Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23410 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23410 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15961-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
nonché contro
Oggetto
Intimazione di pagamento -interesse ad agire
R.G.N.15961/2022
COGNOME
Rep.
Ud.14/03/2025
CC
RAGIONE_SOCIALE -RISCOSSIONE (già RAGIONE_SOCIALE);
– intimata – avverso la sentenza n. 653/2021 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 17/12/2021 R.G.N. 441/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. La Corte d’appello di Messina, in un giudizio avente ad oggetto opposizione ad intimazione di pagamento proposta da RAGIONE_SOCIALE dichiarata inammissibile dal tribunale per carenza di interesse in ragione della sospensione giudiziale della pregressa cartella esattoriale, ha respinto il gravame perché, pur riconoscendo l’autonoma impugnabilità dell’intimazione di pagamento, ha confermato la carenza di interesse ad impugnare in ragione della natura di mera comunicazione amministrativa dell’atto, non in tegrante un atto di espropriazione o comunque di natura esecutiva, come tale non immediatamente lesivo della sfera giuridica del destinatario.
Avverso l’impugnata sentenza la società ricorrente propone ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi di ricorso; INAIL deposita controricorso.
La causa è stata trattata e decisa nell’adunanza camerale del 14 marzo 2025.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo è dedotta, in relazione all’art. 360 co.1 n.3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione de ll’art. 100 c.p.c., dell’art. 50 comma 2 d.P.R. 620/1973 e dell’art. 615 c.p.c., per avere la Corte territoriale errato nel ritenere che il
ricorrente non avesse interesse ad opporre l’intimazione in esame, in quanto ai sensi dell’art. 50, co.2, l’intimazione è finalizzata a stimolare l’adempimento del debitore e ad evitare l’esecuzione, sicché avverso di essa era necessario proporre opposizio ne ex art. 615 c.p.c. L’intimazione, quindi, lungi dall’essere una mera comunicazione amministrativa, costituisce, al contrario, un atto prodromico all’avvio dell’esecuzione, pertanto, non poteva dubitarsi della permanenza dell’interesse a proporre opposiz ione per contestare il diritto dell’agente di riscossione a procedere ad esecuzione forzata sui ruoli sospesi anni prima; l’interesse del ricorrente restava ancorato allo scopo di inibire l’avviso di un’esecuzione che l’ente creditore non aveva il diritto di minacciare.
Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione art. 50 comma 1 d.P.R.n. 602/1973 e degli artt. 474 e 615 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. , avendo il ricorrente sin ab origine impugnato l’intimazione nelle forme dell’art. 615 c.p.c. per far valere vizi propri dell’intimazione, consistenti nell’assenza di un valido titolo esecutivo sulla base del quale sia consentito procedere ad esecuzione; i ruoli iscritti in cartella non erano più azionabili in quanto era stata sospesa la sua efficacia esecutiva con provvedimento del 3/11/2015, e a mente dell’art. 474 c.p.c. è richiesto che l’esecuzione forzata abbia luogo in forza di un titolo certo, liquido ed esigibile, ma nel caso di specie il credito era inesigibile.
Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in ordine alla statuizione delle spese, compensate in primo grado e non disposte in secondo grado per
la mancata costituzione degli appellati, in ragione della auspicata cassazione della sentenza impugnata.
Si costituisce INAIL con controricorso, rappresentando di non essere stato citato in appello e chiede che in caso di accoglimento del ricorso sia tenuto indenne dal pagamento delle spese.
Nelle memorie depositate da RAGIONE_SOCIALE in prossimità dell’udienza, il ricorrente contesta l’argomentazione svolta nel controricorso, precisando e documentando di aver notificato l’atto di appello all’INAIL.
4. Il ricorso è infondato.
I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente, poiché convergenti su uno stesso piano normativo sotto diversi profili.
L’art. 50 del d.P.R. n.602/1973, dopo aver affermato al primo comma che il concessionario procede ad espropriazione quando è inutilmente decorso il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento, prescrive al secondo comma che se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella, l’espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica di un avviso che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni.
Dallo storico di lite risultante dalla produzione documentale dell’attuale ricorrente, risulta che l’intimazione, notificata il 15/01/2019, abbia fatto seguito ad una cartella di pagamento del 2014 che era stata sospesa il 3/11/2015 con provvedimento del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.
7.1 -Seguendo la predetta normativa, l’emissione di un’intimazione di pagamento, astrattamente consentita decorso il termine di un anno dalla notifica della cartella, è risultata tuttavia priva di efficace iniziativa di esecuzione, in ragione della avvenuta sospensione del titolo presupposto. In ragione di ciò, la carenza di interesse ad agire dichiarata dal primo giudice (Tribunale di Patti) a cagione della sospensione del titolo, è stata ulteriormente rafforzata dai giudici di appello con l’ulteriore con siderazione che nel caso in esame l’intimazione, di ritenuta valenza meramente comunicativa della sussistenza di un debito rimasto inevaso, fosse priva di alcuna natura esecutiva e, quindi, carente di un effetto immediatamente lesivo della sfera giuridica del destinatario, con la precisazione che quest’ultimo potrebbe far valere le proprie ragioni ‘legittimamente avverso l’atto di esecuzione vero e proprio’.
In questa ottica, il primo motivo di ricorso che censura l’argomento espresso dalla Corte territoriale nel ritenere che il ricorrente fosse privo di interesse a proporre l’intimazione, laddove l’interesse si ravviserebbe nella finalità di inibire gli effetti della minacciata esecuzione, non coglie nel segno della argomentazione svolta nell’impugnata sentenza; invero, il ricorrente, da un lato, non illustra le ragioni per le quali l’intimazione ad adempiere di una cartella sospesa possa rappresentare un p ericolo, o addirittura una lesione, all’integrità del bene patrimoniale sotteso all’oggetto della pretesa creditoria, dall’altro, il ricorrente non supera l’argomento della ritenuta assenza di una possibile minaccia di espropriazione, soprattutto in virtù della immanente sospensione del titolo presupposto almeno fino alla data dell’emissione dell’intimazione.
Si segnala che nella parte introduttiva del ricorso il ricorrente riporta un dato che non è stato più sviluppato nei motivi di ricorso, ossia che la sospensione, secondo quanto eccepito in primo grado dall’Agente di riscossione, sarebbe stata revocata i n data 3/12/2018, e cioè poco prima dell’emissione e notifica dell’intimazione di pagamento; il che, se fosse un dato incontestabilmente accertato, da un lato, avrebbe legittimato l’agente di riscossione a procedere nelle forme dell’art. 50 comma 2 (esclud endone la doluta violazione), dall’altro avrebbe anche consentito al ricorrente di proporre altro tipo di censure afferenti ai soli vizi formali dell’intimazione di pagamento (vizi propri che in questa sede non sono stati affatto sollevati), oppure di censurare la validità del titolo presupposto, indipendentemente dalla sua disposta sospensione. Sotto questo profilo, non ci discosta da quanto asserito dalla Corte a Sezioni Unite con sentenza n. 8279/2008, secondo cui nel sistema dell’esecuzione esattoriale regolata dal d.P.R. 602/1973, l’intimazione di pagamento si pone come atto dell’agente di riscossione finalizzato ‘all’avvio ed alla prosecuzione’ dell’azione esecutiva esattoriale.
Per contro, se l’intimazione fosse stata emessa prima della revoca della sospensione si sarebbe potuto discorrere in ordine a quanto argomentato dalla sentenza di questa Corte n. 21824/2023, ossia che la sospensione giudiziale arresta la possibilità pe r il creditore di agire ‘in executivis’ e preclude all’agente di riscossione il compimento di ogni ulteriore atto diretto a proseguire l’esecuzione, la quale deve ‘medio tempore’ arrestarsi, senza neppure dar corso agli atti successivi.
11. In tal senso, se la circostanza della sospensione fosse confermata, si potrebbe affrontare il tema della rilevanza e perdurante esistenza di un interesse ad agire con esito negativo, come affermato propriamente nella sentenza impugnata; per contro, rimosso il temporaneo ostacolo (sospensione) all’esecuzione, l’interesse a proporre opposizione all’intimazione di pagamento si espanderebbe in linea con il principio di autonoma impugnabilità dell’intimazione di pagamento, correttamente riportato nell’appell ata sentenza (lo ha affermato di recente anche sent. Cass. n.6436/2025 pronunciatasi in ambito tributario: ‘ l’intimazione di pagamento di cui all’art. 50 d.P.R. n. 602 del 1973, in quanto equiparabile all’avviso di mora di cui al previgente art. 46 d.P.R. cit., è impugnabile autonomamente ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 546 del 1992, sicché la sua impugnazione non integra una facoltà del contribuente, bensì un onere al fine di far valere le vicende estintive del relativo credito anteriori alla sua notifica ‘ ).
12. Ad ogni modo, non si apprezza alcun concreto interesse ad agire in pendenza di sospensione del titolo; la ricorrente, per censurare l’argomento centrale della sentenza di merito impugnata, avrebbe dovuto rappresentare di avere un’esigenza concreta al fine di conseguire un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, non ottenibile senza intervento del giudice; l’interesse non può essere meramente ipotetico o futuro ma attuale e concreto. Come è noto, l’interesse ad agire – quale condizione dell’azione ex art. 100 c.p.c. – richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri
pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo conseguire (cfr. Cass. 4 maggio 2012, n. 6749; Cass. 27 gennaio 2011, n. 2051; Cass. 28 giugno 2010, n. 15355); in tal senso si è espressa questa Corte con ord. n. 29474/2021, e nuovamente ord. n. 30584/2021 (‘ L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo conseguire ‘).
12.1 – Nel caso in esame, tuttavia, il ricorrente fa leva su un interesse prospettato come generico ed astratto nonché ipotetico ed eventualmente futuro, consistente nella inibizione degli effetti di una minaccia di esecuzione che, allo stato, non è ravvisata né ravvisabile; ed egualmente mancherebbe un interesse ad agire per conseguire l’annullamento di un’intimazione di pagamento non corredata da specifiche censure su forma e contenuto dello stesso atto di intimazione. In tal senso non risultano violate nemmeno le disposizioni dell’art. 615 c.p.c., né dell’art. 474 c.p.c., mancando rilievi sulla invalidità del titolo esecutivo.
L’infondatezza del terzo motivo di ricorso resta assorbita dal rigetto dei primi due.
Da ultimo occorre precisare che INAIL, quale ente impositore della pretesa iscritta a ruolo e di cui è stata intimata l’esecuzione, non ha esercitato difese sulla validità del titolo presupposto, né ha esperito mezzi di ricorso in via incidentale
per far valere l’eventuale vizio procedurale sulla sua partecipazione al giudizio di appello. La questione, essendo stata affrontata la tematica dell’interesse ad agire sulla intimazione di pagamento, resta anch’essa assorbita nella ragione più liquida innanzi affrontata.
14.1 – Si rammenti quanto asserito in Cass. ord. n.4352/2019 secondo cui il destinatario della notificazione non diviene per ciò solo parte nella fase di impugnazione, non sussistendo pertanto i presupposti per la pronunzia in suo favore della condanna alle spese a norma dell’art. 91 c.p.c., che esige la qualità di parte, e perciò una “vocatio in ius”, e la soccombenza (v. Cass. 21/3/2016, n. 5508; Cass. 16/2/2012, n. 2208; Cass., 16/4/2007, n. 9002; Cass., 23/4/2001, 5977); ed anche sent. n.5508/2016 e ord. 34174/2021 in cui è rimasto affermato che – in un caso di appello proposto in cause scindibili dal convenuto soccombente agli altri convenuti vittoriosi nel giudizio di primo grado – la notifica dell’appello non ha valore di “vocatio in ius” ma di mera “litis denuntiatio”, sicché questi ultimi non diventano, per ciò solo, parti del giudizio di gravame, né sussistono i presupposti per la condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite in loro favore, ove gli stessi non abbiano impugnato incidentalmente la sentenza, atteso che, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., detta pronuncia presuppone la qualità di parte nonché la soccombenza.
15. In conclusione, il ricorso va rigettato. Nulla si dispone in ordine alle spese processuali stante la mancata costituzione in giudizio di Agenzia Entrate Riscossione e la posizione di INAIL evocata nel giudizio di intimazione ad adempiere, per quanto poc’an zi esposto, solo come mera litis denunciatio, cioè al fine
di renderla edotta della lite, senza che la stessa abbia esercitato concrete difese sulla sua posizione sostanziale e processuale.
Segue la statuizione sul doppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale del 14 marzo