Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23477 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23477 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8325/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione; -ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’amministratore unico p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 3421/21, depositata il 21 settembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, titolare di un centro abilitato all’erogazione di trattamenti riabilitativi di semiconvitto domiciliari ed ambulatoriali e prestazioni di fisiokinesiterapia in regime di accreditamento provvisorio con il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, convenne in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE, per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 943.981,43, da aggiornarsi dal 1° ottobre 2011 all’effettivo soddisfo, a titolo d’interessi per il ritardo nel pagamento dei corrispettivi delle prestazioni erogate negli anni 2007, 2008 e 2009, calcolati al tasso di cui all’art. 5 del d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231.
Si costituì l’RAGIONE_SOCIALE, ed eccepì il difetto di giurisdizione, il giudicato esterno e la prescrizione, nonché la compensazione del credito azionato con un proprio controcredito relativo al recupero di somme corrisposte per prestazioni erogate in eccesso rispetto alla capacità operativa massima.
1.1. Con sentenza del 13 giugno 2016, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE rigettò la domanda.
L’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE è stata accolta dalla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, che con sentenza del 21 settembre 2021 ha accolto parzialmente la domanda, condannando l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di Euro 943.981,43.
Premesso che risultavano provati il rapporto di accreditamento intercorrente tra l’attrice e la Regione Campania ed il contratto stipulato per gli anni 2007-2009, la Corte ha ritenuto che il credito dell’attrice trovasse il suo fondamento nel rapporto negoziale in virtù del quale l’RAGIONE_SOCIALE era obbligata al pagamento della remunerazione delle prestazioni rese dalla struttura privata a favore degli iscritti al RAGIONE_SOCIALE. Precisato infatti che l’accreditamento costituisce uno strumento volto a garantire livelli essenziali ed uniformi di assistenza RAGIONE_SOCIALE e socioRAGIONE_SOCIALE, attraverso l’individuazione di strutture private idonee ad erogare le prestazioni per conto del RAGIONE_SOCIALE, mentre l’accordo di cui all’art. 8 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 consacra la volontà contrattuale di dare esecuzione all’obbligo dell’accreditato verso i beneficiari delle prestazioni, con fissazione del volume mas-
simo delle stesse e del corrispettivo dovuto, ha affermato che il titolo fondante del diritto alla remunerazione è costituito dall’accordo contrattuale, riconducibile allo schema civilistico del contratto a prestazioni corrispettive, la cui connotazione pubblicistica non ne esclude la qualificazione come transazione commerciale, e non preclude quindi l’applicazione degl’interessi moratori di cui al d.lgs. n. 231 del 2002. Ha evidenziato in proposito il tenore letterale dell’art. 2 del d.lgs. n. 231 cit., osservando che la natura di pubblico servizio della prestazione resa dal privato e la sua remunerazione a tariffa, espressione del potere autoritativo dell’ente pubblico, non escludono la natura privatistica della disciplina degli aspetti economici e patrimoniali del rapporto concessorio, affidata allo strumento convenzionale, e qualificabile quindi come transazione commerciale ai sensi del d.lgs. n. 231. Richiamata inoltre la direttiva 2014/23/CE sull’aggiudicazione delle concessioni, che, nell’unificare il regime giuridico della contrattazione pubblica, ha definito la concessione di servizi come contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto ed avente ad oggetto l’affidamento dell’erogazione e della gestione di servizi pubblici, ha rilevato che la natura concessoria del rapporto ha perso il valore di elemento discriminante nell’ambito della contrattazione privata, nel cui alveo si colloca anche il contratto in esame.
La Corte ha ritenuto invece inammissibile, in quanto sollevata soltanto nella comparsa conclusionale depositata in appello, l’eccezione secondo cui per i crediti anteriori all’anno 2013 sarebbe risultata necessaria la prova della intimazione scritta, osservando comunque che l’applicabilità del d.lgs. n. 231 del 2002 comportava non solo l’operatività del tasso previsto dall’art. 5, ma anche, ai sensi dell’art. 4, la decorrenza automatica degl’interessi, per effetto dell’inosservanza dei termini di pagamento.
Ha ritenuto poi provato il quantum debeatur , rilevando che i prospetti riepilogativi prodotti dall’attrice, e recanti l’indicazione delle date di maturazione dei crediti e di quelle dei pagamenti, non erano stati specificamente contestati dalla convenuta, la quale si era limitata a proporre l’eccezione di compensazione, reiterata soltanto tardivamente in appello. Ha escluso invece la possibilità di riconoscere gli ulteriori interessi fino al soddisfo, rilevando la genericità della relativa domanda, ed il carattere conseguentemente esplora-
tivo della c.t.u. sollecitata nel corso del giudizio.
Avverso la predetta sentenza l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, illustrato anche con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2002, censurando la sentenza impugnata per aver inquadrato il rapporto intercorso tra le parti nella nozione di transazione commerciale, senza considerare che, in quanto inerenti ad una concessione di pubblico servizio, i pagamenti dovuti all’attrice non potevano considerarsi effettuati a titolo di corrispettivo contrattuale, non essendo in rapporto sinallagmatico con le prestazioni rese agli assistiti. Sottolinea la connotazione pubblicistica del rapporto, emergente dalle procedure di selezione che avevano preceduto la stipulazione dell’accordo e dalla rilevanza costituzionale degl’interessi coinvolti, affermando che nel sistema dello accreditamento l’operatore privato assume la veste di erogatore di un servizio pubblico, la cui gestione rimane però affidata al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 231 del 2002 e dell’art. 5, comma primo, del d.l. 25 novembre 1989, n. 382, convertito dalla legge 25 gennaio 1990, n. 8, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che la scadenza dei termini previsti per il pagamento comportasse l’automatica decorrenza degli interessi, in contrasto con il principio, applicabile anche alle asl, secondo cui, in tema di obbligazioni pecuniarie degli enti pubblici, il luogo del pagamento dev’essere individuato nella sede dell’ufficio di tesoreria dell’ente debitore, con la conseguenza che la mera scadenza del termine per il pagamento non comporta l’operatività della mora ex re , occorrendo invece la costituzione in mora, la quale integra una condizione dell’azione, la cui sussistenza dev’essere provata da chi fa valere in giudizio il diritto di credito.
Il primo motivo, riguardante la qualificazione del rapporto intercorrente tra le parti come transazione commerciale, ai sensi dell’art. 2, lett. a) , del d.lgs. n. 231 del 2002, è infondato.
Nel ricondurre la fattispecie alla predetta nozione, la sentenza impugnata ha infatti richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di prestazioni sanitarie erogate in favore dei soggetti assistiti dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE da strutture private operanti in regime di preaccreditamento, secondo cui la connotazione pubblicistica del rapporto intercorrente tra l’ente pubblico competente e la struttura preaccreditata non esclude, in caso di ritardo nel pagamento delle somme dovute a titolo di corrispettivo, la natura negoziale dell’atto fondante la pretesa al pagamento degl’interessi moratori, la cui causa resta sempre e comunque riconducibile allo schema civilistico del contratto a prestazioni corrispettive, ancorché inquadrato nell’ambito dell’intervento pubblico, in quanto scaturente da un contratto con cui l’ente assume l’obbligo di retribuire, alle condizioni e nei limiti ivi indicati, determinate prestazioni di cura erogate dalla struttura privata (cfr. Cass., Sez. III, 2/07/2019, n. NUMERO_DOCUMENTO; 13/07/2017, n. NUMERO_DOCUMENTO; 11/10/2016, n. 20391; 14/07/2016, n. NUMERO_DOCUMENTO).
Com’è noto, tale qualificazione della fattispecie era stata messa in discussione in virtù del richiamo ad un altro principio, enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento alle prestazioni di assistenza farmaceutica erogate per conto delle aziende sanitarie locali, secondo cui al credito del farmacista per il rimborso del corrispettivo dei farmaci di fascia A non si applica il tasso d’interesse di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2002, non essendo il rapporto riconducibile al paradigma della transazione commerciale, giacché, relativamente alle predette prestazioni, il farmacista non è qualificabile come imprenditore, ovverosia come soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione, ai sensi dell’art. 2, lett. c) , del medesimo decreto, essendo un componente del RAGIONE_SOCIALE (cfr. Cass., Sez. Un., 20/11/2020, n. 26496; v. anche, in precedenza, Cass., Sez. III, 10/ 04/2019, n. 9991, secondo cui l’attività di dispensazione dei farmaci ha natura pubblicistica, in quanto intesa a realizzare, quale segmento del servizio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, l’interesse pubblico alla tutela della salute collettiva; Cass., Sez. III, 28/02/2017, n. 5042, secondo cui la fonte di tale rapporto non ha natura negoziale, ma legale e amministrativa, in quanto costituita dall’art. 8, comma secondo, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e dal relativo
regolamento).
La questione è stata risolta da una recente sentenza, con cui questa Corte, pronunciando a Sezioni Unite, ha enunciato il principio di diritto secondo cui le prestazioni sanitarie erogate in favore degli assistiti dalle strutture private accreditate con il RAGIONE_SOCIALE in base ad un contratto (accessivo all’accreditamento) concluso in forma scritta con la Pubblica Amministrazione dopo l’8 agosto 2002 rientrano nella nozione di transazione commerciale, ai sensi dell’art. 2, lett. a) , del d.lgs. n. 231 del 2002, in quanto rese in esecuzione di un atto avente natura di contratto a favore di terzi ad esecuzione continuata, e contenente la previsione dell’obbligo di pagamento di un corrispettivo, la cui ritardata esecuzione comporta il riconoscimento degli interessi moratori ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. cit. (cfr. Cass., Sez. Un., 14/12/ 2023, n. 35092).
