Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24099 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24099 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 254-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
, rappresentata e difesa dall’avvocato
NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 578/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/07/2023 R.G.N. 773/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/04/2025 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
Oggetto
Licenziamento
R.G.N. 254/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 30/04/2025
CC
RILEVATO CHE
il Tribunale di Milano, con sentenza n. 373/2022, dichiarò inammissibile l’impugnativa di licenziamento, proposta per l’applicazione delle tutele previste dagli artt. 2e 3 del d. lgs. n. 23 del 2015, da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in quanto formulata nelle forme del rito ordinario piuttosto che secondo il cd. ‘rito Fornero’, nonostante la lavoratrice fosse stata assunta prima del 7 marzo 2015;
avverso tale decisione propose appello la sola società, insistendo per una decisione nel merito, mentre l’appellata si limitò a chiedere ‘il rigetto dell’appello e la conferma in toto delle statuizioni della sentenza di primo grado’;
la Corte territoriale adita, con la sentenza qui impugnata, ha così disposto: ‘In riforma della sentenza n. 373/2022 del Tribunale di Milano dichiara non luogo a provvedere. Compensa le spese del doppio grado’;
la Corte, in estrema sintesi, dopo aver ritenuto che il primo giudice non avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità della domanda ma ‘disporre la conversione del rito’, ha ‘affrontato il merito della controversia’, argomentando sulla illegittimità del licenziamento;
tuttavia il Collegio milanese, rilevando che la lavoratrice ‘non ha riformulato le domande di cui al ricorso di primo grado né ha chiesto il relativo accoglimento, ma ha espressamente chiesto di ‘, e precisamente la dichiarazione di inammissibilità della domanda’, ha così concluso: ‘conseguentemente la sentenza impugnata deve essere riformata per aver erroneamente dichiarato inammissibile la domanda proposta da NOMECOGNOME ma non può essere emessa alcuna
statuizione con riferimento alle domande di cui al ricorso di primo grado’;
per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso la società con tre motivi; ha resistito con controricorso l’intimata; entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il
deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere enunciati secondo la sintesi offerta dalla stessa parte ricorrente;
1.1. col primo si denuncia: ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 115, 414, 416, 420, 421, 426, 427 c.p.c. e 2697, co. 1, c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n.3) c.p.c.’; si deduce: ‘La Corte d’Appello ha concluso per la necessità di mutame nto del rito sulla base di documentazione pacificamente tardiva ed inammissibile che non poteva essere messa agli atti né, tantomeno, essere posta a fondamento di alcuna decisione. Al contrario, invece, sulla scorta del ricorso ex art. 414 c.p.c. e relative allegazioni avrebbe soltanto dovuto e potuto rigettare nel merito le avversarie pretese ovvero applicare le tutele minime garantite dalla Legge n. 604/66’;
1.2. con il secondo motivo si denuncia: ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2104, 2105, 2106 e 2119 c.c., dell’art. 1 L. n. 604/1966 e dell’art. 7 L. n. 300/1970 in relazione all’art. 360, co. 1, n.3) c.p.c. nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5) c.p.c.’; si deduce: ‘La Corte d’Appello, limitandosi a prendere atto dell’intervenuta assoluzione penale della Sig.ra NOMECOGNOME ha
dichiarati l’illegittimità del licenziamento per giusta causa. Quanto sopra omettendo qualsivoglia autonoma valutazione dei fatti accertati in sede penale che – sebbene non decisivi alla configurazione del reato contestato -conservano e assumono rilievo innanzi al Giudice del Lavoro chiamato a valutare l’irrimediabile lesione del vincolo fiduciario.’;
1.3. il terzo mezzo denuncia: ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., art. 2119 c.c., degli artt. 1 e 3 della L. 15 Luglio 1966 n. 604 nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le part i in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5) c.p.c.’; si deduce: ‘La Corte d’Appello esclusa, erroneamente, la giusta causa del licenziamento, avrebbe dovuto -così come richiesto da RAGIONE_SOCIALE – verificare se i fatti posti alla base del recesso datoriale fossero, quantomeno, qualificabili come giustificato motivo soggettivo’;
il Collegio giudica il ricorso, nei tre motivi in cui è articolato scrutinabili congiuntamente, inammissibile;
2.1. per consolidato principio, in tema di impugnazioni, l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c. postula la soccombenza nel suo aspetto sostanziale, correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione, e dev’essere quindi apprezzato in relazione all’utilità giuridica che può derivare al proponente il gravame dall’eventuale suo accoglimento (cfr. Cass. n. 6546 del 2004; Cass. n. 8934 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 38054 del 2022);
in particolare, è stato più volte statuito che: ‘poiché l’interesse a proporre impugnazione ha origine e natura processuali e sorge dalla soccombenza connessa ad una statuizione del giudice a quo capace di recare pregiudizio alla parte, che proprio con il mezzo di impugnazione tende a rimuovere il pregiudizio stesso,
il convenuto non può considerarsi soccombente – e pertanto difetta di interesse ad impugnare la relativa pronuncia – nel caso in cui quel giudice, ravvisando un ostacolo processuale all’esame della domanda, ne abbia dichiarato l’inammissibilità, anziché esaminarla nel merito per (eventualmente) rigettarla’ (Cass. n. 2284 del 1991; Cass. n. 4903 del 1998; Cass. n. 5229 del 1998);
lo stesso principio di diritto è stato applicato nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia dichiarato la domanda improponibile o improcedibile (Cass. n. 12960 del 2001; Cass. n. 13069 del 2003);
è stato altresì escluso che la parte vittoriosa possa impugnare una sentenza al solo fine di ottenere una modifica della motivazione, ancorché in vista dell’utilità che l’auspicata diversa motivazione potrebbe avere con riguardo ad eventuali altre controversie di natura simile (Cass. n. 4168 del 1997; conf. Cass. n. 21652 del 2014);
2.2. ciò posto in diritto, l’impugnazione della società avverso una sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile il ricorso della lavoratrice risultava in radice inammissibile, in difetto di interesse ad impugnare per mancanza di soccombenza, non essendo sufficiente a legittimare il gravame l’aspirazione ad una pronuncia nel merito;
tale difetto di interesse persiste anche avverso una sentenza d’appello che ha definito in rito la controversia mediante una declaratoria di ‘non luogo a provvedere’, sostenendo esplicitamente che ‘ non può essere emessa alcuna statuizione con riferimento alle domande di cui al ricorso di primo grado’; per cui alcuna decisione di merito idonea al giudicato contiene la sentenza qui impugnata, con conseguente mancanza di
conseguenze pregiudizievoli per la società ricorrente, tale da radicare l’interesse all’impugnazione innanzi a questa Corte;
conclusivamente, il ricorso per cassazione va dichiarato inammissibile e le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese liquidate in euro 5.500,00, oltre euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 30 aprile 2025.
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME