Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24197 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 24197 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7205/2021 R.G. proposto da :
NOME RAGIONE_SOCIALE domiciliata digitalmente ex lege ; rappresentata e difesa da ll’ Avv. COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al ricorso; -ricorrente- contro
INTESA SAN RAGIONE_SOCIALE, domiciliata digitalmente ex lege ; rappresentata e difesa dagli Avv. COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE -controricorrente- avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 3523/2020, depositata il 29/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/6/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE premesso di aver stipulato con Mediocredito Italiano s.p.a. (ora Intesa Sanpaolo s.p.a.), in data 12.1.2001, un contratto di leasing del valore di lire 619.000.000 ( pari a € 319.686,82) a un tasso d’interesse pari al 4,84%, convenne dinanzi al Tribunale di Milano il suddetto istituto di credito, invocando l’accertamento della natura usuraria del tasso degli interessi moratori (pattuiti nella misura del tasso effettivo globale medio vigente nel periodo dell’insolvenza , maggiorato della metà -ovvero pari all’11,64% -), nonché del tasso risultante dalla somma degli interessi corrispettivi, degli interessi di mora e delle spese accessorie. La società attrice contestò , inoltre, l’indeterminatezza del tasso di interesse (deducendo che il parametro di indicizzazione, individuato nell’Euribor 3 mesi 365/360, non sarebbe stato ancorato ad alcun indice iniziale), nonché la violazione del divieto di anatocismo, a causa dell’adozione del piano di ammortamento c.d. ‘alla francese’ , rilevando altresì che tale pattuizione avrebbe violato gli artt. 1346, 1418, 1419, 1283, 1284, 1322 c.c., oltre che l’art. 9 della l. n. 192/1998. Sulla scorta di tali doglianze, RAGIONE_SOCIALE chiese, dunque, in via principale, che venisse dichiarata l’illiceità del contratto in questione, nella parte in cui prevedeva che gli interessi di mora fossero computati anche sugli interessi corrispettivi e non sul mero capitale e, per l’effetto, che venisse dichiarata la gratuità del contratto con conseguente obbligo dell’attrice di restituire il solo capitale finanziato; in via subordinata, che venisse dichiarata la nullità – per indeterminatezza – delle clausole con cui erano stati pattuiti gli interessi, con conseguente condanna di Mediocredito italiano s.p.a. alla restituzione delle somme che sarebbero risultate non dovute all’esito dell’ individuazione del tasso legittimamente applicabile.
Con sentenza n. 4723/2019, il Tribunale di Milano rigettò le domande.
La sentenza fu confermata dalla Co rte d’appello di Milano con la pronuncia in questa sede impugnata. Osservarono, i giudici di secondo grado, che, applicando la formula di calcolo indicata nella sentenza delle Sezioni unite n. 19597/2020, il tasso soglia relativo agli interessi di mora sarebbe risultato pari al 18,825% (ovverosia superiore a quello contrattualmente pattuito) ; d’altra parte, quand’anche gli interessi di mora fossero stati usurari, gli stessi sarebbero, in ogni caso, risultati dovuti in misura pari a quelli corrispettivi . Quanto all’ammortamento alla francese, rilevarono i giudici di secondo grado che esso ‘utilizza una formula di calcolo che non ha alcun effetto nella determinazione della quota di interessi calcolata sul solo capitale residuo’, essendo poi ‘esclusa l’applicazione di interessi anatocistici, non configurandosi interesse composto dato che gli interessi di periodo sono calcolati solo sul capitale residuo ed alla scadenza della rata gli interessi maturati non vengono capitalizzati, bensì pagati come quota interessi della rata di rimborso’ . Pertanto, il fatto che, a parità di condizioni, il piano d’ammortamento alla francese sia più oneroso di quello all’italiana ‘discende non da un illegittimo effetto anatocistico proprio del primo programma di rateizzazione dell’obbligazione restitutoria, ma dal fatto che la necessità di mantenere costanti le rate per tutta la durata del contratto impone di diluire maggiormente del capitale e, pertanto, di predisporre un piano d’ammortamento di dura ta maggiore cui inevitabilmente corrisponde un maggior importo complessivo spettante a titolo di interessi, essendo maggiore il tempo per il finanziato per restituire l’importo a suo tempo erogatogli’ (così a p. 6, ultimo §, della sentenza) .
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui Intesa Sanpaolo s.p.a. ha resistito con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria n. 4297/2024, la trattazione del ricorso, all’esito dell’adunanza camerale del 4/10/2023, è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni unite sulla
questione pregiudiziale ex art. 363bis c.p.c., relativa alle conseguenze giuridiche derivanti dall’omessa indicazione, all’interno di un contratto di mutuo bancario, del regime di capitalizzazione ‘composto’ degli interessi debitori, pur a fronte della previsione per iscritto del TAN, nonché della modalità di ammortamento alla francese, cioè se tale carenza di espressa previsione negoziale possa comportare l’indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto , con conseguente nullità del contratto, nonché la violazione dell’art. 117, comma 4, TUB, con rideterminazione del piano di ammortamento applicando il tasso sostitutivo BOT.
La trattazione è stata fissata nuovamente per l’adunanza camerale del 25/6/2025.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la ‘ violazione dell’art. 1, legge 108/1996 nonché degli artt. 1419 e 1815, c. 2, c.c., con riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c., nonché non corretta e completa osservanza della pronuncia delle Sezioni Unite della sentenza n. 19597/2020 sull’ambito di rilevanza degli in teressi moratori ai fini dell’accertamento dell’usura – Motivazione apparente in riferimento all’art. 360, nn. 3 e 4 c.p.c.’, censurando l a motivazione della Corte territoriale là dove essa afferma che gli interessi di mora non sono usurari, in quanto ‘secondo la formula di calcolo indicata dalla stessa Cass. n. 19597/20, il tasso soglia degli interessi moratori è qui del 18,825% (ivi, pagg. 21 e s.), sicché, sulla scorta degli elementi probatori offerti, tale limite non risulta superato. Tanto che, anche a voler prescindere dal rilievo per cui, secondo la stessa pronuncia, sono pur sempre dovuti interessi moratori al tasso pattuito per gli interessi corrispettivi, purché, come in concreto, lecitamente
convenuti, in applicazione dell’art. 1224 c.c. (par. iv, pag. 24)’ (così a p. 5, 2° §, della sentenza).
Il motivo è infondato (ove non inammissibile).
1.1 Esso, infatti, dopo avere testualmente riportato un passaggio della sentenza impugnata (a sua volta contenente la citazione di un brano della motivazione della pronuncia di primo grado), assume la natura apparente della motivazione ‘in quanto esplicita solo un generico riferimento alla sentenza n. 19597/2020 della Cassazione ma non dimostra di fare corretta applicazione dei parametri in essa previsti, tra l’altro ancor più genericamente richiamando non meglio specificati «elementi probatori offerti»’. P rosegue, poi, con l’evocazione del seguente passo della motivazione di Cass., Sez. un., n. 19597/2020: ‘il tasso -soglia sarà dato dal T.e.g.m., incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e c on l’aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dal quarto comma dell’art. 2 sopra citato, mentre invece, laddove i decreti ministeriali non rechino l’indicazione della suddetta maggiorazione media, la comparazione andrà effettuata tra il Tasso effettivo globale (T.e.g.) del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori, e il T.e.g.m. così come rilevato nei suddetti decreti. Dall’accertamento dell’usurarietà discende l’applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c., di modo che gli interessi moratori non sono dovuti nella misura (usuraria) pattuita, bensì in quella dei corrispettivi lecitamente convenuta, in applicazione dell’art. 1224, comma 1, c.c.; nei contratti conclusi con i consumatori è altresì applicabile la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del d.lgs. n. 206 del 2005 (codice del consumo), essendo rimessa all’interessato la scelta di far valere l’uno o l’altro rimedio’. Successivamente, reca l’asserto secondo cui, ‘in particolare, non sono individuabili i criteri di calcolo in base ai quali si afferma che «il tassosoglia dell’interesse moratorio è qui del 18.825%» e «tale
limite non risulta superato»: tale superficiale argomentare dà luogo ad una mera petizione di principio e non dimostra assolutamente di aver applicato in modo rigoroso l’indirizzo nomofilattico della Suprema Corte con la richiamata pronuncia 19597/2020’.
Come è evidente, da un lato il motivo non illustra la violazione degli artt. 1419 e 1825 c.c.; dall’altro , a fronte di una motivazione che, facendo richiamo ai criteri di calcolo di cui a SU n. 19597/2020, individua il tasso soglia dell’interesse moratorio , ritenendolo nel caso di specie rispettato, si limita assertivamente a dedurre che essa non terrebbe conto, invece, del dictum della suddetta sentenza delle SU, senza argomentare in alcun modo tale affermazione né esplicitare le ragioni per cui il calcolo del tasso soglia moratorio, effettuato dalla Corte d’appello, sarebbe errato, né tantomeno proporne uno alternativo.
Il motivo illustra in tal modo solo un preteso vizio ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., perché lo fa con l’asserzione della genericità degli ‘elementi probatori offerti’ e, quindi, della non individuabilità dei ‘criteri di calcolo’. In tal modo, poiché i criteri di calcolo sono quelli indicati dalla sentenza delle Sezioni Unite e parte ricorrente bene avrebbe potuto discuterne in relazione alla risultanze di causa (trattandosi, peraltro, di questione di diritto presupponente questioni di fatto); e poiché l’allusione agli elementi probatori offerti si spiega considerando (cosa che parte ricorrente oblitera) che, nel riferire il motivo a pag. 4, penultima proposizione, la sentenza dà conto di una serie di elementi che esso aveva prospettato (ciò che rende palese che ad essi ha inteso alludere), l’assunto dell’apparenza di motivazione risulta del tutto privo di fondamento, in particolare non potendo reputarsi la pretesa sussistenza della genericità del riferimento agli ‘elementi probatori offerti’.
Il motivo è privo di fondamento per tale ragione.
1.2. In via aggiuntiva, ove si potesse prescindere dal rilievo appena svolto, il motivo incorrerebbe in un rilievo di inammissibilità.
Alla stregua del recente arresto di cui a Cass., n. 26525/2024 , si dovrebbe, infatti, rilevare la mancata indicazione dello snodo processuale di merito nel quale i detti decreti ministeriali sarebbero stati prodotti dalla parte odierna ricorrente, nonché la mancata indicazione del relativo contenuto ai fini della verifica dell’asserito errore di calcolo compiuto dalla Corte d’appello .
Infine – come rilevato dalla controricorrente a pagg. 22 ss. del controricorso -, il ricorrente non ha dedotto di essere mai incorso nella mora (essendo tenuto, quindi, a versare i relativi interessi), di modo che, al cospetto di un rapporto che ha avuto regolare esecuzione (al quale, pertanto, siano stati applicati i soli interessi corrispettivi), non potrebbe neppure astrattamente configurarsi una futura condizione di mora sulla quale l’accertamento invocato dalla ricorrente potrebbe incidere (si veda Cass., Sez. un., n. 19597/2020, secondo cui ‘l’interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi moratori sussiste anche nel corso dello svolgimento del rapporto, e non solo ove i presupposti della mora si siano già verificati; tuttavia, mentre nel primo caso si deve avere riguardo al tasso-soglia applicabile al momento dell’accordo, nel secondo la valutazione di usurarietà riguarderà l’interesse concretamente praticato dopo l’inadempimento’).
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., nn. 3 e 4, c.p.c., ‘ motivazione apparente e perplessa in relazione all’art. 132, c. 2, n. 4 c.p.c. e violazione dell’art. 360, nn.
3 e 4 c.p.c. non solo, come detto sub 1 in punto di esclusione della rilevanza degli interessi di mora ma in relazione al complessivo tenore argomentativo della pronuncia in oggetto’, lamentando che la Corte territoriale non abbia dato adeguata risposta alla censura svolta al punto 3 dell’atto d’appello, e denunciando inoltre come insoddisfacente la motivazione in punto di esclusione di nullità per indeterminatezza del contratto in relazione all’adottato parametro Euribor a tre mesi, in quanto la giurisprudenza di legittimità richiederebbe che il tasso variabile, per essere esattamente determinato, si riferisca ‘a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti generici riferimenti, dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione (Cass., n. 22179/2015)’ (così a p. 16, lett. b, del ricorso).
Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata (a pag. 5 e s.) si diffonde sulle ragioni poste a base dell’esclusione dell’anatocismo, quale effetto del piano di ammortamento cd. alla francese, di modo che la motivazione appare ampiamente eccedere il cd. minimo costituzionale . D’altra parte, la sentenza delle Sezioni unite della Cassazione n. 15130/2024, medio tempore intervenuta, ha per l’appunto – escluso ‘che la quota di interessi in ciascuna rata sia il risultato di un calcolo che li determini sugli interessi relativi al periodo precedente o che generi a sua volta la produzione di interessi nel periodo successivo’ (pag. 16). Né la ricorrente puntualizza in alcun modo la generica censura afferente all’anatocismo con riguardo allo specifico sviluppo del rappor to contrattuale dedotto in giudizio.
