Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20430 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20430 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8326/2023 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE FRIULI CENTRALE, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TRIESTE n. 61/2020 depositata il 11.9.2020, NRG 32/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3/6/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME -dipendente dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine, poi divenuta Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale (di seguito ASU) – ha agito lamentando violazioni delle norme del Regolamento aziendale e degli accordi sindacali riguardanti la valutazione della sua performance individuale, con riferimento all’omessa compilazione della scheda riguardante la Sezione A relativa al raggiungimento degli obiettivi individuali, mentre la valutazione svolte nella sezione B, relativa alle competenze professionali e generali del ricorrente, era stata svolta in modo non legittimo (mancanza di previe informazioni; valutazioni parziali delle competenze; assenza di previo colloquio; difetti di motivazione; riferimento a parametri mai prima illustrati etc.);
egli ha quindi chiesto accertarsi l’illegittimità della valutazione ed il suo annullamento, con condanna a nuova valutazione;
la Corte d’Appello di Trieste, confermando la sentenza del Tribunale di Udine, ha ritenuto assorbente il rilievo, già mosso dal giudice di prime cure, di difetto di un attuale interesse ad agire;
la Corte d’Appello ha evidenziato che la valutazione ha rilievo, ai sensi dell’art. 3, co. 5 del d. lgs. n. 150 del 2009, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 1, co. 1 lett. b) del d. lgs. n. 74 del 2017, sul piano retributivo per l’erogazione di trattamenti legati alla performance e per il riconoscimento di progressioni economiche, nonché, sul piano giuridico, ai fini dell’attribuzione di incarichi di responsabilità, anche dirigenziali;
la Corte territoriale ha quindi rilevato che il ricorrente aveva ottenuto l’incentivo per il 2017 e non aveva mai dedotto o dimostrato che, con un punteggio superiore avrebbe avuto un incentivo maggiore, come anche non aveva dedotto che vi fossero procedure per progressioni o incarichi, senza contare che comunque la ASU aveva precisato che per progressioni e incarichi non potevano valere le valutazioni svolte per il 2017, in quanto era
sopravvenuta nuova normativa e sarebbero state considerate solo le valutazioni successive;
la Corte d’Appello ha aggiunto, infine, che, comunque, se in futuro la ASU avesse voluto considerare le valutazioni per il 2017, solo allora l’interesse ad agire si sarebbe concretizzato come attuale ed avrebbe potuto svilupparsi ogni azione in proposito;
2.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, resistiti da controricorso della ASU;
CONSIDERATO CHE
1.
va data preminenza logica al secondo motivo di ricorso -perché un suo eventuale accoglimento porterebbe al superamento della questione sull’interesse ad agire – con cui il ricorrente assume l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.), ricavabile dalla documentazione prodotta unitamente al ricorso di primo grado ed espressamente dedotto anche nel ricorso di appello;
in particolare, secondo il ricorrente, l’Accordo integrativo aziendale annuale sui criteri di utilizzo dei fondi contrattuali relativo al 2017 prevedeva, quanto al ‘fondo per la produttività collettiva per il miglioramento dei servizi e per il premio della qualità delle prestazioni individuali’ che la quota di incentivo individuale per il 2017 venisse determinata, sulla base dell’effettiva presenza in servizio, ‘in misura corrispondente al punteggio finale ottenuto dal dipendente nella scheda di valutazione individuale dell’Area B Competenze professionali e generali’, sicché un diverso punteggio avrebbe automaticamente inciso, per l’espressa previsione appena riportata, anche sulla quota di incentivo individuale spettante al ricorrente;
il motivo è inammissibile;
1.2
la Corte d’Appello ha espressamente affermato che il ricorrente non avrebbe dedotto e tanto meno dimostrato che il riconoscimento di un punteggio superiore avrebbe comportato l’erogazione di un incentivo maggiore;
il motivo si propone, al di là del profilo dell’allegazione, di far rilevare che in atti vi era un documento dal cui esame si sarebbe desunto che un diverso punteggio avrebbe determinato una diversa misura dell’incentivo;
tale documento consisterebbe nell’accordo integrativo aziendale sull’utilizzazione dei fondi;
tuttavia, il motivo non fa cenno a dove, come e quando quell’accordo sia stato prodotto in giudizio, neanche attraverso la mera indicazione della collocazione di esso nell’ambito dei fascicoli, dell’una o dell’altra parte o in estrema ipotesi del fascicolo d’ufficio; è del resto evidente che, in tanto si potrebbe parlare di omesso esame di un fatto decisivo, inteso come fatto storico -e qui come risultanza a valenza negoziale di un certo Accordo collettivo aziendale -in quanto quel fatto emergesse dagli atti di causa, non potendosi altrimenti imputare alcun vizio al ragionamento giudiziale in ragione di un atto non esistente tra il materiale di causa;
basti qui richiamare il principio sancito da Cass., S.U., 2 dicembre 2008, n. 28547 in forza del quale, in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366, co. 1, n. 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto, precisandosi altresì che tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi
di merito, e, in ragione dell’art. 369, secondo comma , n. 4 c.p.c., anche che esso sia prodotto in sede di legittimità;
al principio hanno dato seguito le successive pronunce conformi di Cass. 23 settembre 2009, n. 20535, Cass. 20 novembre 2017, n. 27475; Cass. 7 marzo 2018, n. 5478; Cass. 21 novembre 2024, n. 30087;
quelle indicazioni (come anche quella produzione autonoma in sede di legittimità) non sono contenute nel ricorso per cassazione e la rilevanza del vizio rispetto al caso appunto di denuncia di un omesso esame di un fatto desumibile da un certo documento è palese ed assorbente, nel senso dell’inammissibilità;
2.
appurato quindi che non vi sono elementi per superare la valutazione in fatto della Corte territoriale in merito all’assenza di effetti immediati e diretti sul piano degli incentivi, va quindi affrontato il primo motivo del ricorso per cassazione;
con esso è addotta la violazione e/o falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 100 c.p.c. e degli artt. 2 ss. del d. lgs. n. 150 del 2009;
nel motivo si sostiene in sostanza che sussiste un interesse individuale alla regolare valutazione della performance , che prescinde dai rilievi economici e di carriera, perché essa esprime l’« apprezzamento sistematico del valore attuale e potenziale di una persona per l’organizzazione di cui fa parte »;
il motivo rimarca altresì come sarebbe contraddittorio l’asserire dapprima che non vi erano imminenti o previste attivazioni di procedure concorsuali interne, salvo poi attribuire credito all’indimostrata affermazione avversaria secondo cui l’Azienda , nelle progressioni o incarichi a venire, non avrebbe preso in considerazione le valutazioni riguardanti il 2017, ma solo quelle successive al nuovo accordo integrativo da adottarsi a tal fine;
in definitiva, conclude il motivo, nell’ambito del sistema di valutazione della performance , l’interesse ad agire non deve necessariamente consistere nel perseguimento di un beneficio sotto il profilo economico e della carriera, risultando a tal fine sufficiente la volontà del dipendente di rimuovere una condizione oggettiva di incertezza e di pregiudizio rispetto alla valutazione effettuata nei suoi confronti, nella prospettiva del riconoscimento e della valorizzazione del merito;
2.1
la Corte d’Appello, come si è detto, ha escluso che le questioni sulla valutazione della performance avessero avuto effetto sul piano degli incentivi retributivi e, quanto alle progressioni o incarichi, ha rilevato che non ve ne erano in corso, imminenti o già previste rispetto alle quali rilevasse la valutazione per il 2017;
quanto a quelle future, essa ha avallato l’assunto dalla ASU secondo cui, stanti le innovazioni apportate dal d. lgs. n. 74 del 2017, l’esigenza di un nuovo Regolamento e di un nuovo accordo integrativo, le performance avrebbero ricevuto valutazioni rispetto alle quali non aveva rilievo quanto accaduto per il 2017, non mancando di precisare che, se comunque emergesse in futuro un qualche rilievo di queste ultime allora -ma solo allora – si sarebbe dovuto riconoscere un interesse attuale del ricorrente a discutere giudizialmente di esse;
2.2
i rilievi contenuti nel motivo su quest’ultimo punto riguardano profili di fatto ed istruttori -nella parte in cui assumono che la tesi sull’ininfluenza delle valutazioni del 2017 sulle procedure future sarebbe stata desunta solo dalle difese della ASU – e non risultano neanche meglio spiegate, sicché in parte qua si tratta di deduzioni improprie rispetto al giudizio di legittimità;
tra l’altro , questi rilievi non considerano l’ulteriore ragionamento svolto dalla Corte di merito in ordine alla possibilità che l’interesse
rispetto alle valutazioni del 2017 possa essere riaperto, se di esse la ASU intendesse fare utilizzo in futuro;
3.
resta dunque il tema giuridico centrale della causa, che è quello dell’interesse ad agire, idoneo a sorreggere la domanda di tutela giudiziaria, sotto il profilo del rilievo personale delle procedure di valutazione, quale riconoscimento e valorizzazione in sé del merito a prescindere dagli effetti sui trattamenti e sugli istituti giuridici del rapporto;
in proposito il collegio ritiene che il ricorso per cassazione, sul punto, non meriti accoglimento, sebbene il ragionamento giuridico svolto dalla Corte territoriale vada parzialmente rivisto, anche ai sensi dell’art. 384, u.c., c.p.c.;
3.1
questa S.C. ha in effetti chiarito (Cass. 4 aprile 2001, n. 4984) che l’accertamento e la valutazione dell’interesse ad agire si risolve in un’indagine sull’idoneità astratta della pronuncia richiesta al conseguimento del risultato utile sperato e non altrimenti conseguibile se non con l’intervento del giudice, e va, pertanto, distinta dalla valutazione relativa al diritto sostanziale fatto valere in giudizio, poiché, nella prima, assume rilievo la questione dell’utilità dell’effetto giuridico richiesto e considerato con giudizio ipotetico conforme alla norma giuridica invocata, mentre, nella seconda, spiega influenza la (diversa) questione dell’effettiva conformità alla norma sostanziale dell’effetto giuridico che si chiede al giudice di attuare;
tale ragionamento si è poi ulteriormente concretizzato nella massima per cui l’accertamento dell’interesse ad agire, inteso quale esigenza di provocare l’intervento degli organi giurisdizionali per conseguire la tutela di un diritto o di una situazione giuridica, deve compiersi con riguardo all’utilità del provvedimento giudiziale richiesto rispetto alla lesione denunziata, prescindendo da ogni
indagine sul merito della controversia e dal suo prevedibile esito (Cass., S.U., 22 novembre 2022, n. 34388 ed anche in modo identico, in un passato ormai non recente, Cass. 23 novembre 1990, n. 11319);
vale a dire che sono cose diverse la possibilità che una situazione giuridica prospettata da chi agisce possa trovare tutela attraverso l’azione giudiziale come mezzo concreto per rimuovere l’effetto pregiudizievole -nel che consiste l’interesse ad agire -dall’esistenza di quella situazione giuridica soggettiva;
nel caso di specie, è giusto dire -con la Corte d’Appello che mancava interesse ad agire rispetto ad una modifica degli esiti della procedura perché gli incentivi economici erano stati comunque attributi al ricorrente, non vi erano progressioni di carriera o incarichi perseguibile e rispetto alle valutazioni future, quanto accaduto nel 2017, non avrebbe avuto rilievo;
da questi punti di vista, l’azione giudiziale era infatti inutile;
non è invece giusto affermare una carenza di interesse se si ha riguardo all’azione del ricorrente come finalizzata alla tutela di un suo interesse morale alla valutazione della sua attività, perché, in ipotesi, l’annullamento e la ripetizione del le procedure di valutazione, che è quanto chiesto nelle conclusioni riportate in epigrafe della sentenza di appello, quell’interesse avrebbero potuto soddisfarlo;
da questo punto di vista l’azione giudiziale era quindi certamente utile e l’interesse ad agire va dunque riconosciuto;
3.2
tuttavia, sul piano giuridico, i ragionamenti della Corte d’Appello sono corretti nel non riconoscere alcun diritto tutelabile in capo al ricorrente da quest’ultimo punto di vista;
l’esistenza di un diritto tutelabile va infatti misurato non su considerazioni astratte in ordine a qualsivoglia valore individuale o collettivo teoricamente destinato ad essere sollecitato da
determinate vicende della vita consociata, ma rispetto ai concreti profili cui fa riferimento la disciplina giuridica degli istituti che vengono in evidenza;
detto altrimenti, non vi è dubbio che la valutazione della performance coinvolga, consistendo in un apprezzamento sulle doti e le attività svolte da un certo dipendente, aspetti della personalità, quale l’amor proprio o l’autostima, che inevitabilmente vengono interessati dall’espressione di un giudizio altrui di cui comunque quella valutazione consiste;
tuttavia, la tutelabilità di tali situazioni, anche personali, va misurata sull’impianto giuridico in cui quelle valutazioni sono previste e non sul piano umano generico;
anche perché il rispetto di procedure e criteri ha senso rispetto agli effetti che tali parametri hanno nell’ambito dell’istituto considerato e non hanno invece alcun rilievo decisivo sotto il profilo della reale considerazione della persona altrui;
3.3
su tale premessa, la questione specifica riguarda valutazioni che sono state comunque positive -ed è dunque fuorigioco il tema delle valutazioni negative, di cui all’art. 3, co. 5 -bis del d. lgs. n. 150 del 2009 – e che, secondo il ricorrente, avrebbero potuto essere ancora migliori se fossero state osservate le procedure e le regole di cui egli assume la violazione;
in proposito va rilevato come nelle norme degli artt. 2 ss. del d.lgs. n. 150 del 2009, non si apprezzino spazi per valutazioni e procedure che non siano destinate a sfociare in concreti effetti favorevoli, economici o di carriera;
in ciò consistono infatti i benefici sintetizzati dall’art. 3, co. 5, su cui ha fatto leva anche la Corte d’Appello o comunque i premi regolati dagli artt. 20 ss. del citato impianto normativo;
da questo punto di vista, le procedure valutative, oltre a porsi come strumentali rispetto al raggiungimento indiretto degli obiettivi
cui il sistema è preordinato, hanno il solo fine -se positive – di attribuire quegli incentivi e premi e non altro, sicché il piano della generica soddisfazione personale rispetto ai loro esiti non fa parte del sistema giuridico regolativo della fattispecie;
pertanto, non può ammettersi un’azione che sia finalizzata al loro annullamento ed al nuovo svolgimento di esse per sole ragioni di tutela dell’interesse morale personale del dipendente alla revisione migliorativa di una valutazione che è comunque stata positiva, ha portato all’attribuzione degli incentivi economici previsti e non ha pregiudicato – senza che al momento si possa concretamente sospettare un rischio, perché secondo la Corte d’Appello dovranno osservarsi nuove regole -rispetto alle future progressioni economiche e di carriera;
4.
in definitiva, l’interesse ad agire non sussisteva per le ragioni più volte dette -rispetto alle situazioni patrimoniali coinvolte; esso sussiste rispetto alle situazioni personali prospettate, ma o comunque una situazione giuridica che sia tutelata da quelle e quindi la domanda è
rispetto a queste ultime non esiste un diritto soggettivo procedure di valutazione della performance infondata;
5. il ricorso va quindi integralmente rigettato e le spese sono da regolare secondo soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 2.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro