Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11445 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11445 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25518/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
NESPICA NOME
-intimato- avverso DECRETO di TRIBUNALE VITERBO al n. 5443/2023 depositata il 14/12/2023.
Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME ha proposto reclamo avverso il piano di riparto finale disposto nell’ambito della procedura di liquidazione del patrimonio ex art. 14ter l. n. 3/2012 aperta nei suoi confronti davanti al Tribunale di Viterbo. Tra le censure proposte, la ricorrente debitrice ha dedotto e dunque chiesto la necessaria collocazione nel riparto finale di uno dei suoi creditori (NOME COGNOME per un importo maggiore di quanto indicato.
Il Tribunale di Viterbo, con il decreto qui impugnato ha rigettato il reclamo. Ha ritenuto il giudice del reclamo che la reclamante non ha interesse, né legittimazione a far valere maggiori crediti altrui (quello del creditore NOME COGNOME), non sussistendo i presupposti per la sostituzione processuale. Il Tribunale ha, poi, evidenziato che la legittimazione del debitore sovraindebitato a impugnare il piano di riparto può derivare astrattamente dagli effetti de ll’eventuale esdebitazione ma, sul punto, ha ritenuto che la debitrice sovraindebitata non ha dedotto quale utilità le sarebbe derivata dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione.
Propone ricorso per cassazione la debitrice sovraindebitata affidato a due motivi e ulteriormente illustrato da memoria. La parte intimata non si è costituita in giudizio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 81, 100 cod. proc. civ. , nonché dell’art. 14 -ter e dell’art. 14 -terdecies l. n. 3/2012, nella parte in cui il decreto impugnato ha ritenuto che la debitrice sovraindebitata non fosse legittimata a impugnare il piano di riparto finale , chiedendo l’ammissione di un maggior importo a favore di un singolo creditore. Parte ricorrente,
dopo avere riepilogato le vicende che hanno interessato la liquidazione del patrimonio, osserva che l’impugnazione del riparto finale ha riguardato profili di carattere formale, quale la circostanza che il decreto di formazione del passivo era stato impugnato dall’Avv. NOME COGNOME il cui positivo esito avrebbe avuto ricadute sulla procedura di liquidazione del patrimonio della debitrice, circostanza in relazione alla quale la ricorrente deduce il proprio interesse ad agire. Osserva, inoltre, che l’esclusione di alcuni creditori tardivi avrebbe comportato il ritorno in bonis della sovraindebitata con un saldo attivo.
2. Il primo motivo è inammissibile nella parte in cui deduce l’esistenza dell’interesse ad agire in relazione al corretto svolgimento della procedura. L’interesse all’impugnazione – inteso quale manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire e la cui assenza è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo – deve essere individuato in un interesse giuridicamente tutelabile, identificabile nella concreta utilità derivante dalla rimozione della pronuncia censurata, non essendo sufficiente l’esistenza di un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica (Cass., n. 23054/2024; Cass., n. 2476/2024; Cass., n. 3991/2020; Cass., n. 13395/2018; Cass., n. 13373/2008; Cass., n. 6546/2004).
3. E’, quindi, l’utilità del provvedimento giurisdizionale richiesto rispetto alla lesione denunziata che legittima l’interesse ad agire (Cass., n. 2604/2024). Non è, pertanto e come detto, nell’affermazione di una astratta correttezza oggettiva della decisione che si rinviene l’interesse ad agire in giudizio, bensì nell’utilità soggettiva che dall’interpretazione della norma discende al ricorrente (Cass., n. 4729/2022; Cass., n. 12952/2007; Cass., n. 12548/2002). L’interesse ad agire ex art. 100 cod. proc. civ. è,
pertanto, governato dall’accertamento dell’esistenza in concreto di un interesse attuale al giudizio, in presenza della possibilità di conseguire un risultato concretamente rilevante, non altrimenti ottenibile se non mediante il processo a tutela di una posizione giuridica già sorta in capo all’interessato e non anche potenziale, al fine di evitare che la tutela venga richiesta in vista di situazioni future o meramente ipotetiche (Cass., n. 4410/2022), senza che siano possibili questioni puramente interpretative nell’interesse superiore della legge (Cass., n. 2057/2019). Il che spiega il divieto di far valere in giudizio in nome proprio un diritto altrui (art. 81 cod. proc. civ.), verifica che va compiuta anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo col solo limite della formazione del giudicato interno (Cass., n. 29505/2020).
4. Nella specie, non rientra nell’interesse ad agire della ricorrente la tutela del corretto incedere della procedura di liquidazione del patrimonio a tutela di un interesse futuro ed eventuale; tale conclusione opera in termini pregiudiziali anche rispetto alle pur puntuali osservazioni del Pubblico Ministero, che (quanto al merito) ha evidenziato -in concreto -come « l’esame delle disposizioni dettate dagli artt. 14 ter e seguenti della legge n. 3 del 2012 non inducono a ritenere che la fase distributiva dovesse essere subordinata alla definizione del contenzioso relativo alla fase di verifica del passivo» , come peraltro avveniva sotto la disciplina del fallimento (Cass., n. 26927/2006; Cass., n. 17308/2011).
5. Il primo motivo è, inoltre, inammissibile anche nella parte in cui deduce violazione di legge in relazione all’ interesse ad agire della ricorrente per il fatto che l’esclusione di alcuni creditori collocati nel riparto avrebbe comportato un residuo attivo a favore della ricorrente (argomento diffusamente ripreso dalla ricorrente in
memoria), in quanto censura estranea alla ratio decidendi della sentenza impugnata.
6. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 81, 100, 112 cod. proc. civ., nonché dell’art. 14 -ter e dell’art. 14 -terdecies l. n. 3/2013, nella parte in cui il decreto impugnato ha rigettato il reclamo della debitrice sul presupposto che non sarebbe provato alcun interesse della ricorrente a impugnare il decreto di esecutività in relazione alla successiva procedura di esdebitazione ex art. 14terdecies l. n. 3/2012. Osserva parte ricorrente che il tribunale non avrebbe correttamente considerato che la procedura di esdebitazione non ha incidenza sul riparto e non è automatica. Deduce, inoltre, che non sarebbe stata considerata la funzionalità del credito dell’Avv. COGNOME al buon esito della apertura della procedura di liquidazione.
7. Il secondo motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi del provvedimento impugnato. Il Tribunale di Viterbo, al di là del difetto dei presupposti per la sostituzione processuale della debitrice in relazione alla posizione creditoria dell’Avv. NOME COGNOME ha esaminato un possibile ulteriore profilo di interesse della debitrice a impugnare il piano di riparto finale, consistente negli effetti esdebitatori che sarebbero conseguiti dal maggior soddisfacimento dei creditori in caso di accoglimento del reclamo. Tuttavia, lo stesso giudice di merito ha ritenuto che il ricorso fosse carente in punto dimostrazione di questo interesse proprio nel caso concreto, ragione della decisione non attinta dal ricorrente.
8. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese in assenza di difese scritte
dell’intimato. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 08/04/2025.