Quanto alla censura afferente a ll’indeterminatezza del contratto in relazione all’aggancio del tasso di interesse all’Euribor , la parte ricorrente non ha trascritto, nel ricorso, la clausola de qua , né ne ha riprodotto il contenuto, di modo che, anche in questo caso, la censura si mantiene su un piano di estrema genericità, senza
adeguatamente confrontarsi con la concreta conformazione del rapporto contrattuale intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e Intesa San Paolo s.p.a. Nella propria memoria, la ricorrente richiama l’ordinanza interlocutoria n. 6943 del 15 marzo 2025, con la quale le Sezioni unite hanno rinviato a nuovo ruolo la trattazione del ricorso, in attesa della decisione della CGUE su questione pregiudiziale (‘se dalla violazione dell’art. 101 TFUE (e dell’art. 2 della legge nazionale n. 287/90…), accertata dalla Commissione E uropea e confermata dalla Corte di Giustizia, discendano effetti sui singoli contratti stipulati dagli utenti finali e se tali effetti siano rilevanti soltanto per il mercato dei derivati oppure riguardino tutti i rapporti giuridici che abbiano fatto appli cazione dell’Euribor oggetto dell’intesa restrittiva della concorrenza’ ) la quale, all’evidenza , riguarda un aspetto in nessun modo intercettato dai motivi di ricorso (che non denunziano la nullità della clausola derivata dall’illiceità dell’intesa anticon correnziale).
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma , nn. 3 e 4, c.p.c., ‘ violazione degli artt. 61 e 112 c.p.c.: omessa nomina di CTU e relativa omessa pronuncia Motivazione apparente, il tutto con riferimento all’art. 360, nn. 3 e 4 c.p.c.’. Al riguardo, la ricorrente lamenta che, nel rigettare la richiesta di CTU, la Corte territoriale, ha posto in essere una violazione di legge sia sostanziale che procedurale, incorrendo anche in un evidente vizio di motivazione apparente. Più specificamente, a sostegno della propria tesi, la ricorrente deduce che in materie connotate da elevato tecnicismo come quella contabile che qui interessa, la CTU può anche assumere la qualifica di ‘percipiente’, e cioè avente ad oggetto un fatto non altrimenti dimostrabile se non tramite CTU. In casi del genere, sostiene la ricorrente, la CTU deve esse re ammessa in quanto è l’unico mezzo idoneo e necessario ‘sia per la ricostruzione dei rapporti bancari che si sono dipanati in molti anni, sia per accertare ipotesi di illegalità che richiedono una complessa valutazione scientifica dal punto di vista della matematica
finanziaria’ (così a p. 17, penultimo §, del ricorso). Sulla scorta di tali affermazioni la ricorrente denuncia che, disattendendo la richiesta di CTU, la Corte territoriale ha privato la ricorrente della possibilità di ottenere una corretta pronuncia sul merito della controversia, in violazione degli artt. 61 e 112 c.p.c. Inoltre, non verificando l’attendibilità della consulenza di parte prodotta dell’odierna ricorrente, la Corte territoriale avrebbe ulteriormente violato il disposto dell’art. 116 c.p.c. i n ordine al prudente e diligente apprezzamento da parte del giudice del materiale probatorio prodotto.
Il motivo è inammissibile, dal momento che la scelta di non disporre c.t.u. – rientrante nella discrezionalità del giudice di merito – è stata motivata (v. pag. 5, terzo cpv., della sentenza impugnata), né il ricorrente espone a quali diversi risultati il ricorso alla c.t.u. avrebbe consentito di pervenire. Alla stregua di Cass., n. 25281/2023, invero, ‘ il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è censurabile per cassazione unicamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., soggiacendo la relativa impugnazione alla preclusione derivante dalla regola della cd. “doppia conforme” di cui all’art. 348ter , comma 5, c.p.c. ( ratione temporis vigente) ‘ (si veda anche Cass., n. 7472/2017).
4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c., nonché non osservanza della statuizione della Corte costituzionale di cui alla sentenza n. 77/2018’, censurando la sentenza per non avere compensato le spese, in ragione vuoi della ‘ illegittimità della sentenza per le violazioni di legge appena riportate ‘ , vuoi del ‘ complesso tecnicismo ‘ e del ‘continuo evolversi giurisprudenziale sui punti oggetto del giudizio’, che sarebbero idonei ad integrare i ‘gravi motivi’ di cui all’art. 92 c.p.c. ‘.
Il motivo è inammissibile , alla stregua dell’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ‘in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata – nemmeno in minima parte – al pagamento delle stesse; ne consegue che il sindacato della Corte di cassazione è limitato all’accertamento della mancata violazione di detto principio, esulandovi sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite (tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto in quella di concorso con altri giusti motivi) sia la relativa quantificazione, ove quest’ultima non ecceda i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti, che restano appannaggio del potere discrezionale del giudice di merito’ (Cass., n. 9860/2025). In definitiva, l’omessa compensazione delle spese non è censurabile per cassazione, come statuito già vent’anni fa dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 14989/2005, alla cui stregua ‘ la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione ‘ (conf ormi, successivamente, Cass., n. 28492/2005; Cass., n. 7607/2006; Cass., n. 11329/2019).
Il ricorso dev’essere, pertanto, rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali (liquidate in dispositivo).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 8.000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione