Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1604 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1604 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 24312-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1618/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/07/2020 R.G.N. 3886/2019;
Oggetto
R.G.N. 24312/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 06/12/2023
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/12/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in atti, ha accolto il reclamo proposto da NOME avverso la decisione che aveva respinto la sua impugnazione del licenziamento disciplinare intimatole da RAGIONE_SOCIALE; ed in riforma della impugnata sentenza ha condannato RAGIONE_SOCIALE a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro ed a risarcirle il danno nella misura indicata, oltre accessori.
A fondamento della decisione, la Corte, alla luce delle prove documentali e testimoniali acquisite nel corso del giudizio, ha dichiarato anzitutto insussistente qualsiasi profilo di illecito disciplinare nei fatti contestati in data 12/06/2017; ha escluso, inoltre, che i fatti contestati nella lettera del maggio 2017 integrassero un intento della lavoratrice ‘di sottrarsi scientemente all’integrale esecuzione delle disposizioni e della prestazione’ a lei richieste, poiché era emerso , al contrario, che la NOME non avesse mai mostrato disinteresse o rifiuto dei compiti assegnatile, ed avesse compiuto quanto possibile per porsi nelle condizioni di eseguire le prestazioni, seguendo diligentemente il periodo di affiancamento con il ‘tutor’, richiedendo ausilio tra i colleghi ovvero supporto tra i referenti esterni; ed aveva avuto un’interlocuzione costante con il superiore ed i colleghi, come dimostrato dalle innumerevoli e-mails prodotte a dimostrazione della mancanza di un atteggiamento indifferente o evasivo. Infine,
la Corte di merito ha affermato che, seppure l’addebito mosso alla lavoratrice fosse stato da intendere nel senso del mancato raggiungimento dei risultati attesi dalla datrice di lavoro, nondimeno doveva tenersi conto della complessità del sistema in rapporto alle inesistenti esperienze informatiche della ricorrente nel corso del rapporto di lavoro, delle difficoltà tecniche operative del DBSS e del malfunzionamento del pc personale della lavoratrice.
Alla stregua di tali circostanze, secondo la Corte, quand’anche si potesse riconoscere nei fatti addebitati ‘un inadempimento nella sua materialità’ esso risultava comunque deprivato di quel necessario carattere di illiceità disciplinare necessario per giustificare un licenziamento, in applicazione della consolidata giurisprudenza di legittimità che, ai fini della tutela, riconosce in tali casi l’applicazione dell’art.18, 4 comma della l. 300/70, come mod. dalla l. 92/2012.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, con sei motivi di ricorso ai quali ha resistito NOME COGNOME con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 n. 5 c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2119
c.c. e art. 48 , lett. B RAGIONE_SOCIALE, ex art. 360 n.3 c.p.c.
Si sostiene col presente motivo l’assoluta carenza di un valido iter logico argomentativo nella sentenza impugnata, in cui si riscontrerebbero numerosi vizi, per l’assenza di un’approfondita e completa disamina logico giuridica di elementi peraltro decisivi ai fini del decidere emersi nel corso del giudizio. In particolare, risulterebbero evidenti specifici vizi relativi all’omesso esame di alcune importanti circostanze che avrebbero determinato il rigetto delle domande, in quanto la sentenza era stata emessa sulla base di un esame parziale delle risultanze probatorie e dei fatti allegati dalle parti.
In specie, nella parte in cui la Corte ha affermato che non esisteva il ‘rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa per essere ritenute le mansioni assegnate, inferiori a quelle corrispondenti alla qualifica’ vista ‘l’assenza di qualsiasi esplicito e implicito rifiuto della NOME di attendere i compiti di gestione e manutenzione della stazione di redazione DBSS, nonché l’aggiornamento dei piani formativi sulla piattaforma elearning TALEO’. La stessa ricorrente nell’e-mails inviate aveva affermato di ‘non voler esser e riconvertita professionalmente e, visto che mi trovo a disagio in tale ambito lavorativo ho chiesto reiteratamente di uscire da questa funzione’.
2.- Col secondo motivo si prospetta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione
tra le parti ex articolo 360 n. 5 c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2013, art. 2119 c.c. e art. 48, lett. B RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEunicazioni ex art. 360 n.3 c.p.c. per aver la Corte d’appello travisato i fatti posti a fondamento della decisione, per omessa e/o erronea valutazione del compendio probatorio acquisito nel corso del processo, nonché delle norme processuali che disciplinano l’esame delle prove e dell’articolo 2103 c.c. nonché conseguentemente dell’articolo 2119 e dell’articolo 48 RAGIONE_SOCIALE, nella misura in cui i giudici del merito hanno di fatto affermato, sulla base di un esame del tutto parziale e viziato del materiale istruttorio, che le attività assegnate alla NOME e per le quali la stessa era stata ampiamente formata circostanza del tutto ignorata dalla Corte territoriale – erano dalla stessa sostanzialmente inesigibili in quanto non identiche a quelle svolte dalla lavoratrice anni addietro fino all’anno 2000 nell’ambito della formazione quadri e dirigenti di RAGIONE_SOCIALE.
3.Col terzo motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 n. 5 c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ex art. 360 n.3 c.p.c. nella parte in cui la Corte ha ritenuto che il mancato adempimento da parte della NOME delle mansioni affidatele fosse dipeso in parte dai presunti ‘inciampi tecnici’ di funzionamento delle stazioni di redazione ed in particolare del sistema DBSS sul quale la lavoratrice era chiamata ad
operare. Tale passaggio motivazionale era viziato da una distorta percezione della realtà processuale così come emerso nel corso del processo nonché dall’omessa valutazione di elementi decisivi probatori.
4.- Col quarto motivo si sostiene la violazione la falsa applicazione degli articoli 115, 116, 244 c.p.c. per avere la Corte d’appello fondato esclusivamente il proprio convincimento sulle deposizioni testimoniali rese dai signori NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali nel corso dell’istruttoria hanno rilasciato dichiarazioni inattendibili, valutative generiche ed apprese solo in via indiretta.
5.- Col quint o motivo si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art.360 n.5 c.p.c. Violazione e falsa applicazione degli artt. 21 della Costituzione, artt. 2104, 2105, 2106 e 2119 c.c., 115 e 116 c.p.c. e artt. 45 e 48 lett. B RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEunicazioni 2013, ex art. 360 n.3 c.p.c., posto che la sentenza della Corte d’appello risultava altresì viziata nella parte in cui il collegio, ancora sulla base di un esame del tutto parziale e comunque illogico del materiale istruttorio, nonché di un’erronea e falsa applicazione delle norme di legge applicabili alla fattispecie, aveva ritenuto che dal tenore della corrispondenza intercorsa fra la COGNOME e dei suoi colleghi superiori non sarebbe emersa la volontà della lavoratrice di sottrarsi scientemente all’esecuzione della prestazione rivolgendosi ai propri interlocutori con toni inappropriati e denigratori; mentre viceversa si coglierebbe che avesse
cercato una sponda collaborativa in modo quasi spasmodico, esprimendo semplicemente l’espressione personale della propria inadeguatezza e di insoddisfazione per la propria situazione lavorativa.
6.- Con il sesto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 18, commi 4 e 5 legge n. 300/1970 nella parte in cui la Corte d’appello pur ammettendo l’esistenza di un inadempimento della lavoratrice ha rilevato la relativa carenza del carattere di illiceità dello stesso ed ha disposto l’annullamento del licenziamento intimato e l’applicazione del regime sanzionatorio di cui all’articolo 18, comma 4.
7.- I motivi 1, 2, 3, 4 e 5, da decidere unitariamente per connessione, non possono essere accolti e presentano plurimi profili di inammissibilità.
7.1. Anzitutto per mancanza di specificità e di autosufficienza non essendo stato prodotto, né riprodotto alcuno dei documenti indicati negli stessi motivi come fatti decisivi ai fini del decidere che la Corte capitolina avrebbe omesso di esaminare; così come non sono stati prodotti, né trascritti in ricorso, i verbali di udienza da cui risulterebbero le testimonianze che la Corte avrebbe del tutto ignorato.
7.2. In secondo luogo, negli stessi motivi vi è sovrapposizione di mezzi di impugnazione ed accorpamento di censure eterogenee, di fatto e di diritto, senza che sia possibile individuare specificamente i singoli profili di doglianza, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e
4 dell’art. 366 c.p.c. (ordinanza n. 7009/2017; n. 24298/2016; n. 8009/2019).
7.3. Inoltre con gli stessi motivi si mira esclusivamente ad offrire una lettura alternativa dei fatti di causa, proponendo in questa sede di cassazione una rivisitazione del merito attraverso una nuova e generale rilettura delle prove, selezionate dalla ricorrente in termini differenti da quelli adoperati dalla Corte di merito deputata allo scopo.
Essi afferiscono quindi all’accertamento della quaestio facti risolta dalla Corte territoriale nei temini già detti in ordine al contenuto dell e contestazioni, all’effettivo comportamento messo in atto dalla lavoratrice, alla illegittimità del licenziamento intimato dalla datrice di lavoro; accertamento che è di pertinenza del giudice di merito ed il cui sindacato è inibito a questa Corte di legittimità , salvo lo specifico vizio denunciabile in cassazione ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Ne consegue che, come statuito sul punto dalle Sez. Un. sentenza n. 8053 del 07/04/2014, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”,
testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Cass. n. 27815/2018).
Pertanto, nella sostanza, nonostante la denuncia formale di errori di diritto (in iudicando ed in procedendo), in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, i vizi dedotti, come è reso palese dal costante riferimento agli atti di causa, propongono una valutazione ed una selezione del materiale probatorio diversa da quella operata dai giudici del merito, postulando un sindacato chiaramente inibito in sede di legittimità (Cass 2019 n. 30577).
7.4. Gli stessi riferimenti agli artt. 115 e 116 c.p.c. risultano inappropriati. Innanzitutto, perché la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass. n.21603 del 2013).
Ed inoltre perché, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.
In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti, già evidenziati, consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012 (in termini: Cass. 23940 del 2017; v. più in generale: Cass. n. 25192 del 2016; Cass. n. 14267 del 2006; Cass. n. 2707 del 2004).
7.5. Per di più, la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c. non è dedotta in conformità dell’insegnamento nomofilattico (v. Cass. n. 11892 del 2016) che, a proposito dell’articolo 115 c.p.c., indica che la violazione “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta
nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre’.
8. Infine, per quanto attiene al sesto motivo di ricorso, relativo alla violazione e falsa applicazione dell’art.18, 4 e 5 comma, le censure sollevate sono infondate ove si consideri la rispondenza della tesi assunta dalla Corte di appello all’orientamento giurisprudenziale oramai consolidato che riconosce l’insussistenza del fatto anche nell’ipotesi di irrilevanza disciplinare della condotta (Cass. nn. 3076/2020, 13779/2018, 11322/2018).
Nessuna contraddizione esiste quindi sul punto per avere la Corte distrettuale ipotizzato che lo stesso annullamento del licenziamento impugnato sarebbe conseguito quand’ anche si fosse potuto riconoscere nel comportamento della ricorrente ‘un inadempimento nella sua materialità’; posto che ai fini della tutela accordata dalla Corte alla lavoratrice, prevista dall’art.18, 4 comma della legge 300/70 novellato dalla legge n.92/2012, rileva anche la mancanza di illiceità disciplinare del fatto; e tale tutela v a quindi accordata anche nell’ipotesi in cui non sussista alcuna responsabilità personale rispetto ad un fattispecie di inadempimento considerata nella sua materialità.
9. In conclusione, sulla scorta delle premesse, il ricorso deve essere nel complesso respinto; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’u lteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023.
AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME