Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27695 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 27695 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 24987-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 939/2021 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 30/07/2021 R.G.N. 981/2020;
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. 24987NUMERO_DOCUMENTO2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 10/09/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Palermo, confermando la pronuncia del giudice di primo grado, ha accertato la illegittimità del licenziamento intimato per giusta causa da RAGIONE_SOCIALE a Pietro COGNOME in data 6.8.2019 con siderata l’insussistenza del fatto addebitato consistente nel prelievo di merce scaduta ed ha condannato il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno.
La Corte territoriale -ritenuto violato il principio di immutabilità della contestazione disciplinare quanto all’ulteriore addebito concernente la violazione di regole operative poste a garanzia delle corrette operazioni di discarico dei prodotti non più commerciabili in quanto avariati o scaduti – ha ritenuto illegittimo il licenziamento in mancanza di fatti che potessero rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l’elemento fiduciario, trattandosi di sottrazione di merce scaduta (due confezioni di carne) e quindi priva di ogni valore patrimoniale per l’azienda, e in assenza di elemento intenzionale (vista l’incertezza emersa in giudizio sulla effettiva conoscenza delle istruzioni operative da parte del lavoratore per il discarico dei prodotti non più commerciabili); considerata, pertanto, l’inoffensività della condotta addebitata, tale da ridurre, fino a neutralizzarla, la portata antigiuridica, la Corte territoriale ha applicato il regime reintegratorio previsto dall’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del1970.
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Il lavoratore ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione degli artt. 53 e ss., 2106 c.c. e 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970 avendo, la Corte di appello, erroneamente ritenuto che non fosse stata fornita la prova della conoscenza della procedura di smaltimento degli scarti da parte del lavoratore, nonostante la produzione delle dichiarazioni testimoniali rese dal COGNOME nell’ambito del distinto procedimento giudiziale a carico del collega COGNOME; inoltre, sussiste l’antigiuridicità del fatto posto in essere dal lavoratore il quale sapeva bene che i prodotti scaduti (quantomeno quelli del reparto macelleria a cui era detto) venivano smaltiti all’interno del reparto stesso in appositi bidoni non portati a casa dei singoli dipendenti al fine di smaltirli un po’ per uno.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., nonché 115,116,177,187,188,189,244 c.p.c. avendo, la Corte di appello, erroneamente ritenuto prive di adeguato sostegno istruttorio le ulteriori circostanze addotte dalla società a fondamento del provvedimento espulsivo (orario di chiusura del punto vendita e presenza di clienti dopo le ore 20:00) a fronte della reiterata richiesta di espletamento della prova testimoniale sull’apertura del punto vendita, della produzione
delle riprese della videosorveglianza (dalle quali è possibile vincere che i clienti presenti all’interno del supermercato erano dislocati in tutte le parti, in un solo nei pressi delle casse).
I motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente visto la stretta inerenza, non sono fondati.
Deve, in primo luogo, rimarcarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi -violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (ex aliis: Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
Nella specie è evidente che il ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) bensì un vizio-motivo, da valutare
alla stregua del novellato art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ., che – nella versione ratione temporis applicabile – lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014) e che, inoltre, nel caso di specie è impedito dalla presenza di una sentenza c.d. ‘doppia conforme’.
Invero, come questa Corte ha affermato, l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. compiuta dal giudice di merito – mediante la valorizzazione o di principi che la stessa disposizione richiama o di fattori esterni relativi alla coscienza generale ovvero di criteri desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali ma anche dalla disciplina particolare, collettiva appunto, in cui si colloca la fattispecie ‘è sindacabile in Cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. Cass. n. 13534 del 2019; nello stesso senso, Cass. n. 985 del 2017; Cass. n. 5095 del 2011; Cass. n. 9266 del 2005).
7. L’accertamento della concreta ricorrenza, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e sue specificazioni e della loro attitudine a costituire giusta causa di licenziamento opera sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito (e insindacabile in sede di legittimità).
Ebbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha tenuto in considerazione gli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo ed è pervenuta alla conclusione della insussistenza di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, accertando altresì -ai fini del regime di tutela da applicare la ricorrenza della nozione di ‘insussistenza del fatto’ di cui all’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 2018 (come novellata dalla legge n. 92 del 2012).
La Corte distrettuale si è attenuta ai principi elaborati da questa Corte (Cass. Sez. Un. n. 8202/2005; Cass. n. 15228/2007), cui si intende dare seguito, circa la nozione – in tema di licenziamento individuale per giusta causa -di insussistenza del fatto contestato, che rende applicabile la tutela reintegratoria ai sensi dell’art. 18, comma 4, st. lav. (come modificato dall’art. 1, comma 42, lett. b), della l. n. 92 del 2012), tale da comprendere anche l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità (cfr. Cass. n. 3655/2019, Cass. n. 19579/2019).
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
in Euro 200,00 per esborsi, nonchè in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 settembre