica la suddetta sentenza, e l’orientamento della Corte Suprema ad essa conforme, ormai consolidato, invocando genericamente la diversa opinione, secondo la quale il tasso soglia usurario è unico e rappresentato dal TEGM, maggiorato ex art. 2, c. 4, l. n. 108/1996.
Al riguardo, le argomentazioni della sentenza impugnata- come conforme alla suddetta sentenza delle Sezioni Unite- sono censurate attraverso un laconico richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale, n. 29 del 25.2.2002, che dichiarò non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del decretolegge 29 dicembre 2000, n. 394, convertito, con modificazioni, in legge 28 febbraio 2001, n. 24 (secondo il quale ” ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del codice penale e dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento ) sollevate dal Tribunale di Benevento e Taranto, in riferimento agli articoli 3, 24, 47 e 77 della Costituzione (accogliendo invece altre diverse questioni, inerenti all’art. 1, comma 2, del decretolegge 29 dicembre 2000, n. 394, non rilevanti nella fattispecie)
In particolare, per quel che rileva in questa sede, alla stregua del riferimento contenuto a pagina IX del ricorso, la Corte Costituzionale, nell’argomentare sulla rilevanza delle questioni sollevate , osservava che: ‘ Va in ogni caso osservato – ed il rilievo appare in sé decisivo che il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n.
394 del 2000, agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori ‘ .
Pertanto, è evidente che il richiamo della citata sentenza della Corte Cost. non può costituire un avallo della tesi propugnata dalla parte ricorrente, anche perché la questione oggetto della censure in esame non era stato posto dalle ordinanze rimettenti, e pur prescindendo dal fatto che la giurisprudenza che si contesta si colloca in un periodo successivo di circa un ventennio.
Il terzo motivo è parimenti inammissibile.
In tema di mutuo bancario, a tasso fisso, con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento “alla francese” di tipo standardizzato tradizionale, la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione composto degli interessi debitori non è causa di nullità parziale del contratto, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto, né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti. L’ammortamento alla francese, infatti, vie ne ritenuto espressione di una pattuizione contrattuale volta a perseguire interessi meritevoli di tutela, tenuto conto, fra l’altro, che gli interessi possano essere esigibili anche quando maturati su un capitale non ancora (o non interamente) esigibile è , invero, confermato dall’art. 1820 c.c., che prevede che il contratto di mutuo possa essere risolto per inadempimento della obbligazione per interessi, ciò dimostrando che la scadenza degli interessi non coincide necessariamente con la scadenza del capitale (Cass., SU, n. 15130/2024).
Nella specie, la doglianza è diretta al riesame dei fatti concernenti il calcolo degli interessi del mutuo sottesi alle clausole contrattuali del piano d’ammortamento ‘alla francese’. Né il ricorso contiene una qualche specifica allegazione in forza della quale, in ragione del concreto conformarsi del rapporto, il principio sopra richiamato non sarebbe applicabile.
Infine, il quarto motivo è del pari inammissibile.
Invero, il diniego di compensazione non è mai censurabile in Cassazione, considerando che, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass., n. 11329/2019; Cass., Sez.U., n. 14989/2005).
Nella specie, va altresì rilevata l’inapplicabilità dell’art. 92 c.p.c., non emergendo l’assoluta novità della question e o mutamenti di giurisprudenza sulle questioni esaminate.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di euro 3.700,00 di cui 200,00 per esborsi- oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 17 dicembre 2024.