Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15387 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15387 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 24961-2020 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE DI CREDITO COOPERATIVO RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME NOME;
– intimata –
avverso la sentenza n. 2352/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 26/06/2020;
Lette le memorie della controricorrente;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Benevento COGNOME NOME e COGNOME NOME, affinché fosse dichiarata l’inefficacia e l’inopponibilità della rinuncia all’eredità della de cuius COGNOME NOME, manifestata dal convenuto in data 1 marzo 2010, onde potersi soddisfare sui beni che sarebbero pervenuti al convenuto stesso, ove avesse accettato l’eredità, eredità invece accettata successivamente da COGNOME NOME.
Nella resistenza dei convenuti, il Tribunale con la sentenza n. 66/2018 autorizzava l’attrice ad accettare in luogo e nome del rinunciante ex art. 524 c.c.
La Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 2352 del 26 giugno 2020 ha rigettato gli appelli proposti separatamente da entrambi le parti e poi riuniti.
Quanto all’appello proposto da COGNOME NOME, con il quale si sosteneva che in realtà il testamento pubblico della zia COGNOME NOME lo avesse beneficiato solo di un legato, così che non poteva trovare applicazione la previsione di cui all’art. 524 c.c., la Corte distrettuale, richiamati i principi del giudice di legittimità in tema di interpretazione del testamento, rilevava che all’appellante era stato lasciato l’unico bene immobile di proprietà della defunta, il che confortava la convinzione che si fosse al cospetto di una istituzione di erede ex certa re .
In tal senso si ricordava che anche l’assegnazione di un singolo bene può valere come istituzione di erede, e ciò alla luce del fatto che si trattava dell’unico bene immobile, e senza che nelle more tra la redazione della scheda e l’apertura della successione fosse mutata la consistenza del patrimonio ereditario. Inoltre, la scelta di avvalersi delle forme del testamento pubblico convalidava la convinzione che la de cuius volesse attribuire particolare rilevanza all’attribuzione de qua, avendo al contempo disposto la revoca di ogni altra precedente disposizione testamentaria. Inoltre, si trattava della casa nella quale la testatrice abitava, a conferma del fatto che la stessa intendeva istituire il nipote quale proprio erede universale, mediante il lascito dell’appartamento.
La qualificazione come istituzione di erede appariva poi confermata anche dalla condotta tenuta dall’appellante che, dinanzi al medesimo notaio che aveva redatto il testamento pubblico, aveva poi rinunciato all’eredità in maniera formale, apparendo poco verosimile che il richiamo alla figura della rinuncia all’eredità fosse un semplice refuso.
Quanto alle scritture prodotte in primo grado e che, a detta dell’appellante, contenevano delle disposizioni testamentarie ulteriori della de cuius, la sentenza di appello evidenziava che le stesse erano relative al lascito di alcuni beni mobili, ma si trattava di scritti non autografi, posto che dalla stessa prova testimoniale articolata e non ammessa emergeva che le schede erano state scritte da una terza persona sotto dettatura della de cuius, che le aveva solo firmate, sicché erano carenti i requisiti prescritti affinché potessero valere come olografi. Ma ove anche fossero state considerate come espressione del desiderio della COGNOME di destinare dei propri beni a determinate persone, non potevano
mettere in discussione la correttezza della conclusione circa l’avvenuta istituzione del nipote NOME quale erede universale.
Era infine rigettato anche l’appello avanzato autonomamente da COGNOME NOME, con il quale si contestava la necessità della propria partecipazione al giudizio, con statuizione che non risulta però essere stata in questa sede gravata.
Per la cassazione di tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, articolato su due motivi.
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Buccino e dei RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
COGNOME NOME NOME ha svolto difese in questa fase.
La controricorrente ha anche depositato memoria in prossimità dell’adunanza.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 588 e 1362 e ss. c.c., contestandosi l’approdo del giudice di appello quanto alla qualificazione della disposizione testamentaria a suo favore come istituzione di erede ex certa re .
Richiamati i principi in tema di ricostruzione della volontà testamentaria, anche con riferimento all’applicazione dell’art. 588 c.c., si evidenzia che la scheda prevede l’attribuzione di un singolo immobile e che manca ogni riferimento alla volontà di istituire il beneficiario quale erede.
Vige invece la presunzione che l’assegnazione di un singolo bene valga come attribuzione di un legato. Inoltre, non aveva senso, ove si fosse voluto istituire il ricorrente come erede, che si facesse menzione dell’attribuzione oltre che della casa anche delle pertinenze, che sarebbero in ogni caso spettate all’erede. Inoltre, la de cuius era titolare anche di altri beni mobili di valore, che non
sono stati presi in esame, al fine di meglio apprezzare quale fosse la volontà testamentaria.
Quanto alla contestazione in merito alla corretta applicazione dell’art. 588 c.c., bisogna innanzitutto ricordare che è consolidato orientamento di questa Corte quello secondo cui, nell’interpretazione del testamento, il giudice di merito, mediante un apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se congruamente motivato, deve accertare, in conformità al principio enunciato dall’art. 1362 c.c., applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria, quale sia stata l’effettiva volontà del testatore, valutando congiuntamente l’elemento letterale e quello logico ed in omaggio al canone di conservazione del testamento (Cass. n. 24163/2013; 23278/2013). In particolare, l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale, ove il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli ed individuati beni (Cass. n. 23393/2017).
Inoltre (cfr. Cass. n. 24163/2013) in tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art. 588 cod. civ., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (” institutio ex re certa “) qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni, così che l’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito e, quindi, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato.
Infine da ultimo è stato ribadito che in tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art. 588 c.c., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (” institutio ex re certa “) qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni, così che l’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva interpretato come disposizione a titolo universale l’attribuzione testamentaria di beni determinati, valorizzando, sia il fatto che al beneficiato fosse stata assegnata la generalità dei beni mobili, oltre che la quota di un immobile, sia le peculiari espressioni allo stesso riservate dal testatore, attestanti un trattamento, sul piano del riconoscimento affettivo, differente rispetto a quello destinato agli altri soggetti indicati nel testamento, così Cass. n. 6125/2020).
Nella fattispecie emerge che la sentenza gravata nel pervenire all’approdo interpretativo qui contrastato è partita proprio dal tenore letterale delle espressioni usate nell’atto di ultima volontà, evidenziando che l’unico bene immobile, che peraltro costituiva il cespite di maggior valore facente parte dell’asse ereditario, era stato attribuito al COGNOME, cui la testatrice era legata anche da un rapporto di parentela, sottolineandosi altresì il particolare valore affettivo che legava la de cuius al bene, nel quale appunto viveva. È stata altresì valorizzata la scelta di ricorrere alla forma del testamento pubblico, accompagnata dalla volontà di revocare ogni altra disposizione testamentaria, e ciò al fine di rimarcare la
particolare importanza che la de cuius annetteva a tale previsione testamentaria.
Il riferimento alla particolare importanza, sia in chiave patrimoniale che affettiva, che aveva il bene per la testatrice, e tenuto conto della formula neutra adottata (lascio), che si presta anche per legittimare la tesi della istituzione di erede ex certa re, implica un adeguato apprezzamento anche delle specifiche volontà testamentarie, così che risulta evidente come il ricorrente con il motivo in esame aspiri ad un’alternativa soluzione interpretativa, senza che però quella contestata si palesi come assolutamente insostenibile o evidentemente affetta da irragionevolezza.
La conclusione del giudice di merito non appare seriamente censurabile in questa sede, trovando conforto anche nella decisione della testatrice di attribuire nel complesso la generalità dei suoi immobili al ricorrente, e senza che rilevi a tal fine, come invece sostenuto in ricorso, la necessità di voler qualificare il lascito di un singolo bene come universalità dei beni o come quota parte dell’asse ereditario, trovando la soluzione criticata la sua giustificazione non già nel primo comma dell’art. 588 c.c., ma nel secondo comma.
Né appare superflua, come pure sostenuto, l’attribuzione al COGNOME, oltre che della casa anche delle pertinenze, in quanto, a differenza dell’istituzione espressa quale erede, quella ex re certa implica l’attribuzione solo dei beni specificamente individuati nel testamento, e potendo la cd. vis expansiva della quota ex certa re esplicarsi solo relativamente ai beni sopravvenuti rispetto alla data di redazione della scheda ovvero ignoti al testatore (Cass. S.U. n. 17122/2018), così che, ove fosse mancato il riferimento
alle pertinenze, e non potendosi invocare il regime di trasferimento proprio delle stesse ex art. 818 c.c., per assicurare l’acquisto da parte del COGNOME effettivamente si imponeva un esplicito riferimento.
Né appare dirimente il richiamo all’esistenza di altri beni mobili relitti, in quanto, in disparte la genericità del riferimento agli stessi, la sentenza impugnata, sia pure in relazione al rigetto delle richieste istruttorie formulate da parte appellante, ha sottolineato come i beni de quibus fossero di valore evidentemente e di gran lunga inferiore all’attribuzione immobiliare compiuta in favore di COGNOME NOME, di guisa che non potevano inficiare la correttezza della qualificazione dell’attribuzione in termini di istituzione di erede.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 e 244 e ss. c.p.c.
Si lamenta che nel corso del giudizio aveva chiesto di provare la circostanza che alcune scritture recanti la firma della de cuius, e riguardanti una serie di beni mobili appartenuti alla stessa firmataria erano state redatte da una terza persona, ma sotto dettatura della defunta.
Ancorché tali scritti non possano valere come valide diposizioni testamentarie, la dimostrazione di quanto si intendeva provare avrebbe attestato l’esistenza di un attivo patrimoniale, ulteriore rispetto a quello di cui era stato beneficiato il ricorrente.
Il motivo è inammissibile.
La sentenza gravata, lungi dall’omettere di statuire sulle richieste de quibus , le ha invece espressamente rigettate, ritenendo, con motivazione incensurabile, che le circostanze probande erano del tutto irrilevanti ai fini della decisione.
Ed, infatti, una volta esclusa la riconducibilità di tali scritti a valide espressione dal punto di vista formale della volontà testamentaria, ove anche fosse emersa una volontà di attribuire determinati beni mobili ad alcune persone diverse dal nipote, non era messa in discussione la conclusione circa la volontà di istituire quest’ultimo quale erede ex certa re .
Infatti, si trattava di beni di valore notevolmente inferiore rispetto all’immobile assegnato al convenuto, occorrendo altresì evidenziare che una istituzione di erede ex art. 588 c.c. non è esclusa per il caso che i soli beni mobili siano assegnati a soggetti diversi da chi è stato beneficiato dei beni immobili, ben potendo anzi proprio la differenziazione delle varie componenti patrimoniali, in quanto oggetto di distinte attribuzioni, far ipotizzare un concorso di institutiones ex re certa , ma non anche denotare che ogni singola assegnazione sia necessariamente un legato.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Attesa l’inammissibilità del ricorso, il ricorrente è condannato alle spese del presente giudizio, da liquidarsi secondo dispositivo, con attribuzione al difensore antistatario.
Nulla a disporre quanto alla parte rimasta intimata.
Poiché il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione,se dovuto..
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della controricorrente che liquida in complessivi € 6.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge, con attribuzione all’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, dichiaratosi antistatario;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda