Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9363 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9363 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28913/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
BISAZZA
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- sul controricorso incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO
presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 1516/2022 depositata il 30/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1.- La società RAGIONE_SOCIALE ha ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi AATC), per l’ammontare di 5915,49 euro, in ragione di una fornitura di materiale non pagata.
La AATC si è opposta ed ha spiegato domanda riconvenzionale per la somma di 171.000,00 euro. Ha sostenuto di avere concluso un accordo con la RAGIONE_SOCIALE in base al quale quest’ultima ha riconosciuto una provvigione del 10% sulle vendite di mosaici di vetro ad una società giordana, con la quale la RAGIONE_SOCIALE era stata messa in contatto proprio dalla AATC.
2.Il Tribunale di Verona ha rigettato l’opposizione, ritenendo provato il credito della RAGIONE_SOCIALE, ma ha anche accolto la riconvenzionale di AATC, sul presupposto che le prove assunte avevano dimostrato che era stato concluso un accordo avente ad oggetto la provvigione, ed in base al quale spettava ad AATC il 10% sul complessivo affare che RAGIONE_SOCIALE aveva fatto con la società della Giordania, grazie alla intermediazione per l’appunto di AATC.
3.- Questa decisione è stata oggetto di appello principale da parte di RAGIONE_SOCIALE che ha sempre negato di dovere la provvigione per
la mediazione dell’affare, e di appello incidentale da parte di AATC che lamenta il mancato riconoscimento, sulla somma dovutale per la provvigione, degli interessi di cui alla legge 231 del 2002.
4.- La Corte di Appello di Venezia ha rigettato entrambi gli appelli, ed ha compensato per un terzo le spese di lite.
5.- Avverso questa decisione ricorre con ricorso principale AATC, con due motivi di censura e memoria, che in realtà funge da controricorso al ricorso incidentale, che è proposto da Bisazza spa con undici motivi di ricorso.
Ragioni della decisione
L’ordine logico delle questioni impone di tener conto preliminarmente del ricorso incidentale. Esso, infatti, verte sul diritto alla provvigione, mentre il ricorso principale verte sugli interessi, e dunque dà per acquisito che il diritto alla provvigione sia fondato.
1.Il ricorso incidentale.
E’ basato su undici motivi, alcuni dei quali però sono raggruppati in un’unica esposizione e contengono censure diverse al medesimo capo di sentenza o alla medesima ratio decidendi .
2.- In tal senso, il primo, il secondo ed il terzo motivo , sono relativi al rilievo da assegnare, nell’ambito delle prove assunte, ad una determinata email , da cui i giudici di merito avrebbero tratto prova della promessa della provvigione.
In sostanza, era stata prodotta in giudizio una mail in base alla quale si dava atto che l’affare con i giordani ammontava ad 1.700.000 euro, comprensivi della provvigione al 10%. I giudici di merito avevano tratto da questa mail, unitamente alle altre prove, la convinzione che dunque vi era stato un accordo sulla provvigione rivendicata da AATC.
Questi tre motivi hanno una premessa comune. La tesi della ricorrente è che in primo grado quella email era stata sia disconosciuta (quindi come riferibile alla ricorrente) sia contestata
nel suo contenuto, ossia nel senso che non potesse ricavarsene indizio della conclusione di un contratto di provvigione.
Secondo la ricorrente, ed è questa la censura del primo motivo, la decisione impugnata avrebbe violato il principio della domanda, e dunque l’articolo 112 c.p.c., non avendo pronunciato su uno dei due motivi di appello. La decisione impugnata avrebbe deciso solo sulla validità del disconoscimento, negandola, ma non sulla interpretazione del contenuto della mail.
Sostiene la ricorrente che, a prescindere dalla validità del disconoscimento, che la Corte di Appello ha ritenuto irrituale, non formalmente corretto, restava da esaminare il valore probatorio di quella mail, su cui la Corte di Appello non si sarebbe pronunciata.
Entrambe le questioni erano state poste, e solo una ha trovato risposta.
Il vizio è dunque presentato con il primo motivo come omessa pronuncia.
Nel secondo motivo, illustrato congiuntamente, è alternativamente presentato come omesso esame ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (ed anche con evocazione dell’art. 111, sesto comma , Cost.
Infine, è svolta con il terzo motivo censura di erronea interpretazione e di violazione degli articoli 1362, 1325 n.1, 1418, 2697 c.c., in quanto un accorto esame delle espressioni letterali avrebbe portato a escludere il diritto alla provvigione.
Questi tre motivi sono inammissibili.
La ricorrente non dimostra di avere posto una specifica questione quanto al contenuto della mail. Risulta che ha disconosciuto la mail, ma non che abbia proposto una determinata interpretazione del suo contenuto o che ne abbia in realtà contestato il valore probatorio.
E del resto, in primo grado, la eccezione di disconoscimento era stata rigettata a cagione della sua genericità.
In sostanza, sulla base di quanto riportato in ricorso (all’ultimo rigo della pagina 16 e nelle prime due della successiva pagina 17) non si può ricavare, come invece sostiene parte ricorrente, che sia stato effettivamente proposto un motivo di appello sulla errata interpretazione del documento n. 2.
Ne discende che quanto argomenta parte ricorrente risulta del tutto inidoneo ad evidenziare la dedotta omessa pronuncia e pure la prospettiva subordinata dell’omesso esame.
Di conseguenza, rigettati i primi due motivi, il terzo è inammissibile, poiché il ricorrente non dimostra di avere posto in appello la questione della rilevanza dell’interpretazione letterale della mail , che prospetta qui per la prima volta, a dimostrare che la provvigione era già inclusa nella somma, e non doveva quindi calcolarsi in maggiorazione rispetto ad essa.
Inoltre, la denuncia di omesso esame, ma anche quella di omessa pronuncia, presuppongono che l’omissione sia stata decisiva. Qui la corte di merito sembra trarre invece argomento da un insieme di prove, e non è dato intendere che peso abbia avuto il contenuto di quella mail , ed era onere del ricorrente che censura il rilievo dato a quella mail , di allegarlo.
Il primo ed il secondo motivo, fermo l’assorbimento di quanto già rilevato, risulterebbero allora comunque inammissibili ai sensi dell’art. 360 -bis n. 2 c.p.c., secondo la lettura datane da Cass. n. 22341 del 2017 e successive conformi. Ciò per difetto del requisito della decisività.
3.- Il quarto motivo prospetta violazione dell’articolo 115 c.p.c.
Esso lamenta errori percettivi che avrebbero condotto a ritenere provato l’accordo di provvigione (<> (p. 29).
In altri termini, la Corte di appello avrebbe basato la conclusione dell’accordo di provvigione su prove travisate.
Secondo la ricorrente: <> (p. 30).
Il motivo assume in buona sostanza un errore nella valutazione delle prove complessivamente assunte (documentali e testimoniali).
Né il motivo è dedotto è dedotto nel rispetto dei criteri indicati da questa Corte (in particolare da Cass. n. 11892 del 2016, ribaditi, in motivazione espressa, poi da Cass., Sez. Un. n.16598 del 2016, e, quindi, da Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020). Né ricorrono i presupposti del c.d. travisamento per come indicati da Cass., Sez. Un., n. 5792 del 2024.
4.- Il quinto motivo prospetta violazione degli articoli 2729 c.c. Secondo la ricorrente, la prova della conclusione dell’accordo sarebbe stata ricavata per presunzioni. L’elemento noto da cui è stato dedotto quello ignoto (la promessa della provvigione) starebbe, per l’appunto, come detto prima, sia nell’esito delle testimonianze che nel contenuto della mail .
Ma entrambi sarebbero indizi insufficienti a far dire che c’è stata una promessa di provvigione, non presentando essi il carattere della gravità e precisione.
Il motivo è inammissibile.
Postula che le prove dirette siano indizi.
In realtà, da un lato, il documento contiene rappresentazione diretta del fatto da provare (la promessa della provvigione), per altro verso le prove testimoniali provano direttamente un elemento dell’accordo, ossia l’avvenuta conclusione dell’affare.
Dunque, in entrambi i casi è escluso che la corte di merito abbia fatto ricorso ad un ragionamento presuntivo, e di conseguenza la censura di violazione delle regole che a quel ragionamento presiedono è fuori luogo.
Inoltre, non viene indicata in alcun modo la motivazione con cui la corte di merito avrebbe svolto il preteso ragionamento presuntivo: il che rende arbitrari i ragionamenti circa gravità, precisione e concordanza indicati a pag. 31-32. Essi sono frutto, in realtà, di una libera ricostruzione, ed in realtà si risolvono nella sollecitazione ad una rivalutazione della quaestio facti , così ponendosi del tutto al di fuori dei criteri di deduzione della violazione dell’art. 2729 c.c. indicati da Cass. Sez. Un., n. 1785 del 2018, con ampia motivazione di cui ai paragrafi 4 e ss., cui si rinvia e che risultano ribaditi da numerose pronunce a sezione semplice.
5.Il sesto, settimo, ottavo e nono motivo sono anche essi presentati insieme.
Denunciano nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma I, nr. 4, c.p.c.; nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 115 c.p.c., in riferimento all’art. 360, comma I, nr. 4 c.p.c.; nullità della sentenza per omessa pronuncia su un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in riferimento all’art. 360, comma I, nr. 5, c.p.c., e 111, comma VI, cost.; violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 116 e 210 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma I, nr. 3, c.p.c.
Essi non sono in realtà nettamente distinguibili, nel senso che si possa ricondurre a ciascuno una specifica censura.
Ed è perciò che la controcorrente ne eccepisce l’inammissibilità, per difetto di specificità o tassatività (p. 5 della memoria).
Questa eccezione però può essere disattesa in quanto è principio di diritto che <> (Cass. sez. Un. 32415/ 2021).
Nel caso presente, si capisce quale è la censura mossa.
La ricorrente sostiene che il Tribunale, in primo grado, dopo aver rigettato l’ordine di esibizione fatto dalla controparte AATC, volto a far si che RAGIONE_SOCIALE producesse le scritture contabili, avrebbe dato rilievo probatorio alla circostanza che comunque Bisazza quelle scritture non aveva prodotto di suo, spontaneamente.
Sostiene la ricorrente di avere impugnato questa ratio, e che però la Corte di Appello ha frainteso l’impugnazione, occupandosi invece del mancato ordine di esibizione, che però era stato negato non a lei ma alla controparte, e dunque senza occuparsi della vera questione: il rilievo probatorio dell’omesso deposito.
I motivi, che censurano questa ratio con diversi argomenti, (omesso esame, violazione dell’articolo 112 c.p.c., violazione dell’articolo 116 c.p.c.) sono inammissibili, poiché non dimostrano che ciò di cui avrebbe dovuto occuparsi la Corte, ossia il rilievo probatorio assegnato dal Tribunale al mancato deposito delle scritture contabili, corrispondeva veramente ad una ratio decidendi oggetto poi di impugnazione.
La controricorrente osserva come invece il Tribunale non abbia mai dato rilievo a quella omissione, essendosi solo occupato della inammissibilità dell’ordine di esibizione. Ossia, il giudice del primo grado ha rigettato l’ordine di esibizione e basta, non ha speso alcunché sul fatto che i documenti da esibire non erano stati comunque spontaneamente depositati dalla RAGIONE_SOCIALE e che tale omissione era rilevante.
Né del resto, in ricorso, la RAGIONE_SOCIALE riporta il passo della sentenza di primo grado contenente tale ratio decidendi . Né infine dimostra quale, in ipotesi, può essere stata la rilevanza di quella ratio, ossia se, eliminata essa, vale a dire smentita la rilevanza probatoria del mancato deposito, la decisione avrebbe avuto altro esito.
6.- Il decimo motivo prospetta violazione degli articoli 2712, 2724 e ss. c.c.
La censura attiene alla ammissione della prova testimoniale, che ha avuto ad oggetto la conclusione di accordo contro la regola per la quale i contratti non si provano per testi (art. 2721 c.c.)
Vero è, ammette la ricorrente, che i giudici di appello hanno fatto applicazione dell’articolo 2724 c.c., ritenendo dunque ammissibile la prova testimoniale in quanto esisteva un principio di prova per iscritto, ma è altresì vero che tale decisione è da dirsi errata, in quanto non vi era alcun principio di prova di tal genere.
Il motivo è inammissibile.
Mira a censurare un apprezzamento rimesso al giudice di merito, ossia la circostanza che la mail, e dunque una prova scritta proveniente fino a prova contraria dallo stesso debitore, potesse considerarsi principio di prova.
La ricorrente censura, tuttavia, anche la circostanza che comunque il principio di prova deve vertere sull’oggetto della stessa prova testimoniale. Il che è errato in quanto <> (Cass. 1776/ 2012; Cass. 24903/ 2023).
7.L’undicesimo motivo prospetta omesso esame di un fatto rilevante e controverso.
Sostiene la ricorrente che la decisione impugnata ha dato per provato che non solo l’accordo si è concluso, ma che altresì è stato eseguito.
Invece ha omesso di valutare adeguatamente le risultanze probatorie, da cui quella circostanza non può affatto trarsi.
Non può cioè dirsi provato che la vendita è stata eseguita, che il materiale è stato effettivamente consegnato, posto che solo in tal caso, in ipotesi, spetterebbe la provvigione al mediatore dell’affare.
Il motivo è inammissibile.
Sotto l’apparente formula del vizio di omesso esame, peraltro di per sé inammissibile, trattandosi di doppia decisione conforme, cela una censura di erronea valutazione delle prove, che è invece vizio non prospettabile in cassazione, se non per difetto di motivazione.
Il ricorso principale .
Il rigetto del ricorso incidentale rende necessario scrutinare quello principale
Il Collegio rileva che il ricorso è inammissibile in quanto sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME che non è iscritto nell’albo speciale dei cassazionisti.
Tuttavia il ricorso resta ammissibile in quanto sottoscritto dagli altri due difensori che sono abilitati.
1.La ricorrente principale con il primo motivo prospetta violazione della legge n. 231 del 2002, in tema di interessi moratori.
I giudici di merito, nel riconoscere il diritto alla provvigione, hanno però negato gli interessi propri delle transazioni commerciali, sul presupposto che, pur essendo l’attività svolta dalla società RAGIONE_SOCIALE assimilabile a quella di un agente, non spettano gli interessi
moratori propri delle attività commerciali, perché essi presuppongono che si svolga un’attività di consegna di merci o di prestazione di servizi: ma né l’agente né il procacciatore, che a quello è assimilato, svolgono una simile attività.
La ricorrente contesta questa tesi sostenendo che questa Corte ha invece ritenuto che gli interessi moratori spettano altresì agli agenti, non ostando a tale riconoscimento alcuna interpretazione della legge d. 231 del 2002 (Cass. 10528/ 2022).
Il motivo è fondato.
Come messo in luce da questa Corte nella precitata decisione, il riferimento alla prestazione di servizi (art. 2 l. 231 del 2002) non può essere inteso in senso restrittivo e deve comprendere anche i servizi resi dagli agenti, o dai mediatori, e con essi dai procacciatori, che da quelli si distinguono solo perché il mediatore è un soggetto imparziale, e nel procacciamento di affari l’attività dell’intermediario è prestata esclusivamente nell’interesse di una delle parti (Cass. 18489/ 2020; Cass. 4222/ 2009).
Del resto, è principio di diritto che si applicano al procacciatore le norme previste per l’agente (Cass. 18489/ 2020; Cass. 4222/ 2009).
Non rileva del resto che l’attività sia posta in essere solo occasionalmente e non in maniera professionale.
E’ pacifico, sì, che la società RAGIONE_SOCIALE, che rivendica la provvigione e gli interessi relativi, non svolgesse professionalmente l’attività di procacciatrice di affari, ma è altresì vero che quello della abitualità o professionalità non è requisito previsto dalla norma.
Inoltre, essendo la ricorrente principale una società di capitali e, dunque, un imprenditore, si deve considerare che -salvo casi eccezionali, come, ad esempio, il procacciamento svolto a favore di un socio e, dunque, per ragioni inerenti al rapporto societario, ed altri casi consimili, nei quali cioè non sia implicata una causalità espressione dell’attività imprenditoriale le attività che essa svolge
debbono pur sempre considerarsi espressione della sua capacità imprenditoriale. In altri termini, se una società commerciale si determina a compiere un’attività di procacciamento di affari, sebbene essa non abbia come oggetto sociale tale attività, si deve ritenere, salvo che non risulti una finalità estranea, che comunque, l’episodico svolgimento dell’attività di procacciamento sia sempre espressione di un agire funzionale all’oggetto sociale, a meno che ciò non risulti in concreto escluso dal perseguimento di una finalità diversa.
2.- Il secondo motivo del ricorso principale denuncia violazione dell’articolo 112 c.p.c.
Secondo la ricorrente, la corte di appello ha deciso nuovamente sulle spese, anche quelle del primo grado compensandole per 1/3, nonostante non vi fosse appello su tale capo di decisione.
Il motivo è fondato.
E’ infatti principio di diritto che Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiché gli oneri della lite devono essere ripartiti in ragione del suo esito complessivo, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata dal giudice del gravame soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass. 16256/ 2024).
Non vi è stato appello specifico sulle spese, come riconosce la stessa RAGIONE_SOCIALE la quale però ritiene che l’appello sul merito devolve anche quello sulle spese.
Ma, in ragione del fatto che, la decisione di primo grado è stata integralmente confermata, giusto il principio di diritto sopra richiamato, avrebbe dovuto esservi specifico appello sulle spese.
Va dunque accolto il ricorso incidentale, e rigettato quello principale. La decisione impugnata va di conseguenza cassata con rinvio.
P.Q.M.
1.- La Corte rigetta il ricorso incidentale. In accoglimento del ricorso principale, cassa la decisione impugnata e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di Venezia, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17/02/2025.