Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 273 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 273 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19998-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
Oggetto
Licenziamento per g.m.o.
R.G.N. 19998/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 29/11/2023
CC
avverso la sentenza n. 969/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/04/2020 R.G.N. 3593/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/11/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. con sentenza 27 aprile 2020, la Corte d’appello di Roma ha rigettato il reclamo di RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado, di accertamento, in esito a rito Fornero, dell’illegittimità del licenziamento intimato, con lettera del 15 maggio 2017, alla sua dipendente indicata in epigrafe e di condanna della società datrice alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal li cenziamento alla reintegrazione, oltre accessori di legge e alla regolarizzazione della posizione della lavoratrice presso gli Enti previdenziali; 2. alla luce delle illustrate vicende di esternalizzazione (mediante contratti di cessione del relativo ramo d’azienda e di comodato ad altre società, dichiarati inefficaci nei confronti della lavoratrice) del servizio di pulizia delle aree di non degenza, essa ha ritenuto, in esito alle scrutinate risultanze documentali, l’estraneità di tale circostanza, addotta a fondamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, riguardo alla posizione lavorativa in concreto della
lavoratrice (in quanto non addetta a tale servizio). E pertanto la manifesta insussistenza del fatto materiale posto alla sua base, comportante l’applicazione, correttamente operata dal Tribunale, della tutela reintegratoria attenuata ai sensi dell’art. 18 , quarto e settimo comma legge n. 300/1970, senza effettiva detrazione di aliunde perceptum , in difetto di specifica allegazione della società datrice;
con atto notificato il 9 luglio 2020, la società ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, cui la lavoratrice ha resistito con controricorso;
entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 18 legge n. 300/1970, 3 legge n. 604/1966, 30, primo comma legge n. 183/2010, 41 Cost., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la manifesta insussistenza del fatto materiale posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo -a causa dell’irrilevanza delle pregresse vicende circolatorie del ramo d’azienda (cessione e comodato ad altre società), relativo ai servizi di pulizia delle aree di non degenza, oggetto delle controversie tra le parti e definite con il giudicato di loro inefficacia nei confronti della
lavoratrice con ripristino del suo rapporto con la società datrice, odierna ricorrente, ancorché in via solo amministrativa senza assegnazione effettiva di mansioni ed ‘esonerata dalla prestazione lavorativa in ragione della soppressione del posto di lavoro ricoperto e dell’insussistenza di posizioni vacanti in cui poter proficuamente inserire la lavoratrice’ (come si legge nella comunicazione della società dell’1 luglio 2014) per effetto della risoluzione consensuale della cessione del ramo di azienda in oggetto del 31 gennaio 2017 e la successiva esternalizzazione diretta dei servizi di pulizia delle aree di non degenza, con effettivo inveramento del fatto a base del licenziamento; pure rilevata la mancata motivazione in ordine alla manifesta insussistenza ed alla selezione, meramente facoltativa ( ‘può’ ) della tutela reintegratoria, piuttosto che indennitaria, prevista dall’art. 18, quarto e settimo comma legge n. 300/1970 (unico motivo);
esso è in parte inammissibile e in parte infondato;
non si configura, infatti, la violazione delle norme di legge denunciata, non deducendo la censura un problema interpretativo, né un’erronea sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica inappropriata, né l’inferenza di consegue nze giuridiche contraddittorie di una pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851; Cass. 19 ottobre 2023, n. 29062); quanto piuttosto l’ allegazione di un’erronea
ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., qui preclusa, al di là di ogni altra considerazione , dalla ricorrenza di un’ipotesi di cd. ‘doppia conforme’, prevista dall’art. 348 ter , quinto comma c.p.c. (applicabile ratione temporis , non avendo la ricorrente in cassazione indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità: Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994; Cass. 13 aprile 2021, n. 9656);
occorre poi premettere, in linea di diritto, che:
a ) il datore di lavoro è obbligato ad ottempera re all’ordine del giudice di ripristino del rapporto di lavoro invalidamente cessato sia per illegittimità del licenziamento (Cass. 17 agosto 2017, n. 20123), sia per nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato (Cass. 9 agosto 2013, n. 19095; Cass. 10 giugno 2014, n. 13060; Cass.28 settembre 2018, n. 23595), ovvero conseguente ad inefficacia della cessione di azienda o di un suo ramo (restando detto rapporto -non trasferitosi per effetto
dell’invalidità del trasferimento, in assenza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c. e di inconfigurabilità di una cessione negoziale, per mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione -nella titolarità dell’originario cedente: Cass. 18 febbraio 2014, n. 13485; Cass. 7 settembre 2016, n. 17736; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2281; Cass. 3 luglio 2019, n. 17784, in motivazione sub p.to 6.2);
b ) l’obbligo datoriale è adempiuto effettivamente (e non soltanto giuridicamente , per il ripristino de iure del rapporto, con la mera corresponsione, da parte del datore, della retribuzione, una volta validamente costituito in mora credendi per effetto dell’intimazione del lavoratore all’impresa cedente di ricevere la prestazione: Cass. 3 luglio 2019, n. 17784, in motivazione sub p.ti 6.3, 6.4 e succ. conff.), a seguito dell’adibizione del lavoratore alle mansioni per le quali sia stato assunto, salva la sua legittima assegnazione -in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali -a mansioni equivalenti o anche appartenenti al livello di inquadramento inferiore alle precedenti, a norma dell’art. 2103 c.c. (come sostituito dall’art. 3 d.lgs. 81/201 5); 5. nel caso di specie, è indiscusso che il ripristino del rapporto di lavoro sia avvenuto solo in via amministrativa, senza assegnazione effettiva di mansioni alla lavoratrice -già addetta al servizio di pulizia delle aree di non degenza fino al 14 settembre 2006, essendo stato il servizio esternalizzato in
continuità (mediante contratti, di cessione del relativo ramo d’azienda e di comodato ad altre società, dichiarati inefficaci nei confronti della lavoratrice: con irrilevanza per lei della risoluzione consensuale del 31 gennaio 2017) da tale data del 14 settembre 2006 fino al 1° febbraio 2017. Tale momento è stato, infatti, individuato dalla società datrice come rilevante, nella nota di comunicazione del 29 marzo 2017 (trascritta dall’ultimo capoverso di pg. 12 al primo di pg. 15 del ricorso) di avvio del procedimento di licenziamento (con lettera del 15 maggio 2017) ai sensi dell’art. 7 legge n. 604/1966, in funzione della esternalizzazione (non più mediata, come con i precedenti contratti, ma) diretta del ‘servizio di pulizie delle aree di non degenza cui era adibita la sig.ra COGNOME determinando la soppressione di quell’ambito organizzativo produttivo … ove la predetta prestava la propria attività lavorativa, con la contestuale soppressione della posizione lavorativa da questa occupata’ (così nella trascrizione al penultimo capoverso di pg. 14 del ricorso);
appare evidente l’insussistenza (non prestando la lavoratrice alcuna attività lavorativa nel servizio esternalizzato, comportante la soppressione della soltanto supposta sua posizione lavorativa; tra l’altro, avendo la medesima maturato dall’anno 2005, per effetto della sentenza del Tribunale di Roma n. 16299/2010, il diritto all’inquadramento nel livello A3, quale operatrice socio sanitaria, adibita a mansioni superiori a quelle di pulizia, in
sala parto o come infermiera di giro: come esposto all’ultimo capoverso di pg. 2 della sentenza) del fatto materiale posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale al quarto capoverso di pg. 4 della sentenza).
Neppure più si pone alcuna questione in ordine alla verifica del requisito di ‘manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento’, dovendosi ora prescindere dal suo carattere di evidenza immediata, per essere stato l’art. 18, settimo comma, secondo periodo legge n. 300/1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lett. b ) legge n. 92/2012, dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., limitatamente alla parola «manifesta». E ciò per i profili di irragionevolezza intrinseca (già posti in risalto nella sentenza Corte cost. n. 59 del 2021, che ha preso in esame il carattere meramente facoltativo della reintegrazione), della norma nel prevedere che, per poter disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, il giudice debba accertare la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo: in quanto requisito indeterminato, che demanda al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e per di più priva di un plausibile fondamento empirico e che neppure si connette razionalmente alla peculiarità delle diverse fattispecie di licenziamento. Neppure avendo il presupposto attinenza alcuna con il disvalore del
licenziamento intimato, eccentrico nell’apparato dei rimedi, usualmente incentrato sulla diversa gravità dei vizi e non su una contingenza accidentale, legata alla linearità e alla celerità dell’accertamento: riflettendosi in tal modo la disposizione censurata sul processo e complicandone taluni passaggi, con aggravio irragionevole e sproporzionato (Corte cost.19 maggio 2022, n. 125);
6. analogamente, nella selezione della tutela prevista dall’art. 18, settimo comma legge 300/1970, pur plausibilmente giustificato l’esercizio del potere discrezionale dalla Corte territoriale (al p.to 7 di pg. 5 della sentenza), commisurato al principio d ella “eccessiva onerosità’ (Cass. 3 febbraio 2020, n. 2366), tuttavia, a seguito della sentenza 1 aprile 2021, n. 59 della Corte costituzionale -che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., l’art. 18, settimo comma 7, secondo periodo legge n. 300/1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lett. b ) legge n. 92/2012, nella parte in cui prevedeva un potere discrezionale del giudice in ordine all’applicazione della tutela reale -in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove sia stata accertata la ‘(manifesta) insussistenza del fatto’ , deve essere sempre applicata la sanzione reintegratoria, senza che assuma rilevanza la valutazione sulla non eccessiva onerosità del rimedio (Cass. 25 maggio 2022, n. 16975);
7. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 29 novembre 2023
Il Presidente
(dott. NOME COGNOME