Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30764 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30764 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 4997 del ruolo generale dell’anno 2019 , proposto da
COGNOME NOME, nato a San Giorgio a Cremano l’11 ottobre 1936, ivi residente INDIRIZZO C.F. CODICE_FISCALE, in proprio e nella qualità di procuratore di NOME COGNOME nato a Napoli il 3 settembre 1946, C.F. CODICE_FISCALE, giusta procura per notar COGNOME del 5 ottobre 1996, e RAGIONE_SOCIALE recte : RAGIONE_SOCIALE , P. I.V.A. CODICE_FISCALE, con sede in San Giorgio a Cremano, INDIRIZZO, in persona dell’amministratore unico NOME COGNOME rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOMEC.F. CODICE_FISCALE;
Ricorrenti
contro
Presidenza del consiglio dei ministri -Dipartimento protezione civile (c.f.: NUMERO_DOCUMENTO), in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (c.f.: NUMERO_DOCUMENTO), presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO sono domiciliate ope legis (p.e.c.: ; fax: NUMERO_TELEFONO).
nonché contro
Comune di Ercolano , C.F. P_IVA – PI P_IVA in persona del Sindaco in carica pro tempore, Avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME (CODICE_FISCALE in virtù di procura speciale in calce al controricorso, giusta delibera di G.M. n. 78 del 19.02.2019;
Controricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n° 3433 depositata l’11 luglio 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- NOME e NOME COGNOME, proprietari di un fondo nel Comune di Ercolano, INDIRIZZO, allibrato in catasto alla partita 9646, foglio 1, particella 30, esteso mq 3.600, ne subivano l’occupazione a seguito dell’ordinanza 12 ottobre 1981 del Sindaco di quel Comune, al fine di installarvi prefabbricati leggeri da destinare ad alloggi di cittadini danneggiati dal sisma del 1980.
Il tribunale di Napoli, adito una prima volta dai COGNOME, con sentenza n° 10735 riconosceva loro un indennizzo per l’occupazione legittima dal 1981 al 1988 ed un risarcimento per l’occupazione illegittima dal 1989 sino al 16 marzo 1990 (decisione confermata dalla Corte d’appello con sentenza n° 288/1993 e da questa Corte con sentenza n° 4699/1997).
NOME COGNOME adiva nuovamente quel Tribunale onde ottenere il ristoro del pregiudizio per il periodo successivo al 16 marzo 1990 e la causa veniva definita con sentenza n° 8651/1996, con la quale il giudice adito gli riconosceva il risarcimento del danno per l’illegittima occupazione del fondo dal 16 marzo 1990 al 14 ottobre 1996 (data della sentenza).
Anche NOME COGNOME adiva nuovamente il Tribunale di Napoli, chiedendo, in ragione della perdurante occupazione dei suoli, il risarcimento del danno da occupazione illegittima per il periodo successivo al 16 marzo 1990 e la domanda venne accolta dal giudice adito che con sentenza n° 9355/1998 gli riconobbe un ristoro di lire 7 milioni per anno dal 16 marzo 1990 ‘ fino all’effettivo rilascio del fondo ‘.
NOME COGNOME quindi, iniziava un ulteriore giudizio, questa volta insieme alla RAGIONE_SOCIALE, divenuta proprietaria dell’immobile il 23 febbraio 1995: il COGNOME chiese l’ulteriore indennità di occupazione e la RAGIONE_SOCIALE il risarcimento del danno derivante dalla risoluzione di un preliminare di vendita del terreno a tal NOME COGNOME a causa del suo mancato rilascio entro il 31 luglio 2000.
Il Tribunale dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, per essere competente il giudice amministrativo.
Riassunta la causa davanti a quest’ultimo, il Tar Campania dichiarava inammissibile il ricorso a causa della propria carenza di giurisdizione.
I COGNOME e la Cms riproponevano, quindi, la causa davanti al Tribunale di Napoli, il quale la definiva rigettando tutte le domande attoree.
Osservava il primo giudice che i COGNOME, per effetto delle precedenti decisioni, avevano ottenuto il risarcimento del danno sino alla data di rilascio dei suoli (e tale questione era coperta dal giudicato) e che dopo la sentenza di condanna al rilascio la protrazione della perdita di disponibilità delle aree era imputabile ai COGNOME, per non aver messo in esecuzione il titolo ottenuto.
Quanto alla Cms, il tribunale osservava che il proprietario del bene occupato non aveva titolo per far valere il pregiudizio subito da terzi nell’esercizio di un’attività imprenditoriale svolta sul fondo, non essendogli consentito di superare la preclusione posta
dall’ordinamento alla legittimazione dei terzi titolari di rapporti obbligatori sull’immobile, né tutelarne le ragioni attraverso la propria legittimazione a chiedere il risarcimento del danno .
In ogni modo, così come i COGNOME, anche la Cms non aveva dimostrato di aver messo in esecuzione le sentenze di condanna al rilascio delle aree.
2 .-L’appello avverso questa sentenza veniva rigettato dalla Corte territoriale con la sentenza indicata in intestazione, oggetto del presente giudizio.
Per quello che qui ancora rileva, la Corte napoletana osservava che l’occupazione del fondo era cessata il 21 novembre 2000, data di rilascio dei suoli; che la sentenza n° 9355/1998 aveva condannato il Dipartimento della protezione civile al pagamento in favore dei Punzo di lire 7 milioni dal 16 marzo 1990 ‘ sino al rilascio del suolo ‘; che, dunque, i Punzo non avevano interesse a far accertare che l’occupazione era di fatto cessata il 21 novembre 2000, benché questa fosse circostanza nuova, in quanto sopraggiunta al giudizio. Pertanto, era coperto da giudicato che l’occupazione di urgenza del fondo si fosse protratta legittimamente fino al 31 dicembre 1988 e che successivamente fosse divenuta sine titulo, dando luogo ad un credito risarcitorio nei confronti dello Stato riconosciuto nelle sentenze del tribunale di Napoli n° 38845/1990 (confermata in parte qua in appello e cassazione), n° 8651/1996 e n° 9355/1998. Quanto, poi, alla domanda della Cms, divenuta nella pendenza dei giudizi, proprietaria del fondo, essa era nuova, non essendo stata formulata nemmeno nell’atto di riassunzione dal Tar.
Inoltre, gli appellanti non avevano colto le rationes decidendi del primo giudice, il quale l’aveva respinta non sul rilievo che essa fosse coperta da giudicato, come dedotto dagli appellanti, ma ritenendo che la Cms non fosse legittimata a far valere un pregiudizio subito da terzi e, comunque, che il tardivo rilascio fosse
imputabile alla stessa Cms, non avendo provveduto a dare esecuzione alla sentenza di condanna al rilascio.
Da ultimo, era stata correttamente disattesa dal primo giudice anche l’ulteriore domanda risarcitoria formulata dalla Csm, diretta ad ottenere il ristoro della ‘ inutilizzabilità ‘ del fondo.
Infatti, nel giudizio conclusosi con la sentenza n° 38845/1990 i germani COGNOME avevano chiesto la condanna della PA alla rimozione dei prefabbricati, alla ricostruzione di un muro ed alla riattivazione dei contatori e il tribunale, ritenendo di non poter condannare la PA ad un facere , l’aveva condannata ‘ a risarcire agli attori il danno delle spese da sostenersi a tal fine ‘, liquidando lire 95 milioni circa conformemente alla c.t.u.
Cms non poteva, dunque, reclamare un ulteriore danno, sia perché essa aveva acquistato il predio ben conoscendo le sue condizioni, sia perché la domanda era in contrasto con la sentenza della Corte d’appello di Napoli n° 288/1993, con la quale la Corte aveva accertato la possibilità di ridare all’immobile l’originaria ‘ struttura agricola ‘, determinando la somma a ciò necessaria.
3 .- Ricorrono per cassazione i COGNOME e la Cms, affidandolo a quattro mezzi.
Resiste la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che reitera l’eccezione di difetto di propria legitimatio ad causam e nel merito conclude per il rigetto dell’impugnazione.
Resiste anche il Comune di Ercolano, che eccepisce la carenza di procura ad litem per la RAGIONE_SOCIALE, la carenza di legittimazione passiva del Comune e la carenza di legittimazione attiva della Cms.
Nel merito conclude per la reiezione del ricorso.
Il ricorso è stato quindi assegnato per la trattazione all’adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
Solo la parte ricorrente ha depositato una memoria ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4 .-Preliminarmente va esaminata l’eccezione di carenza di procura ad litem della RAGIONE_SOCIALE formulata dal Comune di Ercolano.
Effettivamente, la procura per il presente giudizio risulta rilasciata dalla RAGIONE_SOCIALE mentre l’intestazione del ricorso porta come parte processuale la RAGIONE_SOCIALE (senza ulteriore specificazione).
Tale discrasia è stata, nondimeno, giustificata dal difensore dei ricorrenti nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., il quale ha riferito trattarsi di un errore materiale nella indicazione della parte: errore che pare evidente, se si considera che la RAGIONE_SOCIALE agisce, secondo l’intestazione del ricorso, ‘ in persona dell’amministratore unico, NOME COGNOME, ossia mediante un organo sociale tipico delle società di capitali e non di quelle personali.
Si passa, dunque, all’esame dei motivi.
5 .- Il primo motivo è rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. in relazione agli artt. 50, 100, 101, 112, 132 e 324 cod. proc. civ.; art. 2909 cod. civ. Violazione di legge. Motivazione carente o meramente apparente. Nullità della sentenza ‘.
Secondo i ricorrenti, l’art. 50 cod. proc. civ. prevede che, se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine di legge, il processo continua davanti al nuovo giudice: il presente processo doveva, dunque, ritenersi iniziato con la notifica della citazione davanti al tribunale di Napoli in data 1617 ottobre 2000, ossia prima del rilascio del fondo da parte del Comune di Ercolano.
Ne deriverebbe che gli attori avevano interesse a far accertare la permanenza dell’illecito e, dopo il rilascio, a far accertare la sopravvenuta cessazione della materia del contendere.
6 .- Il mezzo è inammissibile, sia perché non contrasta la ratio decidendi posta a fondamento della decisione della Corte territoriale, sia perché i ricorrenti non hanno interesse a proporlo.
La Corte, infatti, nel respingere l’appello dei COGNOME è partita dalla constatazione che le sentenze del tribunale di Napoli (n° 38845/1990, n° 8651/1996 e n° 9355/1998) avevano già accertato che l’occupazione del suolo era stata legittima sino al 31 dicembre 1988 ed illegittima dal 1° gennaio 1989 (mancando un titolo).
Ha inoltre constatato che i COGNOME avevano già ottenuto ristoro di lire 7 milioni annui ‘ sino al rilascio del fondo ‘, sicché essi non avevano interesse ad ottenere una decisione che accertasse il sopravvenuto rilascio dell’immobile in data 21 novembre 2000.
Entrambi gli snodi logici della decisione, aventi carattere decisivo, non sono stati aggrediti dal motivo in esame, donde l’inammissibilità di esso.
Quanto alla carenza di interesse, occorre ricordare il costante indirizzo di questa Corte ( ex multis : Cass., sez. 2, 8 maggio 2024, n° 12532; Cass., sez. 1, 14 aprile 2023, n° 9969), secondo il quale il principio contenuto nell’art. 100 cod. proc. civ., in base al quale per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione: pertanto, l’interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone. Ne deriva che deve considerarsi inammissibile per difetto di interesse l’impugnazione proposta, ove non sussista la possibilità, per la parte che l’ha fatta, di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile.
Ora, come già detto, nella presente fattispecie i COGNOME, secondo la sentenza d’appello, hanno già ottenuto il ristoro per l’occupazione del bene ‘ sino al rilascio del fondo ‘: non è dato, dunque, comprendere quale ulteriore utilità (nel senso di ‘ bene della vita ‘)
essi possano essi trarre dalla invocata pronuncia (in rito) di cessazione della materia del contendere (della quale, peraltro, nemmeno sussisterebbero i presupposti).
In conclusione, il mezzo è inammissibile.
7 .- Il secondo motivo è intitolato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. in relazione agli artt. 50, 100, 101, 112, 132 e 324 cod. proc. civ.; art. 2909 cod. civ. Violazione di legge. Motivazione carente o meramente apparente. Nullità della sentenza ‘.
Mentre questa Corte con la sentenza n° 4699/1997 aveva stabilito che l’indennità di occupazione gravava sul Ministero della protezione civile sino all’entrata in vigore della legge n° 80/1984 ed al Comune di Ercolano per il periodo successivo, il tribunale di Napoli con la sentenza n° 9355/1998 aveva affermato che obbligato al pagamento era il Ministero sino al rilascio del fondo.
Sussisterebbe, pertanto, conflitto di giudicati, donde l’interesse degli attori ad ottenere una pronuncia sul soggetto giuridicamente obbligato ed una sua condanna, al fine di recuperare gli importi dovuti.
8 .- Il mezzo è inammissibile, al pari del precedente, sol che si consideri che la contraddittorietà tra giudicati costituisce un motivo di gravame proponibile in sede di revocazione ( ex art. 395, primo comma, n° 5, cod. proc. civ.) e non di cassazione.
In ogni modo, il motivo difetta anche di specificità, poiché nel giudizio di legittimità, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato esterno deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione ( ex multis : Cass., sez. 3, 6 giugno 2023 n° 15846).
La mancanza nel ricorso dei Punzo della trascrizione (non solo integrale, ma anche parziale) delle sentenze delle quali si assume il contrasto rende il mezzo inammissibile.
9 .-Il terzo motivo , formulato dalla sola Cms, è rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. in relazione agli artt. 50, 100, 101, 112, 132 cod. proc. civ.; artt. 1227 e 2909 cod. civ. Violazione di legge. Motivazione carente o meramente apparente. Nullità della sentenza ‘.
La Corte, nel respingere la domanda risarcitoria della Cms, avrebbe implicitamente applicato l’art. 1227, secondo comma, cod. civ., che tuttavia non porrebbe a carico del danneggiato l’obbligo di iniziare un giudizio di cognizione o esecutivo (nella specie di rilascio del fondo) onde limitare l’aggravamento del danno.
10 .- Il mezzo è inammissibile, sia perché nuovo, sia in quanto non censura le rationes decidendi adottate dalla Corte.
La Corte, infatti, ha confermato la reiezione della domanda di risarcimento del danno derivante dalla risoluzione del preliminare concluso dalla Cms in veste di venditrice del fondo occupato con tal NOME COGNOME promissario acquirente, osservando che l’attrice aveva appellato la decisione del tribunale su un rilievo erroneo.
Il tribunale non aveva respinto la domanda risarcitoria in quanto ‘ coperta dal giudicato ‘, ma l’aveva disattesa poiché la Cms non era legittimata a far valere un pregiudizio subito da terzi e, comunque, perché il ritardo nella liberazione dell’immobile era imputabile alla stessa Cms, non avendo iniziato alcuna procedura esecutiva.
Ora, la Cms pone nella presente sede di legittimità la questione della erronea applicazione dell’art. 1227 cod. civ., fondata dalla Corte di merito sulla mancanza di azione di rilascio: questione che è, dunque, del tutto nuova, non essendo stata trattata nei motivi di appello.
È stato, infatti, deciso che, qualora una questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass., sez. 6, 13 dicembre 2019, n° 32804, con menzione di altri precedenti).
In ogni modo, il motivo censura solo una delle due rationes della sentenza.
Quest’ultima, infatti, ha confermato la decisione di primo grado condividendo la motivazione del tribunale, ossia che la Cms era priva di legittimazione a far valere un pregiudizio subito da terzi e, comunque, che il ritardo nella liberazione dell’immobile era imputabile alla stessa Cms, non avendo iniziato alcuna procedura esecutiva.
Sebbene Cms censuri qui l’erronea applicazione dell’art. 1227 cod. civ., non aggredisce l’altra ratio di rigetto della domanda risarcitoria, consistente, come si è detto, nella carenza di legittimazione attiva.
11 .-Il quarto motivo , anch’esso riferibile alla sola Cms, è rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. in relazione agli artt. 50, 100, 101, 112, 132 e 324 cod. proc. civ.; art. 2909 cod. civ. Violazione di legge. Motivazione carente o meramente apparente. Nullità della sentenza ‘.
La Corte avrebbe disatteso la domanda risarcitoria della Cms qualificandola erroneamente come nuova, quando in realtà, pur
essendolo, essa sarebbe proponibile nel giudizio di ‘ riassunzione ‘ dal Tar, come desumibile da Cass. n° 15753/2014.
Essa, inoltre, sarebbe anche fondata come si desumerebbe dalle conclusioni rese dal c.t.u., il quale avrebbe accertato che il costo per i lavori di ripristino per euro 122.627,29.
12 .- Il mezzo appare scarsamente decifrabile e, come tale, non si sottrae ad una sanzione di inammissibilità per carenza di chiarezza: requisito richiesto ai sensi dell’art. 366, primo comma, n° 4, cod. proc. civ.
Esaminando gli unici profili comprensibili, si osserva che la Corte territoriale ha ritenuto nuova la domanda di Cms in quanto mai proposta in precedenza, nemmeno nell’atto di riassunzione dal Tar, dove pure ‘ in considerazione del principio di economia dei giudizi ‘ avrebbe potuto essere proposta (sentenza pagina 12).
Sicché non è dato comprendere la censura di Cms, secondo la quale la domanda risarcitoria ‘ pur presentando il carattere della novità, è ammissibile nel giudizio di riassunzione ‘, nel quale, invece, come ha detto la Corte, non venne avanzata.
Inoltre, nel suo complesso pare che il mezzo tenda a far ottenere alla Cms un ristoro per la perdita delle caratteristiche agrarie del fondo a seguito dell’occupazione, dalla quale sarebbe derivata la sua inutilizzabilità.
Il motivo, tuttavia, non considera che la Corte territoriale ha disatteso la domanda risarcitoria sul rilievo che il terzo acquirente del fondo occupato non può far valere diritti derivanti dall’occupazione del predio, che il terzo non ha subito, e sull’osservazione che Cms, come i Punzo, doveva imputare a sé stessa il tradivo rilascio dell’area.
Inoltre, la Corte ha disatteso l’istanza risarcitoria della Cms sia perché questa aveva acquistato il fondo nel 1995 ‘ evidentemente consapevole ‘ (sentenza pagina 14) dello stato di fatto in cui i suoli si trovavano, sia perché essa si poneva in contrasto con la
precedente decisione con la quale era stato assegnato ai COGNOME una somma per la rimessione in pristino dell’area: decisione che implicava, secondo la Corte, l’accertamento della possibilità di restituire al cespite l’originaria struttura agricola.
Tutte queste rationes decidendi non risultano colte col mezzo in esame, che, pertanto, va dichiarato inammissibile.
13 .- Alla soccombenza dei ricorrenti segue la loro condanna solidale alla rifusione delle spese in favore di ciascuno dei controricorrenti, per la cui liquidazione -fatta in base al d.m. n° 55 del 2014, come modificato dal d.m. n° 147 del 2022, ed al valore indeterminabile della lite -si rimanda al dispositivo che segue.
Va inoltre dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater, del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico solidale dei ricorrenti, ove dovuto.
p.q.m.
la Corte dichiara inammissibili i motivi di ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rifondere le spese del presente giudizio, che liquida in euro 8.000,00, per ciascun controricorrente, per compensi, oltre alle spese prenotate a debito per la Presidenza del consiglio e ad euro 200,00 per esborsi per il Comune di Ercolano, oltre -per il solo comune di Ercolano – al rimborso forfettario delle spese in ragione del 15%, oltre al cp ed all’iva, se dovuta. Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater, del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico solidale dei ricorrenti, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 27 novembre 2024, nella camera di consiglio della prima sezione.
Il presidente NOME COGNOME