Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10376 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10376 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9334/2023 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata ope legis in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 3763/2022 pubblicata il 18/10/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/04/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n.3763/2022 pubblicata il 18/10/2022, ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME nella controversia con l’A.RRAGIONE_SOCIALE
La controversia ha per oggetto l’accertamento della discriminazione, inutilizzazione e collocazione in una condizione di inattività e demansionamento del COGNOME, con la richiesta di condanna alla riassegnazione delle mansioni conferite al momento della assunzione ed al risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere rigettava le domande proposte dal COGNOME.
Per la cassazione della sentenza della Corte territoriale ricorre il COGNOME con ricorso affidato a tre motivi e illustrato da memoria. A.R.P.A.C. resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. e dell’art. 100 cod. proc. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta «omesso esame circa un fatto principale e decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.p.c. e declaratoria contrattuale di assistente tecnico categoria c del ccnl comparto del personale del servizio sanitario nazionale».
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta «omesso esame circa un fatto principale e decisivo per il giudizio, in relazione all’articoli 132 n.4 e 360 n. 4 c.p.c. in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c.».
Nel primo motivo il ricorrente sostiene che la corte territoriale ha errato nel ritenere la sopravvenuta carenza di interesse ad agire con riguardo alla domanda di riassegnazione delle mansioni conferitegli al momento della assunzione, per effetto della ordinanza 06/04/2022 n.11170 di questa Corte, e della definitiva risoluzione del rapporto di lavoro tra le parti in causa.
Il motivo è infondato. Secondo Cass. 10/02/2022 n.4410, richiamata anche dalla parte ricorrente, «requisiti per l’attribuzione alla parte del potere di agire in giudizio sono la concretezza e l’attualità dell’interesse di cui all’art. 100 c.p.c., a presidio di un uso responsabile del processo (Cass. n. 16626 del 2016); necessaria presenza, dunque, della possibilità di conseguire un risultato concretamente rilevante, non altrimenti ottenibile se non mediante il processo e l’intervento necessario di un giudice; la concretezza dell’interesse all’agire processuale è misurata dall’idoneità del provvedimento richiesto a soddisfare l’interesse sostanziale protetto, da cui il primo muove, e in tale aspetto l’interesse ad agire è manifestazione del principio di economia processuale; nella medesima prospettiva si pone la risalente e ricorrente affermazione dell’indispensabilità di un interesse attuale, coordinato ad una posizione giuridica già sorta in capo all’interessato e tale che la sua effettiva esistenza escluda il carattere meramente potenziale della lesione, onde evitare che la tutela venga richiesta in vista di situazioni future o meramente ipotetiche (cfr., ex plurimis, Cass. n. 487 del 1980; Cass. n. 6177 del 1985; Cass. n. 1897 del 1988; Cass. n. 10062 del 1998; Cass. n. 13293 del 1999; Cass. n. 5635 del 2002; Cass. n. 24434 del 2007); avuto poi riguardo alle azioni di mero accertamento, secondo un cospicuo orientamento (tra le altre: Cass. n. 12893 del 2015; Cass. n. 16262 del 2015; Cass. n. 24653 del 2015; Cass. n. 13556 del 2008; Cass. n. 17026 del 2006; Cass. n. 4496 del 2008), il requisito dell’attualità dell’interesse ad agire viene temperato, essendo difficile negare
che la certezza giuridica sia un bene cui ogni parte possa aspirare, sempre con il limite dell’inammissibilità di azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti, perché solo l’intera fattispecie, una volta perfezionatasi, può nella sua interezza costituire oggetto di accertamento (ex aliis, Cass. n. 10039 del 2002; più di recente: Cass. n. 2051 del 2011; Cass. n. 18511 del 2017); è pacifico, poi, che l’interesse ad agire, in quanto condizione dell’azione, deve sussistere sino al momento della decisione (cfr. fra le tante Cass. n. 6130 del 2018; Cass. n. 11204 del 2017; Cass. SS.UU. n. 25278 del 2006), per cui vanno apprezzati anche i fatti sopravvenuti all’esercizio dell’azione o alla proposizione del gravame, che possono determinare il venir meno dell’interesse, pur originariamente sussistente, ogniqualvolta, a fronte del mutato contesto fattuale e giuridico, la pronuncia o la sua rimozione sarebbero improduttive di conseguenze (da ultimo: Cass. n. 20250 del 2020); tuttavia, questa Corte ha già affermato che, qualora l’attore abbia chiesto l’accertamento di un diritto e la conseguente condanna del convenuto ad un fare, la circostanza che nel corso del giudizio sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione non determina la cessazione della materia del contendere né fa estinguere l’interesse ad agire (Cass. n. 28100 del 2017; Cass. n. 23476 del 2010); più specificamente è stato affermato che, nel caso in cui il lavoratore richieda l’accertamento dell’illegittimità della destinazione ad altre mansioni e del diritto alla conservazione di quelle in precedenza svolte, costituendo il suddetto accertamento la premessa logica e giuridica per ulteriori domande di tipo risarcitorio, l’interesse ad ottenere la pronuncia permane anche dopo l’estinzione del rapporto di lavoro (vedi Cass. n. 12844 del 2003; Cass. n. 9808 del 2006); l’estinzione del rapporto di lavoro, pertanto, può incidere soltanto sull’eventuale domanda di condanna alla reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza, risultando estinta la relativa obbligazione del datore di lavoro a far
data dalla cessazione del rapporto di lavoro, fermo restando l’accertamento che tale obbligo sussisteva fino al verificarsi del detto evento, accertamento in relazione al quale resta inalterato l’interesse ad agire (Cass. n. 19009 del 2010)».
La corte territoriale ha fatto esatta applicazione dell’art.100 cod. proc. civ., come interpretato nella citata sentenza n.4410/2022 di questa Corte, perché ha ritenuto la sopravvenuta carenza di interesse ad agire non con riferimento alla domanda di accertamento della adibizione di fatto a mansioni inferiori rispetto a quelle di assunzione, ma con riferimento alla «richiesta di condanna dell’ARPAC alla riassegnazione delle mansioni conferitegli al momento dell’assunzione».
La censura non coglie nel segno perché proprio la domanda rispetto alla quale il ricorrente conserva l’interesse ad agire nonostante la sopravvenuta cessazione del rapporto di lavoro tra le parti (la domanda di accertamento del demansionamento) è stata delibata dalla corte territoriale, che l’ha ritenuta infondata nel merito. Il motivo di ricorso è dunque infondato.
Il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, per ragioni di connessione. I motivi sono in parte contraddittori perché deducono l’omesso esame «circa un fatto principale e decisivo per il giudizio» non con riferimento all’art.360 comma prima n.5 cod. proc. civ. (ciò che ne determinerebbe l’inammissibilità ex art.348 ter ultimo comma cod. proc. civ.) ma con riferimento all’art.360 comma primo n.3 (secondo motivo) e n.4 cod. proc. civ. (terzo motivo).
In disparte la contraddittorietà delle censure, i due motivi si risolvono in una censura dell’apprezzamento dei fatti compiuto dalla corte territoriale, ed in particolare delle prove. Censure inammissibili in questa sede perché la corte ha proceduto alla valutazione delle prove secondo il suo prudente apprezzamento,
non sussistendo alcuna ipotesi di c.d. prova legale. Deve pertanto dichiararsi la inammissibilità dei due motivi.
10. Per le indicate ragioni il ricorso deve essere rigettato. Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 3.500,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 3.500,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro