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Insolvenza datore: quando paga il Fondo Garanzia TFR?

Una lavoratrice si è vista negare il pagamento del TFR dal Fondo di Garanzia INPS perché non ha dimostrato l’insolvenza del datore di lavoro. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, chiarendo che per provare l’insolvenza del datore non soggetto a fallimento è necessario esperire tutti i tentativi di esecuzione forzata che appaiano fruttuosi, a prescindere dalla loro onerosità per il creditore. La semplice difficoltà o il costo dell’azione esecutiva immobiliare non sono sufficienti a dimostrare lo stato di insolvenza.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Insolvenza Datore e Accesso al Fondo TFR: La Futilità dell’Esecuzione Prevale sull’Onerosità

L’accesso al Fondo di Garanzia INPS per il pagamento del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è un’ancora di salvezza per molti lavoratori di fronte all’insolvenza del datore di lavoro. Tuttavia, quando il datore non è soggetto alle procedure concorsuali come il fallimento, l’onere della prova dell’insolvenza ricade interamente sul lavoratore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, stabilendo un principio netto: ciò che conta è la dimostrata inutilità di ogni possibile azione esecutiva, non la sua difficoltà o il suo costo per il creditore.

I Fatti di Causa

Una lavoratrice, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, non riusciva a ottenere il pagamento del TFR spettante. Di fronte all’inadempimento, si rivolgeva al tribunale per ottenere il pagamento dal Fondo di Garanzia gestito dall’INPS. Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello respingevano la sua domanda. La ragione? La lavoratrice non aveva fornito una prova sufficiente dello stato di insolvenza del datore di lavoro. Nello specifico, i giudici di merito ritenevano che non fossero stati esperiti tutti i tentativi di esecuzione forzata potenzialmente fruttuosi. La lavoratrice, dal canto suo, sosteneva di aver tentato un’azione esecutiva e che un’ulteriore esecuzione immobiliare sarebbe stata economicamente troppo onerosa per lei. Insoddisfatta della decisione, proponeva ricorso in Cassazione.

La Prova dell’Insolvenza Datore secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della lavoratrice, confermando le decisioni dei gradi precedenti. Il punto centrale della controversia era l’interpretazione dei requisiti per dimostrare l’insolvenza di un datore di lavoro non fallibile. Il motivo di ricorso si basava sulla presunta violazione della normativa che regola l’intervento del Fondo di Garanzia (L. 297/1982 e D.Lgs. 80/1992). La lavoratrice sosteneva che un tentativo serio di esecuzione era stato fatto e che l’eccessiva onerosità di un’esecuzione immobiliare avrebbe dovuto bastare a dimostrare l’impossibilità di recuperare il credito.

La Corte ha demolito questa tesi, chiarendo il criterio fondamentale da seguire.

Le Motivazioni

I giudici hanno specificato che il criterio rilevante per accertare l’insolvenza del datore non è la valutazione soggettiva dell’onerosità dell’azione esecutiva da parte del creditore. Al contrario, il criterio è oggettivo: la necessità di effettuare le procedure esecutive finché si prospettino come fruttuose.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva accertato, con una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità, che il datore di lavoro era titolare di proprietà immobiliari adeguate. Di conseguenza, non era stata intrapresa ogni attività esecutiva ipotizzabile come fruttuosa. La mancata aggressione di questi beni immobili impediva di considerare provata l’insolvenza del debitore. L’argomentazione della lavoratrice sulla eccessiva onerosità economica dell’esecuzione immobiliare è stata ritenuta irrilevante. La legge, infatti, mira a tutelare il lavoratore quando il patrimonio del datore è oggettivamente incapiente, non quando il recupero del credito risulta semplicemente costoso o complesso.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale per tutti i lavoratori che si trovino nella difficile situazione di dover recuperare il proprio TFR da un datore inadempiente ma non fallito. Per poter accedere al Fondo di Garanzia INPS, non è sufficiente dimostrare la difficoltà nel recuperare il credito. È indispensabile provare di aver tentato tutte le vie esecutive che, sulla base di una valutazione oggettiva, avrebbero potuto portare a un risultato positivo. Se il datore possiede beni pignorabili, come immobili, il lavoratore deve procedere con l’esecuzione su tali beni. Solo il fallimento documentato di tali tentativi può costituire una prova valida dell’insolvenza e aprire le porte all’intervento del Fondo di Garanzia. Questa decisione sottolinea l’importanza di una consulenza legale approfondita per valutare correttamente tutte le azioni esperibili prima di rivolgersi all’ente previdenziale.

Come può un lavoratore dimostrare l’insolvenza del datore non soggetto a fallimento per accedere al Fondo di Garanzia TFR?
Il lavoratore deve dimostrare di aver tentato tutte le procedure esecutive che si prospettavano come potenzialmente fruttuose. L’insolvenza si considera provata solo quando tali tentativi si sono rivelati inutili, dimostrando l’incapienza del patrimonio del datore.

L’eccessivo costo di un’azione esecutiva (es. pignoramento immobiliare) è una ragione valida per non intraprenderla e chiedere l’intervento dell’INPS?
No. Secondo la Corte, il criterio rilevante è la potenziale fruttuosità dell’esecuzione, non la sua onerosità per il creditore. Se esistono beni aggredibili, l’azione va tentata a prescindere dal suo costo.

Cosa ha deciso la Corte nel caso specifico?
La Corte ha rigettato il ricorso della lavoratrice perché non aveva proceduto con l’esecuzione sui beni immobili di proprietà del datore di lavoro. Non avendo esperito ogni azione esecutiva potenzialmente utile, non aveva fornito una prova adeguata dell’insolvenza del datore, requisito indispensabile per l’intervento del Fondo di Garanzia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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