Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 16615 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 16615 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. r.g. 10076/2023 proposto da:
COGNOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e COGNOME
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI MODENA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
e contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del liquidatore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
REGIONE EMILIA ROMAGNA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1487/2023 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 13/02/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale chiede il rigetto del ricorso.
Fatti di causa .
§ 1.1 Augusta, NOME e NOME COGNOME propongono due motivi di ricorso, ex art. 111, comma 8, Cost., art. 362 c.p.c., art.360, comma 1 n.1 c.p.c. ed art. 110 c.p.a., avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui il Consiglio di Stato, nel contraddittorio con il Comune di Modena, la Regione Emilia-Romagna e la RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello da essi ricorrenti proposto nei confronti della sentenza del TAR Emilia-Romagna n. 418/21, dichiarativa (a seguito di riassunzione da precedente sentenza n.3358/20 del Consiglio di Stato, adito in sede di ottemperanza) dell’inammissibilità del ricorso da essi proposto per ottenere l’annullamento dei seguenti provvedimenti del Comune, tutti relativi ad un parcheggio multipiano sito in Modena con annessa attività polifunzionale (Garage Ferrari); parcheggio già in proprietà della RAGIONE_SOCIALE e la cui edificazione era definitivamente risultata illegittima, su risalente ricorso dei Dallari, per consistente superamento della volumetria ammessa ex art. 7 (limiti di densità edilizia) del D.M. n. 1444/1968 sugli standard urbanistici:
Determina consiliare 4.7.2018 n. 101756 di assegnazione alla B.A. Service del termine di 90 giorni per procedere alla
e contro
demolizione del fabbricato o per chiedere, in alternativa, il permesso di costruire in sanatoria;
Delibera di Giunta 1.8.2018 n. 390 di approvazione di uno schema di protocollo di intesa con RAGIONE_SOCIALE (sottoscritto pochi giorni dopo) con il quale la società si impegnava a non presentare domanda in sanatoria affinché, una volta scaduto il termine per demolire, l’amministrazione acquisisse gratuitamente l’immobile al patrimonio comunale, destinandolo in parte a garage pubblico ed in parte ad altri usi pubblici, come poi avvenuto;
Determina 31.10.2018 di effettiva acquisizione del fabbricato, accertata la mancata esecuzione dell’ordine di demolizione, al patrimonio comunale;
Determina 20.12.2018 n.93 di dichiarazione del prevalente interesse pubblico alla conservazione dell’edificio.
§ 1.2 Il Consiglio di Stato , respinta l’eccezione di inammissibilità, ovvero improcedibilità, dell’appello opposta dal Comune, ha nel merito osservato (per quanto qui rileva) che:
I COGNOME, proprietari confinanti, non vantavano un interesse qualificato e differenziato ad impugnare l’atto di acquisizione gratuita del fabbricato abusivo al patrimonio comunale, posto che: – era per essi del tutto indifferente che tale fabbricato fosse in proprietà di RAGIONE_SOCIALE piuttosto che del Comune; -l’effetto traslativo della proprietà si verificava ipso jure in automatica conseguenza della mancata demolizione nei termini (Consiglio di Stato sent. n. 4888/20); – al riguardo, si era comunque formato anche un giudicato sulla base della citata sentenza del Consiglio di Stato n. 3358/2020, secondo cui: ‘ Una volta identificato nella tutela del legittimo affidamento l’elemento normativo che differenzia sensibilmente la posizione
di colui che abbia realizzato in buona fede l’opera abusiva sulla base di titolo annullato rispetto a quanti abbiano realizzato opere parimenti abusive senza alcun titolo, ne consegue che gli odierni ricorrenti non hanno un interesse qualificato a far valere l’illegittimità dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale sofferta dal proprietario dell’immobile, il quale soltanto avrebbe diritto a dolersene ‘;
Un interesse differenziato e qualificato (in termini di eliminazione del pregiudizio economico ed estetico arrecato dall’opera abusiva alla loro contigua proprietà per deturpazione del panorama, limitazione della visuale, rumorosità ed altri profili peritalmente dedotti) sussisteva invece in capo ai Dallari rispetto al provvedimento con il quale il Comune aveva deciso di non procedere alla demolizione, esso in sostanza identificandosi con quello stesso interesse che li aveva originariamente legittimati ad impugnare il titolo edilizio;
Ne conseguiva che l’appello andasse esaminato con esclusivo riguardo all’impugnazione della delibera consiliare n. 93/2018, con la quale era stato dichiarato il prevalente interesse pubblico alla conservazione del garage;
Le censure (quinto e sesto motivo di appello) relative alla illegittimità di questa delibera erano tuttavia infondate, dal momento che: l’inderogabilità dei limiti volumetrici di cui all’art. 7 D.M. 1444/68 cit. non escludeva, ai sensi degli artt. 31, commi 3 e 5, del D.P.R. n. 380/2001 e degli analoghi commi 3 e 5, dell’art. 13 della L.R. n. 23/2004 (sugli effetti della mancata esecuzione dell’ordine di demolizione, indipendentemente dalla ragione che l’aveva determinato) né la diretta acquisizione del manufatto al patrimonio comunale, né (una volta così acquisito il bene) l’opzione, in alternativa alla
demolizione, per la sua conservazione mediante destinazione a finalità pubblicistica, purché questa conservazione ‘… non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico ‘; – contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, non poteva ritenersi, pena la sostanziale eliminazione della potestà pubblica di conservazione del manufatto abusivo, che il ‘rilevante interesse urbanistico’ ostativo fosse ex se individuabile nello stesso superamento della volumetria assentita, essendo esso cosa diversa, e ben più rilevante, dalla mera violazione della disciplina edilizia; – il fatto che la delibera n. 93/2018 in esame affermasse che l’eventuale inderogabilità dei limiti posti dal D.M. n. 1444/1968 avrebbe impedito di valutare l’interesse pubblico al mantenimento del bene, integrava ‘ un’opinione, circa il regime normativo applicabile alla fattispecie, non vincolante per il giudice, che deve pronunciare solo sulla base dell’interpretazione della disciplina di settore che egli, in virtù di autonomi parametri ermeneutici, ritiene più corretta’ ; e, nel caso di specie, il problema della derogabilità/inderogabilità dei limiti del D.M. n. 1444/1968 risultava in definitiva indifferente ai fini di causa, essendo superabile dal preminente interesse pubblico alla conservazione;
Quanto all’effettiva e concreta sussistenza di questo preminente interesse pubblico, la delibera n. 93/2018 ne recava ampia motivazione (con riguardo, del resto, ad una scelta largamente discrezionale) in termini di funzionalità dell’ampio garage (360 stalli) al parcheggio pubblico nella zona (altrimenti carente) ed alla decongestione del traffico urbano, in modo tale che: ‘ risulta evidente la preponderanza dell’interesse generale a conservare l’immobile, per destinarlo a soddisfare conclamate e non
smentite esigenze di spazi da adibire alla sosta dei veicoli, su quello al ripristino della legalità violata ‘.
§ 1.3 Mentre la Regione Emilia-Romagna, già contumace in appello, restava qui intimata, depositavano controricorso tanto il Comune di Modena quanto RAGIONE_SOCIALE
Il primo deduceva la inammissibilità, e comunque manifesta infondatezza, del ricorso, la seconda eccepiva la carenza della propria legittimazione passiva, pacifico essendo che essa da tempo (ottobre 2018) non fosse più proprietaria del bene in oggetto proprio perché appreso al patrimonio comunale.
I ricorrenti hanno depositato memoria 28.6.2023 di replica alle avverse eccezioni di inammissibilità del ricorso, nonché ulteriore memoria 14 marzo 2025.
Memoria è stata depositata il 12 marzo 2025 anche dal Comune di Modena.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione .
§ 2. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della RAGIONE_SOCIALE
Si osserva che l’ oggetto del giudizio era e rimane (venendo infatti dai Dallari oggi contestata, anche su questo specifico punto, la decisione limitativa adottata dal Consiglio di Stato) non solo la legittimità della delibera del 20.12.2018 di conservazione del fabbricato (n.93), ma anche di quella del 31.10.18 -di cui anzi si rimarca l’ineludibile carattere prodromico -di acquisizione dell’immobile alla mano comunale in conformità al protocollo d’intesa siglato tra le parti. Ora, non vi è dubbio che q uest’ultima delibera: -in quanto dedotta in istanza di annullamento giurisdizionale da parte dei ricorrenti, è stata conseguentemente vagliata nella sentenza impugnata, a nulla rilevando, ai fini della legittimazione passiva, che
il Consiglio di Stato ne abbia poi escluso (con statuizione che, appunto perché ancora qui censurata, non è passata in giudicato) la pratica rilevanza ed incidenza sulla posizione dei Dallari; -certamente coinvolge tuttora, come controinteressata, anche la proprietaria ablata RAGIONE_SOCIALE dal momento che l’eventuale annullamento della delibera acquisitiva avrebbe in effetti influito anche sulla successiva delibera conservativa dell’immobile, venendo in tal modo a rideterminare gli assetti dominicali del bene, oltre agli obblighi demolitivi a carico della ripristinata proprietà.
Va dunque escluso che RAGIONE_SOCIALE -incontestata parte processuale nei gradi precedenti – sia priva di legittimazione passiva, a nulla in opposto rilevando che, nel merito, essa abbia poi assunto linee difensive totalmente remissive rispetto all’acquisizione del bene da parte del Comune, e pienamente adesive al protocollo di conservazione e destinazione dell’opera all’uso pubblico intervenuto col Comune sulla base di una diversa, ed anch’essa impugnata, delibera di Giunta.
§ 3.1 Con il primo motivo di ricorso i Dallari deducono ‘ violazione dei limiti esterni della giurisdizione, eccesso di potere giurisdizionale per rifiuto di giurisdizione; stravolgimento della normativa nazionale ed europea di riferimento per violazione degli artt. 24 e 113 Cost., dell’art.31 del DPR n.380/2001, dell’art.7 CEDU, dell’art. 100 c.p.c., dell’art.35 c.p.a. nonché per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art.360, comma 1 n.1 c.p.c. ‘.
Nell’affermare (in rigetto del primo motivo di appello) che essi non erano legittimati ad impugnare la delibera di acquisizione gratuita, il Consiglio di Stato aveva in sostanza denegato, non in concreto ma in astratto, la propria giurisdizione (con ciò proclamando un difetto assoluto di giurisdizione) in ragione della asserita natura dichiarativa dell’acquisizione, invece impugnabile come sanzione amministrativa
(di natura sostanzialmente penale, art. 7 Cedu) per la mancata demolizione. Inoltre, in tanto l’immobile abusivo poteva essere conservato, in quanto ne fosse legittima la sua previa acquisizione al Comune; il che evidentemente incideva sul bene della vita dedotto a tutela dai vicini (Consiglio di Stato sent. n.10336/22), insito nella eliminazione materiale del manufatto, qui preordinatamente esclusa dall’Amministrazione Comunale in forza del menzionato protocollo d’intesa concertato con la B.A. Service RAGIONE_SOCIALE. Quanto poi all’affermazione del Consiglio di Stato secondo cui la non impugnabilità della delibera di acquisizione gratuita costituirebbe oggetto di giudicato con riguardo alla citata sentenza Consiglio di Stato n. 3358/20, si trattava (se costituente vera ragione decisoria) di palese stravolgimento delle risultanze processuali, dal momento che il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 3358/20, si era spogliato della potestas judicandi (in quanto investito in sede di ottemperanza) ed aveva rimesso la lite (di annullamento) avanti al TAR previo mutamento del rito, così che quanto da esso affermato in ordine alla non impugnabilità della delibera acquisitiva non poteva valere che come obiter dictum , inidoneo al giudicato.
§ 3.2 Il motivo è infondato.
Va premesso che, per costante indirizzo di queste Sezioni Unite (da ultimo Cass.SS.UU. n. 30605/24; n. 18559/24), l’abdicazione di potere giurisdizionale ” per arretramento ” decisorio (denegata giurisdizione) da parte del giudice amministrativo, denunziabile con il ricorso per cassazione ex art. 111, comma 8, Cost., si configura allorquando questi escluda la propria giurisdizione sulla base dell’erroneo presupposto che la materia – astrattamente considerata non possa formare oggetto della funzione giurisdizionale, mentre non si prospetta in caso di negazione in concreto di tutela, anche se determinata dall’errata interpretazione di norme sostanziali o
processuali, dal momento che, in quest’ultima ipotesi, la censura non investe la sussistenza o i limiti esterni del potere giurisdizionale, ma soltanto la legittimità e correttezza del suo esercizio interno. Il sindacato sulla giurisdizione da parte della Corte di Cassazione ha dunque ragione di attivarsi là dove il Consiglio di Stato affermi che una determinata materia o tipologia provvedimentale non possono formare oggetto, in via generale ed assoluta perchè slegata dalle connessioni ed interferenze con la fattispecie, di cognizione giurisdizionale (difetto assoluto di giurisdizione). Si è così ribadito (Cass.SSUU n. 30605/24 cit., con ulteriori richiami) che: ‘ Il rifiuto che rileva è, dunque, quello ‘astratto’, che deriva dall’affermazione da parte del giudice speciale che quella situazione soggettiva è priva di tutela per difetto di giurisdizione, in contrasto con la regula iuris che invece gli attribuisce il potere di ius dicere sulla domanda; non quello “in concreto”, che si ha quando la negazione della tutela alla situazione soggettiva azionata è la conseguenza dell’ipotizzata inesatta interpretazione delle norme o della non corretta ricognizione e valutazione degli elementi in fatto (Cass. S.U. 10 febbraio 2023 n. 4284; Cass. S.U. 28 maggio 2020 n. 10087; Cass. S.U. 26 marzo 2021 n. 8572; Cass. 23 settembre 2022 n. 27904) ‘.
Orbene, nel caso di specie è proprio questo indispensabile elemento di assolutezza a fare difetto, posto che il Consiglio di Stato non ha in alcun modo affermato la non giustiziabilità ex se delle delibere acquisitive al patrimonio pubblico degli immobili edificati in violazione degli standard volumetrici o di altri parametri edilizi ed urbanistici, limitandosi ad affermare (non importa, in questa sede, se a torto o ragione) che i Dallari non avevano ‘ un interesse qualificato e differenziato a impugnare l’atto di acquisizione gratuita al patrimonio comunale del bene abusivo e della relativa area di sedime. Tale atto, infatti, non produce alcun effetto, tanto meno lesivo, nella sfera
giuridica di costoro, per i quali è del tutto indifferente che il bene abusivo appartenga ad uno o ad altro soggetto ‘. E’ stata dunque svolta una valutazione che, al contrario, ha posto in correlazione l’interesse all’impugnazione, da parte dei Dallari, dell’atto di acquisizione con la loro qualità di proprietari confinanti richiedenti -quale bene della vita a cui assumevano di avere diritto -la demolizione del fabbricato; e siccome questo diritto rilevava già, ed in maniera assorbente, in sede di delibazione della domanda (pure proposta, anzi con ruolo principale e diretto, dai Dallari) di annullamento della delibera di conservazione, ecco che il convincimento del Consiglio di Stato non è dipeso da una forma pregiudiziale, generale ed aprioristica di ‘arretramento’ decisorio, quanto dalla ravvisata connessione ed interdipendenza delle domande e, prima ancora, degli interessi ad esse sottesi. Rafforza questa conclusione lo svolgimento stesso del ragionamento da parte del Consiglio di Stato, il quale ha appunto posto in luce come -in relazione all’interesse sostanziale alla demolizione non facesse per i Dallari alcuna differenza che la proprietà del bene fosse in capo al Comune piuttosto che (ancora) alla RAGIONE_SOCIALE, atteso che ‘ tale atto, infatti, non produce alcun effetto, tanto meno lesivo, nella sfera giuridica di costoro (…)’. Non si tratta dunque di diniego di giurisdizione, ma di rilievo del difetto di interesse qualificato e differenziato in capo ai ricorrenti, a sua volta indotto dal fatto che la loro sfera giuridica e patrimoniale era qui concretamente incisa -visto il tenore sostanziale della domanda, volta ad ottenere la demolizione del fabbricato, non altro -non già dalla delibera acquisitiva, ma da quella conservativa. Ciò a maggior ragione osservandosi che, come pure rimarcato in sentenza, il passaggio di proprietà alla mano pubblica non era il frutto di una valutazione discrezionale della PA, bensì di un effetto automatico ed ipso jure
‘ della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione nei termini prescritti (…)’.
Ad ogni modo, fermo tutto quanto finora osservato, appare dirimente che la sentenza impugnata poggi la statuizione di difetto di interesse ad impugnare la delibera di acquisizione anche su una diversa ed autosufficiente ragione decisoria (‘ comunque al riguardo …’) , insita nel richiamato giudicato esterno tra le parti (Consiglio di Stato sent. n. 3358/20 cit.).
I COGNOME obiettano che quest’ultima sentenza sarebbe stata malamente interpretata e definita, al punto che il giudice amministrativo colà adito, una volta esclusi i presupposti dell’ottemperanza e rimesso gli atti avanti al Tar in sede di annullamento, neppure avrebbe mantenuto una potestas iudicandi tale da poter interloquire sull’interesse e sulla legittimazione del COGNOME; dunque nessun giudicato poteva essersi formato sul punto.
Fin troppo evidente, però, è come in tal modo i ricorrenti muovano in realtà al Consiglio di Stato il rimprovero di aver fatto cattiva applicazione delle norme preposte alla individuazione, all’interpretazione ed all’efficacia del giudicato, il che si risolve ancora una volta in una censura di error in judicando o in procedendo , giammai in un motivo inerente alla giurisdizione, men che meno nell’angolo visuale del paventato arretramento.
In definitiva, in questa sede non conta che quest’ultima ratio possa essere in ipotesi fallace per erronea individuazione di giudicato preclusivo, comportando comunque essa esercizio ed affermazione, e non negazione (in astratto), di giurisdizione secondo i già indicati parametri.
Se ciò non bastasse, soccorre poi il parimenti assodato indirizzo di queste Sezioni Unite secondo cui gli asseriti vizi di individuazione ed interpretazione del giudicato da parte del Consiglio di Stato non sono
devolvibili in sede di legittimità come motivi di giurisdizione: ‘ la censura che, deducendo il difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato, attenga invece all’interpretazione del giudicato, interno ed esterno, sotto tutti i possibili profili -dalla sua omessa interpretazione, alla valutazione del suo contenuto, nonché dei suoi presupposti, ed alla sua efficacia, con i conseguenti limiti – riguarda la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale del giudice amministrativo, prospettandosi, sostanzialmente, una violazione di legge commessa da quest’ultimo, sicché resta estranea al controllo ed al superamento dei limiti esterni della giurisdizione, con conseguente inammissibilità dei relativi motivi’ (Cass.SSUU n. 8245/17; Cass.SSUU n. 32131/22 ed altre).
§. 4.1 Con il secondo motivo di ricorso i Dallari deducono ‘ violazione dei limiti esterni della giurisdizione e del principio costituzionale di separazione dei poteri; eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nella sfera di merito riservata alla discrezionalità dell’Amministrazione; violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a., in relazione all’art.360, comma 1 n.1 c.p.c. ‘.
Con riguardo alla deliberazione n.93/2018, il Consiglio di Stato aveva violato i limiti esterni della propria giurisdizione, sconfinando nella sfera riservata alla discrezionalità del Consiglio Comunale, ‘ nel valutare la sussistenza nel caso concreto dei presupposti per poter escludere la demolizione dell’immobile abusivo ‘.
Una volta ritenuta ammissibile l’impugnazione della deliberazione n.93/2018, il Consiglio di Stato ‘ era tenuto a verificare la sussistenza o meno del dedotto vizio di legittimità della valutazione operata da tale deliberazione nella parte in cui ha ritenuto che in base alla sopravvenuta normativa l’inderogabilità dei violati limiti volumetrici dettati dal D.M. n.1444/68 sarebbe venuta meno con conseguente
venir meno pure dell’accertato contrasto con rilevanti interessi urbanistici’ .
Lungi da costituire una mera ‘ opinione non vincolante per il giudice ‘, con conseguente irrilevanza ai fini di causa del problema della effettiva inderogabilità normativa dei limiti volumetrici di cui al D.M. n. 1444/68, l’affermazione in delibera secondo cui tale inderogabilità osterebbe alla conservazione del bene, salvo ritenerla superata dalla normativa successiva, costituiva una scelta discrezionale non sostituibile della PA: (in ricorso) ‘ E’ quindi evidente che la delibera n. 93/2018 del Consiglio Comunale nell’accertare che nel caso di specie l’eventuale inderogabilità dei violati limiti volumetrici dettati dal D.M. n. 1444/1968 (…) impedisce la conservazione dell’immobile – ha effettuato una propria valutazione discrezionale e non ha quindi espresso una mera opinione non condivisibile e sostituibile dal Giudice di legittimità. E’ pure evidente che -nel considerare tale valutazione discrezionale una mera opinione non condivisibile e sostituibile dal Giudice di legittimità – il Consiglio di Stato non ha effettuato una interpretazione della disciplina di settore diversa da quella seguita dal Consiglio Comunale ma ha sostituito tale valutazione sconfinando quindi nella sfera riservata al potere discrezionale della P.A .’.
§ 4.2 Il motivo è destituito di fondamento.
Va anche in proposito ribadito il consolidato assetto interpretativo -secondo cui l’eccesso di potere denunziabile con ricorso per cassazione avverso sentenza del giudice speciale per ‘motivi attinenti alla giurisdizione’ va circoscritto in via esclusiva (v. Cass. SS.UU. n. 7530/25, n.20062/24, n. 26164/22, n.7839/20, n.7926/19, n. 29082/19 ed innumerevoli altre e Corte Cost. n.6/2018) alle ipotesi (oltre a quella di cui si è già trattato nella disamina del motivo che precede): – di difetto assoluto di giurisdizione, che si verifica quando
un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici; – in cui il giudice amministrativo (o contabile) applichi non già la norma esistente bensì una norma da lui stesso creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, fermo restando che la mancata o inesatta applicazione di norme di legge non comportano, viceversa, la creazione di una norma inesistente, con conseguente invasione della sfera di attribuzioni del legislatore, posto che il controllo sulla giurisdizione non è in alcun caso estensibile alla prospettazione di pure e semplici violazioni di legge da parte del giudice speciale; – di eccesso di potere giurisdizionale sotto il profilo della usurpazione della funzione amministrativa, configurabile allorquando, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito riservato alla P.A., detto giudice compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel formale rispetto della formula dell’annullamento, evidenzi l’intento dell’organo giudicante di sostituire la propria volontà a quella della P.A. mediante una pronuncia che, in quanto espressiva di un sindacato di merito ed avente il contenuto sostanziale e l’esecutorietà propria del provvedimento sostituito, non lasci spazio ad ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa.
In nessun caso può essere configurato quale ‘motivo attinente alla giurisdizione’ quello volto a far constare gli errores in iudicando o in procedendo nei quali sarebbe incorso il giudice speciale, non
investendo, questi errori, il superamento dei suindicati limiti esterni del potere giurisdizionale del giudice amministrativo o contabile, quanto soltanto la legittimità del suo esercizio. E ciò quand’anche tali errori possano risultare in ipotesi forieri di decisioni anomale, abnormi o segnate dal radicale stravolgimento delle norme, sostanziali o processuali, di riferimento.
Orbene, nella concretezza del caso non si riscontra nessuna delle ipotesi di sindacato appena menzionate.
Non vi è stata violazione dei limiti esterni della giurisdizione né sconfinamento nella sfera discrezionale della PA, quanto inveramento della giurisdizione di legittimità, demandata al Consiglio di Stato, in punto: – interpretazione di norme giuridiche rilevanti, cioè quelle comportanti, in ragione di un preminente interesse urbanistico, il superamento del principio (quand’anche ravvisabile) di inderogabilità dei limiti volumetrici di cui al citato D.M. 1444/68; – affermazione del principio di insufficienza del solo superamento dei limiti edilizi, quale conseguenza automatica, a precludere di per sé la conservazione dell’immobile in ragione di un preminente interesse urbanistico e dei presupposti per l’applicazione, in luogo della demolizione, del regime di cd. ‘fiscalizzazione’ dell’abuso edilizio previsto dall’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. edilizia); – ininfluenza, vertendosi appunto di interpretazione giuridica e non di esercizio di potere discrezionale della PA, di quanto sul punto specifico contenuto nella delibera di conservazione n. 93/18 (‘ opinione’ non vincolante), secondo cui in tanto si poteva dare ingresso alla valutazione di un preminente interesse pubblico alla conservazione dell’immobile, in quanto i limiti di volumetria non fossero posti da norme inderogabili; – effettivo legittimo esercizio, da parte del Comune, del potere discrezionale di conservazione, in ragione delle preminenti, e ben
evidenziate in delibera, esigenze di pubblico parcheggio decongestione del traffico veicolare di zona.
e
Del tutto scollegata dalla effettività della ratio adottata dal Consiglio di Stato è poi, in particolare, la censura con la quale i ricorrenti vorrebbero individuare nella sentenza in esame uno sconfinamento della giurisdizione nel merito amministrativo.
Al contrario, il Consiglio di Stato ha sottoposto la valutazione sul punto adottata dall’Amministrazione Comunale nella delibera n. 93/2018 ad un controllo di legittimità formale e sostanziale, mostrando di recepirla nella sua conformità alla legge, non già di volerla modificare o integrare così da supplire o sostituirsi alle competenze proprie della PA.
Si legge sul punto in sentenza che: ‘ siffatta motivazione deve ritenersi sufficiente a sorreggere la scelta compiuta, peraltro frutto di un potere ampiamente discrezionale, in quanto evidenzia bene quali siano le finalità, certamente di interesse pubblico, che l’amministrazione ha inteso perseguire. Difatti, risulta evidente la preponderanza dell’interesse generale a conservare l’immobile, per destinarlo a soddisfare conclamate e non smentite esigenze di spazi da adibire alla sosta dei veicoli, su quello al ripristino della legalità violata ‘.
Sicchè il nucleo della decisione (ben colto dai Dallari che hanno cercato di sovvertirlo facendo impropriamente ricorso a motivi sulla giurisdizione) si pone nell’affermazione di un preminente interesse pubblico, come già individuato ed attuato dalla PA, al mantenimento dell’immobile illecitamente edificato ed alla sua destinazione a servizio della città, tale da far legittimamente retrocedere la posizione giuridica dei ricorrenti che intendevano ottenerne la demolizione.
§ 5. Ne deriva il rigetto del ricorso.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Pqm
La Corte
-Rigetta il ricorso;
-Pone le spese di lite a carico della parte ricorrente, liquidandole in euro 8.500,00 a favore del Comune di Modena ed in euro 7.500,00 a favore di RAGIONE_SOCIALE il tutto oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario ed accessori di legge;
-v.to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
-dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle Sezioni Unite