Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31204 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31204 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 3031 – 2024 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Parma, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
NOME nella qualità di titolare dell’RAGIONE_SOCIALE omonima , elettivamente domiciliato in Parma, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– controricorrente –
per il regolamento necessario di competenza richiesto avverso la sentenza n. 1751/2023 del TRIBUNALE DI PARMA, pubblicata il 15/12/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/12/2023 dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 23/12/2020, NOME COGNOME quale titolare dell’omonima impresa edile, ha convenuto in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Parma, NOME COGNOME proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1699/2020 da quest’ultima ottenuto, nei suoi confronti, per l’importo di Euro 26.309,49, a titolo di restituzione delle somme da lei pagategli in forza di precedente decreto ingiuntivo, poi revocato.
1.1. Con la sua opposizione, NOME COGNOME aveva eccepito la pendenza, in grado di appello, di una domanda di restituzione di identico contenuto, proposta nei suoi confronti dalla stessa Frati.
Era accaduto, infatti, che egli, quale appaltatore, avesse ottenuto, nel 2012, un decreto ingiuntivo, nei confronti di NOME COGNOME a titolo di saldo del prezzo di lavori da lei asseritamente commissionati; con sentenza 1192/2019, il Tribunale di Parma aveva revocato questo decreto ingiuntivo, escludendo che tra loro fosse intercorso un contratto di appalto; nelle more del giudizio di primo grado, tuttavia, COGNOME aveva già eseguito il pagamento ingiuntole; quindi, nel 2019, nel giudizio di appello instaurato dallo stesso COGNOME ella aveva già proposto una domanda di restituzione di quelle stesse somme.
Con sentenza n. 1751/2023, pubblicata in data 15/12/2023, il Tribunale di Parma , in accoglimento dell’ opposizione, dichiarata la litispendenza, ha revocato il decreto opposto.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto regolamento di competenza, affidandolo ad un motivo, a cui NOME COGNOME ha resistito; entrambe le parti hanno depositato successive memorie.
Il Pubblico ministero ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, NOME COGNOME ha lamentato, in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., l’err onea applicazione dell’art. 39 cod. proc. civ.: nel dichiarare la litispendenza tra la causa, pendente avanti a sé, di opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1699/2020 e quella pendente innanzi alla Corte di Appello di Bologna, il Tribunale non ha considerato che quel giudizio si era già concluso con sentenza n. 327/2023 del 16/02/2023, ormai passata in giudicato in data 21/04/2023, perché da lei stessa notificata a Carra in data 20/02/2023 e non impugnata; ciò avrebbe implicato, secondo la ricorrente, una decisione nel merito, tenuto conto del precedente giudicato.
1.1. Il motivo è inammissibile perché, per sua formulazione, risulta privo di interesse.
La ricorrente, infatti, non contesta l’identità della domanda di restituzione che ha fondato la dichiarazione di litispendenza, ma contesta la sussistenza del presupposto di operatività dell’art. 39 cod. pro. civ., perché, prima della pronuncia, quella identica domanda era stata già accolta con sentenza passata in giudicato.
Quel che, allora, può ricavarsi dalla stessa prospettazione del ricorso e dalla corretta applicazione delle norme di diritto applicabili alla fattispecie è che, in ogni caso, attesa l’identità non contestata della
domanda di restituzione, il decreto ingiuntivo n. 1699/2020 avrebbe dovuto comunque essere revocato, seppure in applicazione della preclusione costituita dal giudicato.
In tal senso, allora, risulta la mancanza di rilievo pratico della impugnazione in esame, perché la decisione conseguente alla valutazione del giudicato sarebbe stata e sarebbe, secondo la stessa ammissione della parte, la revoca del decreto ingiuntivo perché il diritto azionato è stato già riconosciuto da precedente pronuncia definitiva; ciò significa che l’impugnazione non consente di conseguire un risultato differente da quello ottenuto con la statuizione censurata.
Ciò posto, deve allora considerarsi che, per principio consolidato, non è sostenuta da alcun interesse, rilevante ex art. 100 cod. proc. civ., una censura con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non abbia spiegato alcuna influenza in relazione alle domande o alle eccezioni proposte e che sia quindi diretta all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (Cass. Sez. U, n. 12637 del 19/05/2008, Sez. 1, n. 20689 del 13/10/2016, Sez. 6 – 1, n. 12678 del 25/06/2020).
1.2. Diversamente non può ritenersi neppure in riferimento alla pronuncia sulle spese del giudizio di opposizione, a cui COGNOME nella ordinanza qui impugnata con regolamento, è stata condannata, in favore di COGNOME
Si può, infatti, ritenere sussistente un interesse mediato all’impugnazione per il fatto che al suo accoglimento può conseguire anche la riforma della statuizione sulle spese soltanto se questo interesse si sia tradotto in apposito motivo di impugnazione del relativo capo di condanna, ovvero sia stato esplicitato come ragione fondante dell’impugnazione avanzata per altri motivi: in altri termini, in riferimento all’art. 100 cod. proc. civ., è necessario che il ricorrente chiarisca la sussistenza del suo interesse a ll’impugnazione anche in
riferimento al suo concreto e attuale interesse alla riforma del capo relativo alle spese (Cass. Sez. 6 – 3, n. 25712 del 04/12/2014).
Nella specie, invece, la condanna alle spese pronunciata nell’ordinanza impugnata non è stata oggetto di alcuna censura, né mediata né diretta.
Il ricorso deve, perciò, essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna di COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore di COGNOME, liquidate in dispositivo in relazione al valore della causa.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna COGNOME al pagamento, in favore di Carra, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda