Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20433 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20433 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30235/2018 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NOME n. 5625/2017 depositata il 06/09/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE Capitale (già Comune RAGIONE_SOCIALE), con Ordinanza sindacale del 1.8.1975, ha disposto l’occupazione e l’immissione in possesso di una porzione immobiliare di proprietà della RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) di complessivi 23.300,85 mq per la realizzazione di un collettore fognario comunale denominato ‘Spinaceto -2° tronco’.
Con atto di citazione del 22.6.1985 la RAGIONE_SOCIALE ha convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE Capitale dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE per richiedere il pagamento dell’indennità di occupazione legittima del terreno e del risarcimento dei danni conseguito alla perdita della proprietà dell’area acquisita al Comune in seguito alla realizzazione dell’opera pubblica, non seguita da provvedimento di esproprio.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 15353/1995, ha dichiarato la propria incompetenza funzionale sulla domanda di indennità di occupazione legittima e ha rigettato la domanda di risarcimento danni, ritenendo che, trattandosi di illecito permanente derivante dalla presenza dell’opera pubblica, mancava l’allegazione e la prova del danno.
La Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 132/2002, ha accolto l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE e ha dichiarato l’intervenuta acquisizione a titolo originario da parte del Comune di una porzione di terreno di 9.472 mq a decorrere dal 22.9.1980, condannando l’ente comunale al pagamento dell’indennità di occupazione legittima e del risarcimento danni.
Avverso la predetta sentenza entrambe le parti hanno proposto ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi.
Il Comune di RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso incidentale, lamentando che la Corte di merito aveva erroneamente ravvisato nella fattispecie una ipotesi di acquisizione appropriativa.
La Corte di Cassazione, I sez. civile, con sentenza n. 14049/2008, in accoglimento del primo motivo di ricorso incidentale, ha cassato la sentenza e ha rinviato alla Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE in diversa composizione, ritenendo che:
la realizzazione di un collettore di cemento, che occupava solo in parte il suolo ed il sottosuolo del fondo del privato, non costituiva un’ipotesi di occupazione acquisitiva dell’immobile, ma, limitandone le facoltà di godimento, comportava l’imposizione e l’esercizio di una servitù di fatto;
la realizzazione del collettore e il suo esercizio concretavano, dunque, un illecito comune a carattere permanente, perdurante sino alla cessazione dell’esercizio dell’opera e alla rimozione del manufatto o alla costituzione di una regolare servitù, fonte di danno in re ipsa in ragione della perdita di disponibilità del bene occupato dal manufatto, da risarcire in relazione sia ai frutti perduti, sia alla diminuzione di valore subita dall’immobile nella sua interezza, sia agli oneri e alle perdite comunque verificabili nel futuro, secondo serie probabilità connesse alla natura del bene e ad altri elementi oggettivi.
Riassunto il giudizio dalla RAGIONE_SOCIALE, la Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza non definitiva n. 6117/2015, ha accolto l’appello e ha pronunciato condanna generica di RAGIONE_SOCIALE Capitale al risarcimento del danno subito dalla RAGIONE_SOCIALE, quantificato, anno per anno di occupazione e sino al suo termine, nell’interesse legale da calcolarsi sulla diminuzione di valore intervenuta in ciascun anno rispetto al
valore teorico dell’area in assenza di occupazione come stimato dal ctu (con le diverse percentuali quantificate con riferimento alla porzione di 3.320 mq direttamente occupata dal manufatto, alla porzione di 6.152 mq immediatamente limitrofa e alla restante porzione di 13.828,85 mq), oltre rivalutazione monetaria e interessi compensativi sugli importi originari, via via e anno per anno rivalutati.
La Corte di merito ha, pertanto, riservato la liquidazione del danno nel suo preciso ammontare alla sentenza definitiva, previo espletamento di ulteriori accertamenti tecnici.
La Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza definitiva n. 5625/2017, ha condannato RAGIONE_SOCIALE Capitale al pagamento di € 270.879,29 a titolo di risarcimento del danno compresi interessi compensativi maturati sino al 4 ottobre 2016, oltre ulteriori interessi compensativi sino alla data della sentenza.
In particolare, la Corte territoriale ha integralmente recepito le valutazioni proposte dal consulente tecnico d’ufficio nel supplemento delle indagini disposto ai fini della liquidazione del danno e ha affermato che:
-gli interessi legali sulla diminuzione di valore anno per anno dalla fine dell’occupazione legittima del gennaio 1981 sino all’aprile 2016 , concretanti il risarcimento del danno, ammontavano ad € 165.101,35;
-l’importo complessivo di interessi legali e rivalutazione monetaria ammontava ad €255.543,04;
-gli interessi compensativi da ritardata liquidazione del danno ammontavano ad €15.336,25.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, affidandolo a tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE Capitale ha resistito in giudizio con controricorso.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1218, 1219, 1223, 1226 e 1227 cod. civ., in relazione alla spettanza ed al criterio di calcolo degli interessi compensativi sulla somma rivalutata, riconosciuta a titolo di risarcimento da illecito aquili ano, con riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c.
Espone la ricorrente che la Corte d’Appello ha errato in quanto, nell’aderire alle conclusioni del CTU, ha calcolato gli interessi compensativi per ciascun anno solo per 365 giorni, anziché, come suggerito dal proprio CTP, calcolarli per ogni anno ‘dal primo giorno di ciascun anno fino alla data del 31.12.2015’, momento della liquidazione del danno. Evidenzia che il metodo di calcolo degli interessi compensativi seguito dalla Corte d’Appello non rispetta il criterio sub d) previsto del quesito formulato al CTU, al quale era stato richiesto di quantificare ‘gli interessi compensativi al saggio sugli importi originari come quantificati, via via e anno per anno rivalutati sino al termine delle operazioni peritali.
Con il secondo motivo è stata dedotta la nullità parziale della sentenza per assenza di motivazione (neppure implicita) ed insanabile contrasto con la motivazione della sentenza non definitiva 6117/2015, dalla quale dichiara di far discendere la motivazione.
In particolare, la sentenza impugnata è nulla per motivazione apparente, per non aver dato conto delle ragioni che hanno portato a disattendere quanto statuito con la sentenza non definitiva n. 6117/2015, limitandosi ad affermare che il CTU si era strettamente attenuto ai criteri di cui al quesito.
I primi due motivi, da esaminarsi unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono fondati.
La questione di cui è causa attiene al calcolo degli interessi compensativi.
Va premesso che la sentenza non definitiva della Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE n. 6117/2015 aveva riconosciuto il risarcimento del danno per l’occupazione di parte del sottosuolo – nella misura degli interessi legali da calcolarsi sulla diminuzione del valore intervenuta in ciascun anno, oltre alla rivalutazione monetaria e agli «interessi compensativi sugli importi originari, via via e anno per anno rivalutati», trattandosi di credito di valore.
Tale statuizione era, peraltro, conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, in tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, sulla somma riconosciuta al danneggiato a titolo di risarcimento è necessario considerare, oltre alla svalutazione monetaria (che costituisce un danno emergente), anche il nocumento finanziario subito a causa della mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento (integrante un lucro cessante). Qualora tale danno sia liquidato con la tecnica degli interessi, questi non vanno calcolati nè sulla somma originaria, nè sulla rivalutazione al momento della liquidazione, ma debbono computarsi o sulla somma originaria via via rivalutata, anno per anno, ovvero sulla somma originaria rivalutata in base ad un indice medio, con decorrenza sempre dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso (Cass. 2979/2023; Cass. 8766/2018).
Ciò premesso, nonostante che nel giudizio conseguente alla sentenza non definitiva fosse stato formulato al c.t.u. il quesito di calcolare gli interessi compensativi, secondo il criterio previsto nella sentenza non definitiva, in realtà, nella sentenza definitiva impugnata, la Corte d’Appello – sebbene affermi che il c.t.u. si
sarebbe attenuto ai criteri della sentenza non definitiva, in quanto non modificabili dalla sentenza definitiva – in realtà ha adottato, sulla scorta della c.t.u., un criterio del tutto diverso.
Ed invero, gli interessi compensativi -quantificati dal CTU e poi dalla Corte d’Appello in € 15.337,25 – sono stati calcolati per ciascun anno solo per 365 giorni, ossia per il solo anno 1981 di produzione dell’evento dannoso, a nziché, come si evinceva dal quesito, essere calcolati per ogni anno ‘ dal primo giorno di ciascun anno fino alla data del 31.12.2015’ .
Tale circostanza è stata specificamente evidenziata dalla parte ricorrente – in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso a pag. 22 del ricorso per cassazione, in cui è stato dato atto che il c.t.p. di parte ricorrente aveva consegnato al CTU un prospetto contenente il riepilogo dei conteggi in cui gli interessi compensativi erano stati calcolati non per 365 giorni per un solo anno, ma dal primo giorno di ciascun anno fino alla data del 31.12.2015.
Il c.t.u., pur avendo ritenuto esatto, sotto il profilo del calcolo, il prospetto elaborato dal c.t.p. di parte ricorrente (vedi prospetto allegato 3, richiamato a pag. 19 del ricorso), in forza del quale gli interessi sulla somma rivalutata anno per anno producevano il ben più rilevante importo di € 424.397,08, ha affermato che non condivideva il criterio ivi esposto. In particolare, il c.t.u., nella sua relazione (richiamata, parimenti, dalla ricorrente a pag. 22 del ricorso) ha espressamente riconosciuto di aver calcolato gli interessi compensativi per 365 giorni ed ha giustificato tale posizione con il rilievo che avendo, in risposta al quesito c), già determinato per ciascun anno di occupazione a partire dal gennaio 1981 e fino all’aprile 2016, ‘gli interessi legali’ e rivalutazione RAGIONE_SOCIALE sulla accertata diminuzione di valore delle aree interessate dal manufatto fognario, per l’importo complessivo di € 255.543,04, ove avesse applicato i criteri di calcolo suggeriti dal c.t.p. della odierna
ricorrente, avrebbe potuto verificarsi una duplicazione del risarcimento dovuto alla parte appellante per lo stesso pregiudizio.
Non vi è dubbio che sia il c.t.u., che la sentenza impugnata (che ha fatto proprie le conclusioni del proprio ausiliario) siano incorsi nell’errore di non considerare che gli interessi compensativi indicati nella sentenza non definitiva avevano la diversa finalità di risarcire il danneggiato del ritardo con cui veniva pagato l’indennizzo, mentre gli ‘interessi legali’ (sulla diminuzione di valore dell’area) indicati nella stessa sentenza non erano che una modalità di calcolo del danno subito dalla RAGIONE_SOCIALE.
Infine, non vi è dubbio che la Corte d’Appello, con i criteri di calcolo adottati secondo quanto sopra illustrato, abbia provveduto – con motivazione del tutto illogica – in palese contrasto con la sentenza non definitiva, che non avrebbe potuto essere modificata da quella definitiva. Le statuizioni contenute nella sentenza non definitiva non possono, invero, essere modificate o revocate con la sentenza definitiva, in quanto i singoli punti della prima possono essere sottoposti a riesame solo con le impugnazioni, mentre la non definitività concerne soltanto la non integralità della decisione della controversia, e non anche la modificabilità, da parte dello stesso giudice, di ciò che è già stato deciso (Cass. 13621/2014; Cass. 1708/2016). Peraltro, anche la motivazione sul punto è del tutto assente, riducendosi all’affermazione apodittica circa la correttezza del computo operato dal c.t.u. e del rispetto fedele delle statuizioni della sentenza non definitiva.
Con il terzo motivo è stato dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla consistenza dei conteggi ed alle dichiarazioni del C.T.U., con riferimento all’art. 360, n. 5 c.p.c..
Ad avviso della ricorrente, la Corte d’Appello ha errato per aver omesso di esaminare le relazioni del CTU e del CTP della RAGIONE_SOCIALE sulle modalità di calcolo degli interessi compensativi.
Il motivo è assorbito per effetto dell’accoglimento dei primi due.
La sentenza impugnata deve essere quindi cassata con rinvio alla Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, per nuovo