Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6356 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6356 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 994/2019 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME e COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato COGNOME per procura in calce al controricorso,
nonché nei confronti di
NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’ avvocato NOME COGNOME per procura in calce al controricorso con ricorso incidentale, -controricorrente ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n.3389/2018 depositata il 21.5.2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.3.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata in data 28.5.2008, COGNOME NOME, proprietaria della quota di 1/3, conveniva innanzi al Tribunale di Roma NOME COGNOME NOME, proprietario della quota di 2/3, chiedendo lo scioglimento della comunione di un consistente compendio immobiliare sito in Roma, INDIRIZZO INDIRIZZO mediante assegnazione in natura delle porzioni corrispondenti.
Costituendosi, il convenuto non si opponeva alla divisione e si associava alla richiesta.
In corso di causa, mentre si stava espletando la CTU, che aveva fatto emergere l’occupazione del compendio da parte di terzi privi di titolo, COGNOME NOME avanzava richiesta di sequestro giudiziario del compendio, e dopo il rigetto della stessa, reiterava tale richiesta nel giudizio di reclamo, nel quale intervenivano l’11.3.2013, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che rappresentavano che COGNOME NOME, agricoltore ed allevatore, a
seguito di un incendio che aveva devastato la tenuta e distrutto le siepi che ne delimitavano i confini, si era immesso nel 1991 nel possesso del compendio, e chiedevano che fosse respinta l’istanza di sequestro giudiziario, e che fosse accertata in loro favore l’intervenuta usucapione dei beni oggetto di causa ed, in subordine, che gli venissero rimborsate le migliorie apportate ai fondi a titolo di indennizzo.
Le parti originarie contestavano la tardività ed inammissibilità dell’intervento dei COGNOME, avvenuto dopo la maturazione delle preclusioni relative alla proposizione di domande ed eccezioni ed alle richieste istruttorie, e concludevano per l’inammissibilità e comunque il rigetto delle domande avanzate dagli intervenuti, e COGNOME NOME anche per la condanna dei COGNOME al rilascio del compendio.
Disposto il sequestro giudiziario del compendio con nomina del custode, che procedeva ad eseguirlo ed a concedere il compendio in uso precario a COGNOME NOME, con statuizione poi confermata dal giudice istruttore, veniva respinta l’istanza dei COGNOME volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia del sequestro, con conferma del rigetto in sede di reclamo.
Con la sentenza del 28.2.2015 n. 4713, il Tribunale di Roma disponeva lo scioglimento della comunione del compendio immobiliare con assegnazione delle porzioni a NOME NOME e NOME COGNOME NOME in conformità al progetto di divisione del CTU, poneva a carico degli stessi le spese di CTU e di custodia e, per quanto qui interessa, dichiarava inammissibili le domande di usucapione e di rimborso per le migliorie formulate dagli intervenuti COGNOME, perché pur essendo ammissibile il loro intervento in causa, e pur non operando per gli intervenuti le preclusioni processuali per la proposizione delle domande, essi non avevano potuto svolgere, per il tempo in cui l’intervento era avvenuto, e per la reiezione della loro richiesta di rimessione in
termini in quanto parti sopravvenute e non originarie, le attività istruttorie a supporto delle domande avanzate, e dichiarava quindi compensate tra tutte le parti le spese processuali.
Avverso la predetta sentenza, NOME COGNOME NOME proponeva appello principale, chiedendo la riforma della sentenza relativamente al capo con il quale il Tribunale aveva dichiarato inammissibili le domande avanzate dagli intervenuti COGNOME NOME e NOME, anziché rigettarle nel merito, nonché al conseguente capo relativo alla compensazione delle spese di giudizio.
Costituitasi, NOME NOME spiegava appello incidentale adesivo all’appello principale, ed in più chiedeva la condanna dei COGNOME al rilascio del compendio immobiliare ed al rimborso delle spese di custodia, mentre COGNOME NOME e NOME chiedevano che i predetti appelli fossero dichiarati inammissibili, o infondati nel merito.
Con sentenza in data 7/21.5.2018 n. 3389, la Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello principale e quello incidentale, condannando NOME COGNOME NOME e NOME NOME in solido alla rifusione delle spese di secondo grado sostenute dagli appellati.
La Corte d’Appello in particolare riteneva infondati l’appello principale e quello incidentale, volti ad ottenere un rigetto nel merito delle domande di usucapione e di accertamento dei miglioramenti apportati al compendio immobiliare avanzate dai Dedoni nel giudizio di primo grado, per difetto di legittimazione all’impugnazione degli appellanti, che nel giudizio di primo grado avevano soprattutto contrastato le pretese dei Dedoni sotto il profilo dell’ammissibilità processuale del loro intervento e della decadenza ex artt. 167 e 183 c.p.c. e non nel merito, potendo semmai essere impugnata la statuizione di inammissibilità delle loro domande per impossibilità di svolgere attività istruttoria,
adottata dal Tribunale, da parte dei COGNOME, che quelle domande avevano avanzato, ma non dagli appellanti, che quelle domande non avevano proposto.
Virando poi dal difetto di legittimazione attiva al difetto di interesse ad agire, la Corte d’Appello sosteneva che solo in astratto era ravvisabile un interesse degli appellanti a vedere accertata l’infondatezza nel merito della pretesa di usucapione dei Dedoni, ma che tale interesse non poteva essere fatto valere in sede d’impugnazione della sentenza di primo grado che aveva escluso l’ammissibilità della domanda, bensì in un nuovo giudizio di primo grado, da azionare da parte degli appellanti in termini di accertamento negativo e connessa azione di rivendicazione, o dagli appellati con una nuova domanda di accertamento della proprietà del compendio per usucapione.
Quanto alle spese processuali del giudizio di primo grado, relative al rapporto processuale instauratosi tra le parti originarie e gli intervenuti, il giudice di secondo grado riteneva che fossero state correttamente compensate per giusti motivi, secondo la formulazione all’epoca vigente dell’art. 92 c.p.c., in quanto l’intervento dei COGNOME, che non aveva reso necessaria ulteriore attività istruttoria e non aveva dato luogo a pronunce di merito, non aveva inciso sulla res controversa, essendo peraltro sopraggiunto a distanza di ben cinque anni dall’inizio del giudizio di divisione, mentre per il rimborso delle spese di custodia, essendo state le stesse regolate dal giudice di primo grado con l’ordinanza del 25.3.2013, secondo il disposto dell’art. 53 disp. att. c.p.c., COGNOME NOME avrebbe dovuto far valere le sue ragioni, contro gli intervenuti COGNOME, con lo strumento dell’opposizione ex art. 170 del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 e non con l’appello.
Avverso questa sentenza, NOME COGNOME NOME ha proposto ricorso principale a questa Corte notificato il 24.12.2018, affidandosi a due motivi, ed in data 1.2.2019 NOME
ha proposto controricorso con ricorso incidentale, affidandosi a quattro motivi, di cui due sostanzialmente adesivi al ricorso principale, mentre i Dedoni hanno resistito con controricorso al ricorso principale ed al ricorso incidentale.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale, sia NOME COGNOME NOME che COGNOME NOME hanno depositato memorie ex art. 380bis .1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo di ricorso principale, articolato in riferimento al n. 4) del comma primo dell’art 360 c.p.c, NOME COGNOME NOME ha sostenuto la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4, c.p.c., alla luce dell’irriducibile contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione fornita, in quanto la Corte distrettuale ha rigettato l’appello ravvisando un difetto di legittimazione all’impugnazione degli appellanti, ritenendo che la sentenza di primo grado potesse essere impugnata solo dagli intervenuti COGNOME, senza spiegare in base a quale disposizione normativa analoga facoltà d’impugnazione non dovesse spettare anche alle parti originarie del giudizio di primo grado, destinatarie delle domande degli intervenuti, così confermando la sentenza di primo grado nella parte in cui, da un lato, aveva ritenuto ammissibile l’intervento spiegato dai COGNOME e, dall’altro aveva dichiarato inammissibili le domande costituenti l’essenza di quell’intervento.
2) Col secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3) del comma primo dell’art 360 c.p.c, il ricorrente principale ha prospettato la violazione o falsa applicazione degli artt. 100, 183 e 277 c.p.c., nella parte in cui la Corte d’Appello ha erroneamente rilevato la carenza di interesse degli appellanti, principale ed incidentale, in ordine all’impugnazione della pronuncia di primo grado, nella parte in cui aveva dichiarato inammissibili le domande di usucapione e di accertamento dei miglioramenti apportati al compendio immobiliare
degli intervenuti COGNOME, anziché rigettarle nel merito con effetto preclusivo di un ulteriore giudizio, e con le connesse conseguenze anche sulle spese processuali.
Assume il ricorrente principale che in tal modo la Corte d’Appello ha omesso di pronunciarsi sul merito delle domande proposte, e non ha individuato correttamente l’interesse all’impugnazione, che va rapportato non alle domande avanzate nel giudizio di primo grado, ma agli effetti pregiudizievoli che all’impugnante possono derivare dalla sentenza impugnata, e sottolinea altresì che sia lui che l’originaria attrice oltre ad eccepire l’inammissibilità dell’intervento e la maturazione delle preclusioni, avevano concluso per il rigetto delle domande proposte dagli intervenuti, e che il giudice di secondo grado non poteva effettuare valutazioni quantitative di prevalenza di una domanda rispetto ad un’altra.
3) Col secondo motivo di ricorso incidentale, articolato in riferimento al n.4) del comma primo dell’art 360 c.p.c, COGNOME Francesca deduce la violazione del combinato disposto dagli artt. 100 c.p.c. e 2697 cod. civ., alla luce della dichiarazione di mancanza di interesse all’impugnativa dell’inammissibilità delle domande degli intervenuti COGNOME, che non é stata basata sulla nozione di interesse all’impugnazione, e quindi sulla valutazione dell’utilità, che poteva derivare all’appellante dall’impugnazione in relazione al contenuto pregiudizievole assunto dalla sentenza impugnata, a prescindere dalle domande proposte in primo grado. La ricorrente incidentale sostiene inoltre, in ciò discostandosi dal ricorrente principale, che, laddove il Tribunale di Roma aveva ritenuto di non poter esaminare le domande degli intervenuti COGNOME perché al momento del loro intervento non potevano più essere formulate richieste istruttorie, e perché andava respinta la loro richiesta di rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., la sentenza di primo grado avrebbe in realtà assunto una decisione di merito, passata in giudicato per mancata impugnazione.
I primi due motivi del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale, attinenti alla motivazione addotta dalla Corte d’Appello per giustificare il rigetto dell’appello principale ed incidentale sulle domande avanzate dagli intervenuti in primo grado, possono essere esaminati congiuntamente e devono ritenersi fondati nei termini che seguono.
Anzitutto l’impugnata sentenza, con la sua motivazione irriducibilmente contraddittoria ed illogica, che rientra tra i casi di nullità della sentenza per vizio di motivazione ancora censurabili ex artt. 360 comma primo n. 4) c.p.c. e 132 comma 2° n. 4) c.p.c., non consente di comprendere quali siano state le effettive ragioni della decisione di rigetto degli appelli adottata. Ad ad una statuizione del dispositivo che farebbe pensare ad un esame nel merito degli appelli, si contrappone, infatti, la motivazione fornita. Essa dapprima sembrerebbe imperniata su un difetto di legittimazione all’impugnazione delle parti originarie del giudizio di primo grado, del tutto incomprensibile visto che NOME COGNOME NOME e NOME erano stati parti principali del giudizio definito dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 4713/2015, e non meri interventori adesivi dipendenti, dotati solo di potere di impugnazione adesiva e non autonoma, mentre poi si fonda su un asserito difetto di interesse degli appellanti all’impugnazione, motivato però, non in relazione al pregiudizio che gli appellanti avrebbero potuto subire dalla sentenza impugnata, ma come se gli appellanti non fossero già parti del giudizio di primo grado.
La sentenza impugnata sostenendo, peraltro in contrasto con le conclusioni formulate nel giudizio di primo grado, – in cui COGNOME NOME e COGNOME COGNOME NOME oltre ad eccepire l’inammissibilità dell’intervento di COGNOME NOME e COGNOME NOME e la maturazione delle preclusioni avevano chiesto anche il rigetto delle domande di usucapione e di accertamento dei miglioramenti apportati al compendio immobiliare degli intervenuti
-, che gli appellanti avevano soprattutto contrastato le pretese dei Dedoni in rito, ha affermato che solo questi ultimi avrebbero potuto impugnare la sentenza di primo grado per chiedere una pronuncia di merito, anziché di inammissibilità, su quelle domande, che invece gli appellanti non avevano avanzato. L’impugnata sentenza ha poi sostenuto, senza peraltro spiegarne la ragione, che gli appellanti avrebbero avuto interesse in astratto a vedere accertata l’infondatezza della pretesa di usucapione dei Dedoni solo in un separato giudizio, senza potere però richiedere una pronuncia in tal senso nel giudizio di appello.
Secondo il principio ripetutamente affermato da questa Corte, al quale questo Collegio ritiene di dare continuità, il diritto ad agire e a resistere in giudizio ex art. 100 c.p.c., trova il suo indefettibile presupposto processuale in una statuizione della pronuncia giurisdizionale sfavorevole alla parte, tale da determinarne la “soccombenza almeno parziale” in ordine alle domande od eccezioni proposte e, dunque, trova presupposto nella situazione oggettiva di svantaggio in cui la parte viene a trovarsi rispetto all’interesse sostanziale dedotto in giudizio (” petitum mediato”: bene della vita che la parte intende conseguire o difendere mediante la tutela giudiziale accordata dall’ordinamento). In tal senso le pronunce di questa Corte sono concordi nell’affermare che ” ai fini della sussistenza dell’interesse ad impugnare una sentenza rileva una nozione sostanziale e materiale di soccombenza, che faccia riferimento non già alla divergenza tra le conclusioni rassegnate dalla parte e la pronuncia, ma agli effetti pregiudizievoli che dalla medesima derivino nei confronti della part e” (Cass. sez. lav. 11.12.2017 n. 29578; Cass. n. 2022/2000; Cass. n.2494/1999), dovendo aversi riguardo alla soccombenza nel suo aspetto sostanziale e non meramente formale, in quanto correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della sentenza e della sua idoneità a formare il giudicato (Cass. n. 6770/2012; Cass.
n.10486/2009; Cass. n. 3608/2007; Cass. n. 10134/2003) e, corrispondentemente, all'”utilità concreta” che, in quanto diretta alla eliminazione di tale pregiudizio, deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione (Cass. sez. lav. 11.12.2017 n.29578; Cass. ord. n. 2051/2011; Cass. n. 15353/2010).
E’ stato altresì precisato che la soccombenza, intesa come pregiudizio, rileva, ” ex se “, come dato obiettivo della difformità tra il provvedimento adottato in ordine al bene della vita conteso e l’interesse concreto di ciascuno dei contendenti in relazione a tale bene, rimanendo del tutto indifferente il comportamento processuale tenuto dalla parte, tanto nel caso in cui, convenuta in giudizio, la stessa sia rimasta contumace, quanto nel caso in cui, costituitasi in giudizio, non abbia resistito alla domanda proposta nei suoi confronti ovvero abbia manifestato adesione ad essa (Cass. sez. lav. 11.12.2017 n. 29578; Cass. n. 9864/1998).
La sentenza impugnata ha quindi errato, perché al di là della confusione tra difetto di legittimazione all’impugnazione non ravvisabile per le parti del giudizio di primo grado, e difetto di interesse ad agire, e della loro incompatibilità col rigetto nel merito dell’appello principale e di quello incidentale, avrebbe dovuto valutare l’interesse degli appellanti all’impugnazione, tenendo conto dell’utilità che ad essi sarebbe potuta derivare da una sentenza di rigetto, anziché di inammissibilità, delle domande di usucapione e di accertamento dei miglioramenti apportati al compendio avanzate in primo grado dai COGNOME.
Queste domande, che al contrario della pronuncia di inammissibilità adottata dal giudice di primo grado, in contrasto con l’interpretazione consolidata di questa Corte dell’art. 268 comma 2° c.p.c., che esclude per gli intervenuti (compresi gli intervenuti ad excludendum che spiegano un intervento principale ex art. 105 c.p.c. per far valere un preteso loro diritto in contrasto con le parti originarie anziché far valere le loro autonome ragioni in un
separato giudizio eventualmente da riunire o tramite l’opposizione di terzo) le preclusioni relative alle attività assertive ed alle domande giudiziali, che costituiscono l’essenza dell’intervento, limitandole a quelle istruttorie, quando l’intervento non avvenga per integrare il contraddittorio e si verifichi dopo la scadenza dei termini istruttori concessi alle parti originarie del giudizio (vedi in tal senso Cass. 23.1.2025 n. 1635; Cass. 22.3.2018 n. 20882), avrebbero potuto dar luogo ad un vero e proprio giudicato, con effetti preclusivi su ulteriori accertamenti contrari in separati giudizi, e con conseguenze anche sul governo delle spese processuali.
Ancorare il difetto di interesse all’impugnazione, come fatto dalla sentenza impugnata, all’effettiva e personale proposizione in primo grado della domanda sulla quale si richieda la pronuncia del giudice di appello, anziché al risultato favorevole conseguibile in caso di accoglimento dell’impugnazione, significherebbe negare l’interesse all’impugnazione dei soggetti rimasti contumaci in primo grado, e di coloro che in primo grado non abbiano assunto una posizione contraria all’accoglimento nel merito della domanda (nella specie peraltro gli appellanti avevano anche richiesto il rigetto delle domande degli intervenuti), e ritenere ipotizzabile la proposizione, in un giudizio civile contenzioso, di domande il cui destinatario passivo non possa poi impugnare le statuizioni di inammissibilità su di esse adottate nella sentenza di primo grado, con evidente violazione del diritto di difesa del convenuto.
Non si ritiene invece fondata la tesi sostenuta dalla ricorrente incidentale nel suo secondo motivo, in quanto la sentenza di primo grado, pur avendo ritenuto tardive le richieste istruttorie formulate dai COGNOME, intervenuti in causa dopo la maturazione delle preclusioni istruttorie, e pur avendo respinto la richiesta di rimessione in termini ex art. 153 c.p.c. dei COGNOME, in quanto parti sopravvenute e non originarie del giudizio, non é addivenuta ad
alcuna pronuncia di merito di rigetto delle domande di usucapione e di accertamento dei miglioramenti apportati al compendio dei Dedoni. La sentenza di primo grado ha dichiarato inammissibili le domande degli intervenuti COGNOME per l’impossibilità per gli stessi di svolgere attività istruttoria, ipotesi chiaramente estranea a quelle riconosciute dalla giurisprudenza, (fondate sulla tardività, o su vizi di forma delle domande giudiziali), sicché non vi é stata sul punto alcuna formazione di giudicato, dal momento che a seguito dell’impugnazione della dichiarata inammissibilità, la Corte d’Appello si sarebbe dovuta pronunciare sulla correttezza giuridica di quella dichiarata inammissibilità, ed in caso negativo, sul merito di quelle domande, sulla base degli atti e delle prove legittimamente acquisiti.
4) Col primo motivo del ricorso incidentale, articolato in riferimento al n.4) del comma primo dell’art 360 c.p.c, la ricorrente in via incidentale deduce la violazione del combinato disposto dagli artt. 324 c.p.c. e 2909 cod. civ., in quanto la Corte distrettuale non ha accertato il passaggio in giudicato della sentenza di prime cure, laddove aveva dichiarato non esaminabili le domande di usucapione e di indennizzo degli intervenuti per difetto di prova o in base agli atti di causa.
Tale motivo é infondato per quanto già sopra esposto circa la mancata formazione del giudicato.
5) Col terzo motivo di ricorso, articolato in riferimento al n. 4) del comma primo dell’art 360 c.p.c, la ricorrente incidentale deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte d’Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di condanna di COGNOME NOME alla restituzione del fondo agricolo e dei fabbricati insistenti sullo stesso, dovendo peraltro essere accolta la stessa poiché conseguente alla disposta divisione ereditaria.
Tale motivo é fondato, in quanto la Corte d’Appello ha totalmente omesso di pronunciarsi sulla domanda di rilascio del compendio
immobiliare avanzata nelle conclusioni del giudizio di primo grado da COGNOME NOME nei confronti di COGNOME NOME, né può ritenersi che si sia implicitamente pronunciata sul punto, dato che le statuizioni del giudice di primo grado sulla divisione e l’assegnazione delle porzioni ai condividenti non sono state neppure oggetto d’impugnazione.
6) Col quarto motivo di ricorso, articolato in riferimento al n. 4) del comma primo dell’art 360 c.p.c., la ricorrente incidentale deduce la violazione del combinato disposto dagli artt. 91 e 92 c.p.c., nella loro formulazione applicabile all’epoca dell’introduzione del processo, e 105 c.p.c., relativamente alla mancata condanna dei Dedoni alle spese di lite del giudizio di primo grado.
Tale ultimo motivo deve ritenersi assorbito per effetto dell’accoglimento del ricorso principale e del secondo e terzo motivo del ricorso incidentale, che determinano la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che dovrà provvedere per le spese dei vari gradi di giudizio secondo l’esito finale della lite.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso principale ed il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale, assorbito il quarto motivo e respinto il primo motivo di quest’ultimo, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche per le