Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2596 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 2596  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8387/2021 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato agli indirizzi PEC dei  difensori  iscritti  nel  REGINDE,  gli  avvocati  NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)  che  lo  rappresentano  e  difendono  con procura a margine del ricorso;
-ricorrente- contro
COGNOME  NOME,  elettivamente  domiciliata  in  INDIRIZZO, INDIRIZZO ,  presso  lo  studio  dell’avvocato NOME  COGNOME ,  rappresentata  e  difesa  dall’avvocato  COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al controricorso;
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME  NOME,  COGNOME  NOME,  COGNOME  NOME  e COGNOME NOME;
-intimati- avverso  la  SENTENZA  della  CORTE  D’APPELLO  di  NAPOLI  n. 585/2021 depositata il 16.2.2021.
Udita  la  relazione  svolta  nella  camera  di  consiglio  del  29.10.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 19.11.2003 COGNOME NOME, proprietaria di un fondo rustico sito in Ercolano, INDIRIZZO, alle pendici del Vesuvio, evocava dinanzi al Tribunale di Napoli Sezione distaccata di Portici, COGNOME NOME, per sentirlo condannare all’ampliamento da m 1,50 a m 3,00 del passaggio pedonale esistente sul suo fondo onde consentirle di transitarvi con mezzi a trazione meccanica per la razionale coltivazione ed il conveniente uso del suo fondo rustico. Si costituiva nel giudizio di primo grado COGNOME NOME, che contestava la necessità dell’ampliamento della servitù di passaggio pedonale, in quanto il fondo della COGNOME, inferiore alla minima unità colturale, era già collegato a valle da una via diretta e più breve alla strada pubblica (INDIRIZZO), invocava l’esenzione dalla servitù di passaggio ex art. 1051 comma 4° cod. civ. in quanto il suo fondo era dotato di casa abitativa con annessi aia e giardino, chiedeva che comunque nella determinazione dell’indennità dovuta dall’attrice per l’ampliamento della servitù si tenesse conto dei danni e disagi derivanti dall’ampliamento, e rappresentava che il contraddittorio andava integrato nei confronti
dei suoi COGNOME, comproprietari del fondo servente, COGNOME NOME, NOME,  NOME  e  NOME,  e  nei  confronti  dei  proprietari  di  altri fondi vicini, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Integrato  il  contraddittorio  nei  confronti  dei  COGNOME  COGNOME,  si costituivano COGNOME NOME e COGNOME NOME, che in primo grado  assumevano  la  stessa  posizione  difensiva  di  COGNOME NOME, mentre restavano contumaci COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 2356/2014, accoglieva la domanda di allargamento della servitù di passaggio da 1,50 a 3,00 metri,  condannava  la  COGNOME  al  pagamento  in  favore  dei COGNOME dell’indennità  di  €  3.677,36,  compensava  le  spese processuali e poneva le spese di CTU a carico delle parti in egual misura.
Avverso tale sentenza proponeva appello COGNOME NOME, che chiedeva  il  rigetto  della  domanda  accolta  in  primo  grado  per  la mancata  prova  dei  fatti  costitutivi  del  diritto  reale  vantato  dalla COGNOME,  per  l’inattuabilità  del  richiesto  ampliamento,  ed  in ragione  dell’esenzione  dalle  servitù  di  passaggio  delle  aie  e  dei giardini ai sensi dell’art. 1051 comma 4° cod. civ..
Si costituivano in secondo grado COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che eccepivano l’inammissibilità dell’appello ed in seguito evidenziavano il venir meno dell’interesse all’impugnazione di COGNOME NOME, in quanto con la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Napoli n. 191/2014 del 17.1.2014, nel giudizio di divisione tra i germani COGNOME, il fondo servente era stato assegnato in proprietà per 250/1000 ciascuno a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con condanna di COGNOME NOME al rilascio di quel fondo.
Si  costituiva  nel  giudizio  di  appello  anche  COGNOME  NOME, che a sua volta eccepiva il difetto di interesse ad agire di COGNOME
NOME,  e  comunque  chiedeva  il  rigetto  dell’appello,  mentre COGNOME NOME restava contumace.
La  Corte  d’Appello  di  Napoli,  con  la  sentenza  n.  585/2021  del 2/16.2.2021, dichiarava improcedibile l’appello di COGNOME NOME per sopravvenuto difetto di interesse all’impugnazione, e condannava  il  predetto  al  pagamento  delle  spese  processuali  del grado  a favore dei legali antistatari degli appellati costituiti, applicando il principio della soccombenza virtuale.
La sentenza di secondo grado prendeva atto, che nel corso del giudizio di appello, la summenzionata sentenza n. 191/2014 della Corte d’Appello di Napoli era passata in giudicato, in quanto confermata dalla sentenza n. 20961/2018 della Corte di Cassazione, per cui COGNOME NOME non era più proprietario del fondo interessato dall’ampliamento della servitù di passaggio, fondo del quale aveva solo la detenzione precaria, non tutelabile giudizialmente, per cui era venuto meno l’interesse dell’appellante all’impugnazione, sottospecie dell’interesse ad agire, che doveva sussistere sia al momento dell’impugnazione, che al momento della decisione del giudizio di appello, in quanto nessuna utilità giuridica concreta poteva trarre COGNOME NOME dall’eventuale accoglimento dell’appello, che avrebbe giovato ad un fondo non più di sua proprietà, avendo poi gli altri COGNOME COGNOME, costituitisi in appello, palesato la propria contrarietà all’accoglimento dell’impugnazione.
Esaminati poi rapidamente i motivi di appello, ai fini dell’applicazione per le spese processuali di secondo grado del principio della soccombenza virtuale, la Corte d’Appello rilevava che la proprietà del fondo dominante in capo a COGNOME NOME era stata adeguatamente provata attraverso la produzione dell’atto di donazione e divisione del AVV_NOTAIO del 13.2.1957 (relativo anche alla proprietà del fondo servente), che non era stato tempestivamente contestato da COGNOME NOME,
che aveva effettuato rilievi sul punto solo in comparsa conclusionale, e quindi tardivamente; che la necessità dell’ampliamento della servitù di passaggio a favore della proprietà COGNOME per le esigenze dell’agricoltura era emersa univocamente dalle prove testimoniali espletate e dagli accertamenti svolti dal CTU, non efficacemente contestati da COGNOME NOME, che si era limitato ad osservare che le risultanze della CTU non potevano assurgere al rango di fonte oggettiva di prova della necessità del chiesto ampliamento, mentre in realtà la CTU ben poteva andare a riscontrare la veridicità dei fatti allegati dalle parti e l’attendibilità dei mezzi di prova da esse offerti (Cass. n. 26893/2017; Cass. n. 12921/2015); che inoltre l’appellante non aveva adeguatamente specificato e comprovato in che misura i vincoli urbanistici vigenti nel Parco Nazionale del Vesuvio sarebbero stati ostativi all’ampliamento della servitù di passaggio, peraltro in contraddizione col già avvenuto ampliamento negli stessi termini del tratto iniziale della strada in questione; che infine, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l’esenzione prevista dall’art. 1051 comma 4° cod. civ. in tema di costituzione coattiva di servitù di passaggio e di ampliamento coattivo delle servitù, non poteva essere invocata quando il preteso fondo dominante era assolutamente intercluso, (Cass. 25.5.2016 n. 10857) come emergente dalla sentenza di primo grado.
Avverso tale sentenza, notificata il 16.2.2021, ha proposto tempestivo  ricorso  a  questa  Corte  COGNOME  NOME,  affidato  a quattro  motivi,  cui  ha  resistito  con  controricorso  COGNOME NOME.
Sono rimasti intimati COGNOME NOME, NOME, NOME e NOME. E’ stata formulata proposta di definizione anticipata ex art. 380 bis c.p.c. per inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso, ed il difensore di COGNOME NOME, munito di nuova  procura
speciale, ha presentato tempestiva istanza di decisione ex art. 380 bis comma 2° c.p.c.
Nell’imminenza  dell’udienza  in  camera  di  consiglio  COGNOME NOME ha depositato memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e 4) c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 100 c.p.c., per avere dichiarato improcedibile l’appello per difetto di interesse ad impugnare.
Si duole il ricorrente che la Corte d’Appello abbia confuso l’istituto dell’interesse ad agire con quello della legittimazione ad agire, che integrano distinte condizioni dell’azione, e che non abbia ritenuto persistere l’interesse di COGNOME NOME all’impugnazione anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 191/2014 del 17.1.2014 che ha attribuito la proprietà del fondo servente solo a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, a seguito del rigetto del ricorso in Cassazione del 22.8.2018, ancorché pacificamente il ricorrente fosse ancora nel godimento del fondo servente.
Il primo motivo è manifestamente infondato, in quanto è (semmai) il ricorrente a confondere il difetto di interesse all’impugnazione col difetto di legittimazione all’impugnazione. Ed invero COGNOME NOME, che era stato e si era affermato destinatario della sentenza del Tribunale di Napoli n. 2356/2014, che aveva disposto l’ampliamento della servitù di passaggio all’epoca gravante sul fondo oggetto di comproprietà anche dello stesso COGNOME NOME, aveva senz’altro la legittimazione all’impugnazione di quella sentenza, ma la Corte d’Appello ha dovuto tener conto che nel corso del giudizio d’impugnazione, per effetto del giudicato formatosi nel separato giudizio di divisione tra i COGNOME COGNOME, COGNOME NOME non era più neppure comproprietario del fondo
servente, oggetto di comproprietà a favore dei suoi COGNOME, ed era stato condannato al rilascio ad essi di quel fondo, divenendone quindi un mero detentore precario privo di tutela giudiziale, per cui un’eventuale riforma della sentenza di primo grado non sarebbe stata per lui di alcuna utilità giuridica per non essere più proprietario del bene, né detentore titolato del fondo servente che aveva subito l’ampliamento della servitù a favore della proprietà di COGNOME NOME, da cui il difetto sopravvenuto di interesse ad agire dell’appellante.
Il principio contenuto nell’art. 100 c.p.c., secondo il quale per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, infatti, si applica anche al giudizio di impugnazione, in cui l’interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata e che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte (Cass. 11.12.2020 n. 28307; Cass. n. 3991/2020; Cass. n.13373/2008).
Si deve solo rilevare che più correttamente la sentenza impugnata, a seguito del venir meno della comproprietà del fondo servente in capo  all’appellante  COGNOME  NOME  avrebbe  dovuto  dichiarare l’inammissibilità  dell’appello  per  sopravvenuto  difetto  di  interesse ad  agire  (vedi  in  tal  senso  Cass.  8.5.2017  n.  11204;  Cass. 12.11.2007 n. 23515; Cass. 28.1.2009 n.2192) e non l’improcedibilità.
Va  aggiunto,  per  completezza,  che  il  ricorrente  non  ha  neppure allegato, compiutamente, a quale titolo egli avrebbe avuto ancora il godimento del fondo servente, essendo derivata dal giudicato sopra ricordato una mera detenzione precaria del fondo non tutelabile in
via giudiziale, e non essendo stata neppure allegata un’interversione della detenzione precaria in autonomo possesso.
Col secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per avere omesso di dichiarare il difetto di legittimazione ad agire di COGNOME NOME, rilevabile d’ufficio, per avere la stessa prodotto a supporto della propria legittimazione solo l’atto di divisione del AVV_NOTAIO del 13.2.1957, un atto di divisione asseritamente avente natura meramente dichiarativa, inidoneo a dimostrare la proprietà del fondo dominante in capo alla COGNOME.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto confonde i concetti di titolarità sostanziale del diritto di proprietà posto a base dell’azione esercitata, e di legittimazione attiva, condizione dell’azione che va valutata anziché secondo le prove prodotte in causa, sulla base dei fatti affermati dalla parte attrice (vedi Cass. 6.3.2008 n. 6132; Cass. 10.1.2008 n. 355; Cass. 16.5.2007 n. 11321), e la cui insussistenza preclude già in astratto la possibilità di addivenire ad una decisione di merito, e non si confronta con la motivazione addotta dalla sentenza impugnata.
Nella specie la Corte d’Appello ha rilevato che COGNOME NOME nell’atto di citazione iniziale ha affermato di essere proprietaria del fondo dominante ed ha prodotto a supporto un atto di donazione-divisione, quello del AVV_NOTAIO del 13.2.1957 – che peraltro costituiva anche il titolo di proprietà dei COGNOME COGNOME proprietari del fondo servente -ed ha poi ritenuto, in applicazione del principio di non contestazione, che non fossero necessarie prove ulteriori della proprietà del fondo dominante, in quanto COGNOME NOME si era limitato a sollevare rilievi sul punto in comparsa conclusionale, e quindi tardivamente, peraltro dopo avere sostenuto in comparsa di risposta in primo grado che difettavano solo i presupposti per l’ampliamento della
servitù  di  passaggio  pedonale  esistente  a  favore  del  fondo  della COGNOME ed il ricorrente non ha mosso censure a tale puntuale motivazione.
La reiezione dei primi due motivi e la conferma dell’improcedibilità ( rectius inammissibilità) dell’appello per sopravvenuto  difetto  di  interesse  ad  agire  dell’appellante,  fanno ritenere assorbiti il terzo ed il quarto motivo di ricorso, inerenti al merito  della  decisione  di  primo  grado,  censure  che  si  sarebbero potute esaminare solo ove fosse stata superata la summenzionata inammissibilità dell’appello.
Il terzo motivo è infatti relativo all’omesso esame circa la necessità dell’ampliamento  della  servitù  di  passaggio  ex  art.  360  comma primo  n.  5)  c.p.c.  ed  il  quarto  motivo  alla  violazione  e  falsa applicazione dell’art. 1051 comma 4° cod. civ. in tema di esenzione dalle servitù di passaggio coattivo e dall’ampliamento coattivo delle servitù delle case, cortili, giardini ed aie ad esse attinenti.
In  applicazione  del  principio  della  soccombenza,  il  ricorrente  va condannato al pagamento delle spese processuali di questo grado di  COGNOME  NOME,  liquidate  in  dispositivo,  da  distrarsi  in favore del legale antistatario, AVV_NOTAIO; nulla va disposto quanto alle restanti parti rimaste intimate.
In  base  al  disposto  dell’art.  380  bis  ultimo  comma  c.p.c.,  data  la sostanziale  conformità  della  decisione  e  delle  motivazioni  alla proposta  di  definizione  anticipata  ex  art.  380  bis  c.p.c.,  la  parte ricorrente va condannata al risarcimento danni ex art. 96 comma 3° c.p.c. in favore di COGNOME NOME, liquidati in € 1.800,00, ed al pagamento in favore della Cassa delle Ammende dell’importo indicato in dispositivo.
Poiché  il  ricorso  è  stato  proposto  successivamente  al  30  gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art.  1,  comma  17,  della  legge  24  dicembre  2012,  n.  228 (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115  –  della sussistenza  dei presupposti  processuali  per  il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso di COGNOME NOME e lo condanna al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore di COGNOME NOME, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 1.800,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%, da distrarre in favore del legale antistatario, AVV_NOTAIO, nonché al risarcimento danni ex art. 96 comma 3° c.p.c. in favore della medesima COGNOME NOME, liquidati in € 1.800,00, e al pagamento in favore della Cassa delle Ammende dell’importo di € 1.000,00.
Ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1-quater,  d.P.R.  n.  115/2002,  si  dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  seconda