Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13418 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13418 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 7521-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, soggetta all’attività di direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (STUDIO RAGIONE_SOCIALE), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 551/2022 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 27/09/2022 R.G.N. 797/2021;
Oggetto
Inquadramento superiore
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/04/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/04/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Firenze rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 268/2021, che aveva dichiarato il diritto del lavoratore ricorrente, COGNOME NOME, ad essere inquadrato, a partire dall’1.1.2012, nel superiore livello professionale Q-Quadro, posizione retributiva Q1 del CCNL di riferimento del 2016 (corrispondente al livello A Quadri, posizione ‘Professional Senior’ del precedente CCNL del 2003).
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, nell’esaminare congiuntamente i primi tre motivi d’appello di RAGIONE_SOCIALE, li reputava infondati, ritenendo che il primo giudice aveva correttamente valutato le risultanze istruttorie, compresa la copiosa documentazione depositata dal ricorrente, citata con precisa indicazione numerica nel testo e in apposite note, che l’appellante non aveva invece minimamente considerato. Dopo aver riesaminato diffusamente le risultanze istruttorie, orali e documentali, circa la dedotta inattendibilità del teste COGNOME, per avere in corso un contenzioso analogo (confessato solo su domanda del difensore della società), riteneva che il Tribunale aveva dato conto, del tutto condivisibilmente, di come le dichiarazioni rese fossero precise, dettagliate, prive di contraddizioni e incongruità, oltre al fatto di trovare riscontro nei molteplici documenti prodotti in precedenza citati dalla Corte.
2.1. Giudicato privo di fondamento il quarto motivo d’appello, la Corte disattendeva anche il quinto motivo col quale l’appellante contestava la motivazione in diritto del primo giudice, sostenendo -dopo avere riportato le diverse declaratorie -che lo stesso avesse errato nel ritenere sussistenti i caratteri distintivi del livello superiore, mentre il livello attribuito sarebbe stato del tutto corretto.
2.2. Infine, riteneva non meritevole di accoglimento pure il sesto motivo, con il quale l’appellante RAGIONE_SOCIALE lamentava che, secondo il CCNL, il passaggio dalle figure professionali della posizione retributiva 2 a quelle della posizione retributiva 1 avviene solo sulla base di una positiva valutazione di merito dell’azienda, che nel caso era invece mancata.
Avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
Ha resistito l’intimato con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo RAGIONE_SOCIALE denuncia .
Con il secondo motivo denuncia: ‘violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 con riferimento all’art. 21 del
CCNL Attività Ferroviarie del 16.4.2003, poi riprodotto nel CCNL attualmente vigente, 2103 e 2697 c.c., e degli articoli 115, 116 e 132 n. 4 c.p.c., essendo, la Corte di merito, pervenuta a confermare il riconoscimento delle mansioni superiori in base ad un procedimento errato in cui non si era tenuto conto delle reali mansioni svolte in concreto dal lavoratore (art. 360 comma 1 c.p.c. n. 3 e 4)’.
Con un terzo motivo denuncia ‘violazione e falsa applicazione degli articoli 2103 e 2697 c.c. e degli articoli 115, 433 e 434 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto sussistente una mancata contestazione di alcuni documenti (art. 360 comma 1 c.p.c. n. 3 e 4)’.
Con un quarto motivo denuncia ‘violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4 e nullità della sentenza (art. 360 comma 1 c.p.c., n. 3 e n. 4) per avere la Corte d’Appello ritenuto applicabile la posizione retributiva Q1’.
Con un quinto motivo denuncia ‘violazione dell’art. 246 c.p.c. (art. 360 comma 1 c.p.c. n. 3)’. Secondo la ricorrente, la motivazione in base alla quale la Corte d’appello circa l’inattendibilità del teste COGNOME, sostenuta da RAGIONE_SOCIALE, era <viziata perché -come già esposto nel ricorso in appello (pagg. 14-15) il vaglio di attendibilità non poteva prescindere dalla 'circostanza aggravante' dell'avere il teste 'confessato' l'esistenza del giudizio da lui introdotto solo su domanda di questa difesa (accolta dal Giudice) e non -come avrebbe dovuto -spontaneamente al momento di rendere i chiarimenti preliminari prima di deporre'.
Possono essere congiuntamente esaminati il primo ed il quarto motivo di ricorso, nei quali si lamenta la violazione dell'art. 132, comma primo, n. 4), c.p.c.
Entrambe tali censure sono infondate.
Più in particolare, nel primo motivo si lamenta un'omessa motivazione, peraltro su aspetti specifici, e, cioè, .
Nello sviluppo della censura, tuttavia, riferendosi all’appello contro la sentenza di primo grado, si deduce che ; e si assume che: ‘La Corte d’Appello non si è minimamente pronunciata al riguardo, come invece avrebbe dovuto’.
Il motivo presenta un profilo d’inammissibilità nella parte in cui, in chiave di anomalia motivazionale, critica in realtà l’apprezzamento probatorio della Corte distrettuale (cfr. pagg. 14-15 del ricorso).
Tanto considerato, secondo questa Corte, il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 n. 4,
c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incomp atibili con la soluzione adottata e con l’ iter argomentativo seguito (Cass. n. 12652/2020).
11.1. Ebbene, nella specie, la Corte territoriale, dopo aver dato conto di quanto considerato dal primo giudice, nonché dei primi tre motivi d’appello di RAGIONE_SOCIALE, come già accennato in narrativa, li ha esaminati congiuntamente, rivalutando diffusamente le risultanze processuali; ed in base ad esse ha ritenuto che emergeva ‘in effetti la qualità dell’attività svolta dal COGNOME, che non si risolveva in meri riscontri di dati al computer, nel semplice chiamare la ditta esterna per gli interventi di manuten zione, nell’istruttoria delle richieste di rimborso, ma si connotava in termini di gestione operativa complessa, implicante l’individuazione di problemi e la loro soluzione in autonomia, con ampi margini di iniziativa e discrezionalità nelle decisioni da prendere, con assunzione di relativa responsabilità, il tutto in continuità con l’attività svolta dal precedente responsabile del settore NOME COGNOME (livello Quadro andato in pensione nel 2011)’ (cfr. in extenso pagg. 25 della sua sentenza).
11.3. La Corte di merito, pertanto, si è senz’altro argomentatamente espressa sia sulle censure proposte in appello, richiamate dall’attuale ricorrente, che sugli specifici profili in ordine ai quali la stessa si duole di un difetto motivazionale asseritamente reiterato nella decisione di secondo grado, ossia sulla ‘complessità’ delle mansioni
disimpegnate dal lavoratore e sull’ ‘ampia autonomia e responsabilità diretta’ di quest’ultimo.
Analoghe considerazioni valgono per il quarto motivo.
La ricorrente deduce che integrerebbe ‘una eclatante nonmotivazione’ il punto in cui la Corte ha respinto il sesto motivo d’appello, considerando che esso .
13.1. Anche in questo caso, infatti, la motivazione dei giudici di secondo grado, non solo è graficamente presente, ma è perfettamente comprensibile.
La specifica censura allora in esame, come non contestato dall’attuale ricorrente, si fondava sull’assunto che ‘secondo il CCNL, il passaggio dalle figure professionali della posizione retributiva 2 a quelle della posizione retributiva 1 avviene solo sulla base di una positiva valutazione di merito dell’azienda, che nel caso è invece mancata’.
Ebbene, rispetto a tale motivo d’appello, la Corte territoriale ha inteso chiaramente significare che, a suo giudizio, quanto previsto dalla fonte collettiva applicata al rapporto, in merito alla positiva valutazione datoriale per il passaggio dall’una figura professionale all’altra in diversa posizione retributiva, si riferiva ai passaggi di livello in ambito non contenzioso, e non poteva quindi precludere la valutazione giudiziale ‘sulla concreta ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento del livell o superiore’.
14. Inammissibile è il quinto motivo di ricorso.
Invero, la norma di cui la ricorrente lamenta la violazione è l’art. 246 c.p.c., che disciplina l’incapacità a testimoniare, mentre il passaggio motivazionale che la ricorrente censura si riferisce ad una questione di mera inattendibilità del teste COGNOME.
Anche le attuali deduzioni della ricorrente, inoltre, riguardano la sostenuta inattendibilità di quel testimone (cfr. pag. 24 del ricorso), come emerge dal fatto che la Corte territoriale, nel dar conto delle deduzioni della parte (nell’ambito del secondo motivo di appello), ha riportato che (secondo l’allora appellante) ‘il teste COGNOME era inattendibile avendo in corso un contenzioso analog o’ (cfr. pag. 2 della sua sentenza), disattendendo anche tale profilo di censura.
Giova peraltro ricordare che l’interesse che, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., determina l’incapacità a testimoniare è solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale che comporta o una legittimazione principale a proporre l’azione ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire in un giudizio già proposto da altri cointeressati; non rileva, quindi, l’interesse di mero fatto che un testimone può avere a che venga decisa in un certo modo la controversia in cui depone, pendente fra altre parti, ma identica a quella vertente tra lui ed un altro soggetto, senza che assuma rilievo il fatto che quest’ultimo sia, a sua volta, parte del giudizio in cui dev’essere resa la testimonianza; né l’incapacità a testimoniare può sorgere in caso di riunione di cause connesse per identità di questioni, incidendo detta riunione solo sull’attendibilità delle deposizioni (Cass. 07/09/2023, n. 26044).
Possono essere congiuntamente esaminati il secondo ed il terzo motivo di ricorso.
Essi presentano diversi, ma convergenti profili d’inammissibilità.
Secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costituitivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (così, di recente, ex plurimis , Cass. n. 6374/2023).
18.1. Ebbene, la ricorrente, nel denunciare in entrambe le suddette censure la violazione (anche) dell’art. 2697 c.c., non deduce se e in che punti la decisione gravata avrebbe realizzato un’illegittima inversione dell’onere della prova.
Quanto, poi, alla violazione dell’art. 115 c.p.c., come dedotta nel secondo motivo, va ricordato che, per dedurre ammissibilmente in sede di legittimità la violazione di tale norma, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre essendo detta
attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (così, tra le altre, Cass. n. 13796/2022).
Inoltre, il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunci violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuire un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. n. 20751/2022).
Sempre nel primo motivo di ricorso è dedotta anche la violazione dell’art. 1362 c.c. con riferimento all’art. 21 del CCNL Attività Ferroviarie del 16.4.2003 (poi riprodotto nel CCNL dato per vigente), ma nello svolgimento RAGIONE_SOCIALE stesso non è spiegato in che termini la Corte di merito avrebbe violato il canone ermeneutico legale di cui all’art. 1362 c.c. con riferimento all’art. 21 del CCNL, al cui testo peraltro non si fa cenno.
Piuttosto, come ben risulta dallo sviluppo del primo motivo, esso è volto promiscuamente, da un lato, a denunciare anomalie motivazionali (delle quali s’è già detto nell’esaminare
il primo motivo di ricorso), talvolta peraltro attribuite al Tribunale, e, dall’altro, a proporre una rilettura delle risultanze processuali (cfr. pagg. 16-21 del ricorso).
Secondo la ricorrente, infatti, l’istruttoria aveva in realtà confermato che il COGNOME ‘mai aveva avuto l’autonomia tipica dell’inquadramento richiesto, quanto piuttosto solo quella meramente operativa -e connaturata alle sue mansioni -che gli consentiv a di svolgere l’attività lavorativa a lui affidata (verificare se i dati ‘redatti’ dalle emettitrici, valutare l’ammissibilità di una richiesta di rimborso da sottoporre all’approvazione del Direttore, segnalare alle ditte specializzate gli interventi manutentivi di cui ha notizia) ‘. Ed è evidente il diverso apprezzamento delle prove che la parte ricorrente richiede in questa sede, ma inammissibilmente.
In ordine, ancora, alla violazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. (che la ricorrente collega in termini non specificati agli artt. 433 e 434 c.p.c.), il terzo motivo si fonda sull’erroneo assunto che la Corte d’appello ‘ha ritenuto che l’odierna ricorrente, impugnando la sentenza, non abbia contestato alcuni documenti che il primo Giudice aveva ritenuto rilevanti per dimostrare gli elementi costitutivi della domanda posta dal ricorrente (pagg. 3, 5)’.
24.1. Invero, come risulta proprio dai passaggi motivazionali cui allude la ricorrente, la Corte distrettuale ha parlato della ‘copiosa documentazione depositata dal ricorrente, citata con precisa indicazione numerica nel testo e in apposite note, che l’ap pellante non ha invece minimamente considerato’ (così a pag. 3 della sua sentenza); successivamente -dopo aver già esaminato parecchi di tali
documenti (cfr. pagg. 4-5 della stessa) -ha aggiunto: ‘Documenti che l’appellante non ha proprio considerato né esaminato, al fine di contraddire in concreto, uno per uno, la valenza probatoria riconosciuta dal primo giudice’ e che: ‘Così come non sono stati considerati neppure gli ulteriori documenti indicati dal primo giudice a dimostrazione, unitamente alle dichiarazioni dei testi, dei requis iti sub b) e c) …’, passando comunque a valutare la valenza probatoria attribuita ad ulteriori documenti con precisione indicati (cfr. pag. 5 della stessa sentenza).
24.2. E’ perciò di tutta evidenza che i giudici di secondo grado, non solo, sul piano lessicale, mai hanno scritto di una ‘non contestazione’ o di una ‘non specifica contestazione’, ma piuttosto hanno esaminato la documentazione in atti al fine di pervenire al convincimento, senza fare applicazione del principio di cui all’art. 115 c.p.c.
25. La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario
delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 4.4.2024.