Premesso infatti che, per poter erogare prestazioni in favore degli utenti del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con corrispettivo a carico dell’Amministrazione Pubblica, le strutture private devono essere dotate di autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie, rilasciata in base al rispetto di requisiti minimi per la tutela della sicurezza del paziente e degli operatori, accreditamento istituzionale, riconducibile al genus della concessione di pubblico servizio, e accordi contrattuali, finalizzati alla specificazione di volumi e tipologia delle prestazioni ed a fissare l’ammontare complessivo della remunerazione , è stato chiarito innanzitutto che, nell’ambito della predetta sequenza, la fase dell’accordo, avente la sua fonte normativa nell’art. 8quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, pone il rapporto di accreditamento su una base strettamente negoziale, sì che al di fuori del contratto la struttura accreditata non è obbligata ad erogare prestazioni agli assistiti. E’ stata inoltre richiamata la nozione di transazione commerciale emergente dalle direttive 2000/35/CE e 2011/07/ UE, così come interpretate dalla Corte di Giustizia UE, secondo cui la stessa, oltre a non coincidere con quella di contratto (cfr. sent. 1° dicembre 2022, in causa C-419/21, Sąd Rejonowy dla m.st. Warszawy ), prescinde dalla natura pubblica o privata dei soggetti coinvolti (cfr. sent. 18 novembre 2020, in causa C-299/19, RAGIONE_SOCIALE), trovando applicazione anche nel settore RAGIONE_SOCIALE, nell’ambito del quale i ritardi di pagamento delle Pubbliche Ammi-
nistrazioni determinano costi ingiustificati per le imprese, aggravando i loro problemi di liquidità e rendendo più complessa la loro gestione finanziaria (cfr. sent. 28 gennaio 2020, in causa C-122/18, Commissione c. Italia). Sulla base di tali considerazioni, è stato escluso che la posizione delle strutture sanitarie accreditate sia assimilabile a quella delle farmacie, concludendosi che sia la fonte che le caratteristiche della loro attività sono pienamente riconducibili all’ambito applicativo del d.lgs. n. 231 del 2002, giacché, mentre le farmacie erogano un servizio pubblico sostanzialmente quali organi delle aziende sanitarie e sulla base di accordi normativizzati, le strutture accreditate erogano un servizio pubblico, mantenendo però la loro identità di società commerciali che organizzano l’erogazione dei servizi al pubblico degli utenti del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sulla base di specifici accordi contrattuali.
Alla stregua di tali principi, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, non merita censura la sentenza impugnata, la quale, proprio in virtù dell’osservazione che la natura concessoria del rapporto intercorrente tra le strutture private e l’Amministrazione Pubblica perde il valore di elemento discriminante nell’ambito della contrattazione privata nel cui alveo si colloca anche il contratto in esame, ha concluso che tale contratto va qualificato come transazione commerciale, con la conseguenza che, in caso di ritardo nel pagamento del corrispettivo maturato a favore delle strutture accreditate, l’RAGIONE_SOCIALE è tenuta al pagamento degli interessi moratori sulle somme dovute, secondo quanto stabilito dal d.lgs. n. 231 del 2002.
E’ parimenti infondato il secondo motivo, avente ad oggetto la decorrenza degl’interessi.
L’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’applicabilità del d.lgs. n. 231 del 2002 comporta anche l’operatività della disposizione di cui all’art. 4, secondo cui gl’interessi moratori decorrono dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento, senza che sia necessaria la costituzione in mora, trova anch’essa conforto nella giurisprudenza di legittimità, la quale ha ritenuto che, in quanto manifestazione di un’evoluzione legislativa volta ad incentivare (attraverso sanzioni automatiche, di natura monetaria) il pagamento delle somme dovute nell’ambito dei contratti tra imprese o tra imprese e Pubbliche Amministrazioni, tale disciplina è ap-
plicabile a tutti i contratti con le Pubbliche Amministrazioni, comunque denominati, che comportino in via esclusiva o prevalente la consegna di merci o la prestazione di servizi, giacché l’espressione «prestazione di servizi», adottata dall’art. 2 del d.lgs. cit., è riferibile a tutte le prestazioni di fare, e di non fare, che trovino il proprio corrispettivo nel pagamento di un prezzo in denaro (cfr. Cass., Sez. I, 2/05/2024, n. 11721; Cass., Sez. III, 15/10/2019, n. 25924; Cass., Sez. II, 10/08/2023, n. 24390; 27/02/2019, n. 5734).
Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 13/06/2024